Toys! La storia dei giochi più iconici di sempre – Ep. 3: Gli anni 90

Un viaggio attraverso il viale dei ricordi lastricato dai cd della PlayStation: dopo aver ripercorso i mitici anni 80, ora è arrivato il momento di andare a rispolverare i giochi più in voga negli anni 90

speciale giochi anni 90

Qualche mese fa mi sono divertita a scrivere un paio di articoli sui giocattoli più iconici degli anni ’80 (potete recuperarli qui e qui), tant’è che mi è venuta voglia di parlare anche di quelli che, in un modo o nell’altro, hanno spopolato nei ’90.

Mi sembra doveroso premettere che nel decennio novantiano è stata la tecnologia a dettare le regole, basti pensare che tra i sette giocattoli scelti da me, cinque sono frutto di un vero e proprio avanzamento tecnologico. Se negli anni ’80 ci si accontentava di possedere giocattoli statici, nel decennio successivo siamo stati catturati da novità in grado di parlare, di comunicare, di rendersi utili, di intrattenerci in maniera del tutto nuova, interagendo con noi fino a farci sentire parte integrante dell’azione.

Naturalmente ogni cosa ha i sui pro e i suoi contro e se i pro li abbiamo appena elencati, dei contro parliamo adesso.

Nel decennio reganiano, la staticità dei giocattoli ci ha costretti ad attivare di continuo la nostra fantasia e anche i più pigri si sono dovuti impegnare a creare storie bizzarre per intrattenersi con i propri giocattoli. Chi di voi, cresciuti negli anni ’80, non ha – almeno una volta – fatto sì che Big Jim o in alternativa uno dei robottoni giapponesi, salvasse una povera e indifesa Barbie in pericolo? Oggi Barbie si salva da sola, il film di Greta Gerwig con Margot Robbie e Ryan Gosling ne è la prova lampante, ma qui si parla di anni ’80, ragazzi e credetemi, all’epoca era tutto diverso e le Barbie andavano salvate. Oppure relegate nella casa dei sogni dietro a un paio di figli. O ancora costrette a subire tagli di capelli improbabili. E non è così assurdo pensare che all’interno di qualche storia partorita dalla mente di alcuni bimbi o bimbe di quel periodo, diventassero donzelle bisognose d’aiuto da parte di qualche Jeeg Robot di turno (io personalmente le ho messe nelle situazioni più assurde, una volta ho persino ordito un attacco alla villa dei sogni da parte di Trider G7. E vi garantisco che non è finita bene).

Tornando a noi, come dicevo, è arrivato il momento di dar spazio ad alcuni giocattoli che negli anni ’90 hanno riscritto e rivoluzionato il concetto di home entertainment.

Pronti? Si parte!

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GAME BOY COLOR

In commercio dal 1998, Nintendo Game Boy Color arriva a sostituire il classico e originale Game Boy. Dotato di uno schermo a colori, del tutto innovativo per una console portatile, e di processore a 8 bit realizzato da Sharp, si insedia – anche grazie alla cessata produzione di Game Gear da parte di SEGA, nel 1997 – nel cuore e nelle case di milioni di persone. Io avevo la versione gialla, persa insieme a Pokemon giallo, appunto. Successivamente, in seguito a un incidente che ha visto il mio GBC cadere nella tromba dell’ascensore dal secondo piano (non chiedetemi come ho fatto, perché non lo so nemmeno io), ho acquistato la versione viola. Persa durante un trasloco nel 2005 di cui ho un ricordo piuttosto confuso. Volendo, adesso è possibile reperire diversi esemplari su Amazon alla cifra di 100/120 euro circa, oppure su eBay o ancora sul gettonatissimo Vinted.

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POLLY POCKET

Polly Pocket è frutto di una geniale invenzione di Chris Wiggs avvenuta nel 1983 per sua figlia Kate. Wiggs ha pensato bene di utilizzare un portacipria per costruirci dentro una… casa delle bambole! La Bluebird Toys, azienda inglese parecchio nota all’epoca, fiutato l’affare, ne ha brevettato il progetto, distribuendo la prima versione di Polly Pocket nei negozi nel 1989. Il gigante Mattel però, fiutando l’affare a sua volta, non resta certo a guardare e dopo lunga contrattazione, ottiene un accordo con la Bulebird che, nel 1998, cede del tutto il passo e vende il marchio al colosso americano. Nel 1999 Mattel ridisegna Polly Pocket, portando l’altezza delle mini bambole a qualche centimetro e rendendole in tutto e per tutto delle fashion doll corredate da tantissimi accessori moda. Io ne avevo tante versioni, la mia passione era creare storie dove le mini doll e i Puffi si trovavano insieme a combattere contro Gargamella e Birba. Accidenti, se ne avevo di fantasia!

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FURBY

Furby è un simpatico animaletto non meglio definito, robotico e interattivo creato nel 1998 da Dave Hampton e Caleb Chung, distribuito da Hasbro. Grazie a 6 motori disseminati nel corpo, il pupazzo muove le orecchie, gli occhi e la bocca, inoltre è capace di richiedere attenzioni e cure. Insomma, a volte diventa molesto, ammettiamolo. Il successo è tale che nel mondo vende oltre 41 milioni di unità. Hasbro ne produce ben otto generazioni, in grado di eseguire oltre 300 combinazioni di movimenti e di formulare fino a 800 frasi diverse, con tre toni di voce differenti. In sostanza, Regan MecNeil, scansati che non sei nessuno! Ah, i piccoletti interagiscono anche tra di loro, tramite una porta a infrarossi sistemata sopra i loro “vispi” occhietti. La loro lingua si chiama Furbish e comprende derivazioni persino dall’ebraico e dal cinese. Naturalmente le bestioline parlano anche quella del paese nel quale vengono distribuiti, altrimenti in dotazione Hasbro avrebbe dovuto dare un corso accelerato di Furbish, il che, diciamolo, non avrebbe certo aiutato le vendite.

Il loro aspetto – non ci vuole una scienza per capirlo – è chiaramente ispirato ai simpatici (se non li bagni e non li fai mangiare dopo la mezzanotte) animaletti Mogwai, protagonisti del film Gremlins.

Io non ne ho mai avuto uno, personalmente i Furby non li ho mai sopportati, ma non citarli era pressoché impossibile, visto l’enorme successo riscosso, tant’è che Hasbro ha continuato a produrne nuove versioni, alcune supportate addirittura dal sistema iOS e Android.

Figo, eh? No, per niente.

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EMIGLIO È MEGLIO

Nel 1994 Giochi Preziosi lancia un robot umanoide alto 53 cm, dotato di piccoli cingolati in grado di farlo muovere agilmente: Emiglio. È bene ricordare che in Italia è il primo giocattolo radiocomandato a essere commercializzato, una novità assoluta per il mercato ludico dell’epoca! Il robot, con l’aiuto di piccole mani prensili è in grado di trasportare oggetti poggiati su un vassoio, proprio come un maggiordomo. Inoltre il piccoletto è corredato da un vano portaoggetti sulla schiena, utile per il trasporto di non si sa bene cosa e occhi luminosi, in modo da potersi muovere anche al buio, casomai di notte ci venisse la voglia di un bicchiere d’acqua, sì, se solo fosse in grado di portarcelo… ma non pretendiamo troppo, “Emiglio è proprio il meglio”, recita lo spot televisivo! A completare il tutto, il robot è persino in grado di parlare con chi lo utilizza. I bambini impazziscono, i genitori gridano al miracolo ed Emiglio vende oltre 1 milione di pezzi!

Le versioni di Emiglio si susseguono diventando sempre più tecnologiche fino al 2016, quando, a causa di un notevole calo delle vendite, Giochi Preziosi decide di terminarne la produzione.

Tanti saluti e grazie, piccolo robot tuttofare, ti porteremo sempre nel cuore.

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TAMAGOTCHI

Il Tamagotchi è una console di dimensioni ridotte, grande come un uovo, a forma di uovo, che rappresenta proprio un uovo. Creato dai giapponesi Akihiro Yokoi e Aki Maita e prodotto da Bandai, viene messo in commercio a novembre del 1996 in Giappone, e a maggio 1997 in tutto il resto del mondo. Lo scopo è semplice: sul mini schermo al centro dell’uovo appare, pensate, un altro uovo! Non appena si schiude, ne esce un tenero animaletto di cui voi dovrete prendervi cura, dandogli da mangiare, pulendolo, impartendo regole di educazione, facendolo giocare, dandogli affetto e curandolo, nel caso stia male. Insomma, un vero e proprio simulatore di vita.

Fin qui tutto bene.

I problemi nascono quando l’animaletto crescendo, non solo aumenta di volume, ma raddoppia e triplica le sue esigenze e i suoi problemi.

Il gioco ha infatti scatenato non poche polemiche, specialmente a causa della morte, rappresentata con l’immagine a schermo di un fantasmino svolazzante dall’aria triste su una tomba. Sì, perché se malato e trascurato, il Tamagotchi muore. Se non riceve le giuste attenzioni, si intristisce e muore. Se ci si dimentica di dargli da mangiare o di pulire i suoi bisogni, finisce che muore. La cosa è stata giudicata troppo macabra per un gioco destinato a un pubblico di bambini e per quanto ogni volta, basti resettarlo per creare un nuovo avvio (con un nuovo uovo che si schiude e un nuovo animaletto che nasce), è stato indicato come diseducativo. Vorrei contrastare questa tesi, ma non sono la persona più adatta a farlo, poiché anch’io ho avuto il mio Tamagotchi, me ne sono presa cura, mi sono preoccupata per lui, ma un giorno… è morto. E ricordo ancora lo sconforto, il dispiacere, la tristezza. Perché io a quel cosetto mi ero affezionata, era diventato uno di famiglia, vederlo svolazzare sulla sua tomba non è stato affatto bello. Ricordo la giornata rovinata, nemmeno fosse morto un cane, quindi non lo so mica se l’impatto sui ragazzini sia quello giusto o meno.

Tolta la mia esperienza strappalacrime, non si può ignorare il fatto che alcuni bambini siano entrati in crisi dopo la tragica dipartita del personaggio, manifestando pianti disperati, isterismi e svenimenti, persino. Questo ha spinto diverse persone a chiederne il ritiro dal mercato. In altri casi, il prodotto è stato vietato nelle scuole a causa delle disattenzioni provocate negli alunni, troppo concentrati ad accudirlo costantemente. D’altra parte, non è che si potesse lasciare a casa incustodito, pena ritrovarlo, indovinate? Morto.

Ciononostante, Tamagotchi ha venduto oltre 82 milioni di unità e, nel 2005 è stato premiato dalla Toy Retailers Associaton britannica come miglio gioco dell’anno, attraverso un premio chiamato Toy of the Year Award.

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POWER RANGERS

Ed eccoci a parlare di uno dei franchise televisivi per ragazzi più fortunato di sempre: Power Rangers. Creato da Saban Entertainment, racconta in chiave action, le avventure di alcuni adolescenti che al bisogno si trasformano in colorati supereroi capaci di padroneggiare le arti marziali. Il tutto è legato al fortunato merchandising posseduto da Bandai e distribuito in Italia da Giochi Preziosi. Nel 2018 l’intero franchise è stato acquistato da Hasbro per la modica cifra di 522 milioni di dollari.

Complici le numerose serie televisive, i bambini ne vanno pazzi e non passa molto che i cinque Rangers (più uno speciale), diventino veri e propri eroi anche nel nostro paese.

Nel corso degli anni, anche la produzione commerciale è cambiata, adattandosi a mode e tendenze più attuali, il che non ha influito minimamente sulle vendite che, tutt’oggi, continuano a essere elevate.

In breve, il fenomeno Power Rangers, a distanza di tanti anni continua a resistere, ancorato saldamente a quella sfera di successo che pochi altri hanno raggiunto in maniera tanto progressiva e continua.

Personalmente mi piacciono? No. Ma vuoi per un fratello più giovane di me di dieci anni, vuoi per un figlio ormai grande, ma che da piccolo ha giocato con i Rangers fino allo sfinimento (mio, s’intende), ho convissuto mio malgrado con loro per oltre vent’anni.

Il che mi ha fatto comprendere bene un potenziale sfruttato benissimo e una carica energetica rara. Quindi, sì, i Power-variopinti-Rangers entrano di diritto nella top seven di questo carosello di ricordi.

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PLAYSTATION

PlayStation, conosciuta anche come PSX o PS1 è una console per videogiochi prodotta da Sony Computer Entertainment dal 1994 al 2000. Un successo epocale.

La “Play” segna l’esordio di Sony nel campo delle console e rappresenta non solo un’idea innovativa per quanto concerne l’hardware, ma una rivoluzione nell’intrattenimento videoludico casalingo, preceduto da una campagna pubblicitaria imponente e di grande impatto che in breve tempo la fa primeggiare su “colleghe” più navigate targate Nintendo e SEGA.

Il successo della PlayStation si deve soprattutto alla produzione di videogiochi tridimensionali, alla grafica stupefacente per l’epoca e ai prezzi nettamente inferiori rispetto alla concorrente SEGA Saturn.

La PlayStation viene lanciata in Giappone il 3 dicembre 1994, mentre negli Stati Uniti e in Europa arriva nel 1995. In Italia si vende (senza troppe difficoltà) a lire 749.000 (circa 570€). Le vendite si impennano ulteriormente dal 1999 al 2000, quando il numero complessivo di unità acquistate nel mondo raggiunge i 40 milioni. Nel 1995 finiamo tutti per correre in edicola, quando, direttamente dal Regno Unito arriva la rivista ufficiale dedicata alla ormai famosa console: Official PlayStation Magazine.

Ma cosa ha rappresentato la PlayStation, capolavoro indiscusso di Sony, per noi ragazzetti degli anni ’90? Un universo del tutto nuovo da esplorare. Una dimensione alternativa in grado di catturare costantemente la nostra attenzione. Pure troppo, in alcuni casi.

Vi racconto questa.

Riesco a comprare la mia prima PlayStation nel 1996, a febbraio, precisamente. La pago lire 590.000 con tre giochi: Resident Evil, Crash Bandicoot e Pandemonium.
E da quel momento, la mia vita sociale quasi si azera.

La mia carriera scolastica subisce un crollo verticale e finisco per perdere l’anno.
Le mie nottate diventano sempre più lunghe, il sonno sempre più corto e le mie occhiaie sempre più evidenti.
Sono capace di giocare giornate intere (e non scherzo, giuro).

Una volta, intorno alle tre del mattino spengo tutto, mi metto a letto, chiudo gli occhi e… continuo a vedere le immagini di Crash come fosse ancora acceso davanti a me. Me lo ricordo come fosse ieri.
Insomma, diventa una dipendenza vera e propria. Che non rinnego, sia chiaro, solo, oggi mi rendo conto che da lì in avanti il mio rapporto con i videogiochi è diventato quasi ossessivo, spingendomi ad acquistare, più in là, ogni console in uscita. Di qualsiasi marca. QUALSIASI.

Arrivo ad averne cinque tutte assieme: PlayStation 1 e 2, SEGA Saturn, Nintendo 64 (che bomba, ragazzi!) e il Dreamcast, sempre prodotto da SEGA (altra perla, poco apprezzata, purtroppo).

Mi spingo fino alla PlayStation 3, poi per quelle successive, campo da parassita su quelle dei fidanzati, nel corso degli anni.

Tutto questo per dire che, perlomeno per me – ma credo per tantissime persone – l’avvento della PlayStation ha segnato un radicale cambio di vita, una sorta di passione che tutt’ora è viva e vegeta, seppur in maniera molto diversa.

Grazie, Sony, la regina degli anni ’90 sei tu.


Sveva

Alberica Sveva Simeone

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Alberica Sveva Simeone, classe '78, romana. Coltiva sin da piccola l'interesse per il genere horror e il cinema. Appassionata di cultura pop, film anni '80, amante della città di New York e lettrice instancabile di Stephen King. Nella vita di tutti i giorni ha conseguito studi di carattere sociale, dedicandosi nel tempo libero alla passione per la scrittura. La donna con l'abito nero, edito da Dark Abyss Edizioni segna il suo esordio letterario di genere horror, seguito da La Casa sospesa sul nulla, scritto a quattro mani con il collega Alessandro Girola e The Wormcave, romanzo weird promosso dal marchio editoriale Plutonia Pubblications. Podcaster, youtuber e content creator, attualmente ha in cantiere diversi progetti e novità.

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