Blue Eye Samurai – Netflix ha finalmente il suo capolavoro

Potete guardarlo come racconto d’azione, potete apprezzarne il dramma o ancora farvi incantare dall’animazione e godervi ogni singolo combattimento nel dettaglio. Una cosa è certa: Netflix ha finalmente trovato il suo capolavoro e noi ce lo teniamo stretto. Ecco la recensione assolutamente no spoiler di Blue Eye Samurai, un gioiello che merita l’attenzione di tutti
copertina recensione blue eye samurai
Battle With Honor and Animation.
Non guardatemi così, d’altronde la citazione a “Kill Bill” è talmente esplicita, in BLUE EYE SAMURAI, da suonare come l’unica nota stonata di tutta questa apprezzatissima (e a ragione) serie animata di Netflix, che continua la sua onda positiva su questo versante, regalando e regalandosi soddisfazioni laddove, spesso, le  produzioni “dal vivo” zoppicano.
Così, tra un “Pluto“, adattamento quasi in copia carbone del manga capolavoro di Naoki Urasawa, e un “Scott Pilgrim Takes Off“, che sempre da un fumetto nasce, ecco quest’opera, creata da Michael Green (lo sceneggiatore di “Logan“, Blade Runner 2049” e dei Poirot di Kenneth Branagh) e sua moglie Amber Noizumi, che al Fumetto guarda (come a tanto altro immaginario), ma è sopratutto animazione pura, che unisce perizia tecnica, ad una trama e a dei personaggi concepiti e scritti con coscienza e attenzione.
Veloce sinossi per quelli che magari ne stanno sentendo parlare dappertutto, ma non si sono poi informati più di tanto sulla faccenda: Giappone, 17° Secolo. Un paese che mantiene i suoi confini serrati, e nel pieno del Periodo Edo è difficile vedere facce che non siano giapponesi, a parte rari, illegali, casi. Mizu, una ragazza di razza mista, sta cercando gli unici quattro uomini bianchi che si trovavano in Giappone al momento della sua nascita. Uno di loro potrebbe essere suo padre, reo di averla resa una paria. Ma per ottenere questa sua vendetta, per poter affrontare armi alla pari le sue vittime, deve nascondere chi è, e al freddo e profondo azzurro dei suoi occhi, celati dietro degli occhiali, si aggungerà presto il caldo rosso del sangue nemico…
Questa l’ambiziosa, e splendidamente resa, ambientazione temporale scelta, quella di un luogo chiuso, dove diverse commistioni trovano modo di coesistere, in un importante parallelo tra narrazione e produzione, forte di un intrattenimento intelligente ed “adulto”, non tanto per la violenza e il sesso, quanto piuttosto per un racconto che fa della maturità stilistica la sua prima, e fondamentale, cifra.
Gli autori, americani (lei, di padre giapponese), lo studio che l’ha realizzata, francese (Blue Spirit), unendo grafica 2D a modelli e sfondi 3D, per dare al tutto un tocco di modernità che si coniugasse con l’idea artigianale del disegno a mano, e la supervisione di Jane Wu, che nel corso della sua carriera ha lavorato sia nel campo dell’animazione che degli storyboard, per titoli come “Spider-Man: Into the Spider-Verse“, “The Avengers“, “Guardians of the Galaxy“,  “Shang-Chi” e “House of the Dragon“, e che quindi ben conosce l’azione e il modo di tradurla sullo schermo, con una perizia che incanta.
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L’ambientazione, giapponese.

Quel Giappone particolare, di un altrettanto particolare periodo storico, reso dalle immagini, dai colori scelti con cura e dalle atmosfere, soprattutto queste ultime, forti di un fascino immortale che supera tutto, anche qualche piccolo inciampo o il cedere allo stereotipo (senza dimenticare attimi più fantastici, e non parlo solo del tagliare tronchi d’albero con il filo della spada), ma sono cose che perdoni, perché sei avvinto dalla trama, sei subito pronto a camminare al fianco di Mizu, al pari di Ringo.

Già, i personaggi. Nessuno banale, nessuno lasciato in un angolo senza la possibilità di raccontarsi a dovere, di esporre la sua storia, di mostrarci la sua anima e costruire con lo spettatore un rapporto, di qualsiasi tipo, che sia di empatia, oppure di antipatia, quella che sanno scatenare solo quei caratteri sordidi e meschini che si macchiano di tradimenti, di odio e cattiveria.

Ma ovviamente, se chiedete a me, nessun comprimario batte il succitato Ringo, lui è il punto saldo della storia, quel candore ottimistico che serve davvero in una serie del genere, dove ci sono ninja, samurai, prostitute e maestri, pronti a donare perle di saggezza che rimangono incastonate nello spettatore anche dopo i titoli di coda, e quella visione cinica e poco romantica di situazioni dove, sulla bilancia, la carne ha spesso più valore dello spirito.
D’altronde, la maturità si percepisce anche nella sceneggiatura e nel montaggio, con soluzioni ardite, di flashback che arrivano solo quando devono, per amplificare momenti drammatici, di sangue e lotta e tensione, spezzati da ricordi, momenti che ci illustrano il cammino di Mizu e non solo il suo, proponendoci sfaccettature sino a quel momento inedite, permettendoci di comprendere meglio la nostra mai scontata protagonista.
Un personaggio non tanto in cerca d’autore, quanto di una identità, elemento questo che assume un caleidoscopio di livelli importante, incluso quel non volersi mai definire “Samurai”, nonostante il parere e la speranza di chiunque incroci il suo cammino.
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Desiderosa solo di vendetta, senza (apparente) onore, un valore che non ha mai davvero conosciuto, eppure è impossibile vederla come un’anima persa, quanto piuttosto nobile nel senso più alto del termine e proprio per questo, eroina che conquista, dietro quelle lenti rotonde.
Ci sono dubbi, inganni, cuori che si spezzano, sullo sfondo di una natura eccelsa ed incontaminata, e che vengono battuti come ferro caldo su un’incudine, metallo che si rafforza sino a diventare affilato e pronto a colpire, dove fa più male, anche a sè stessi. Trasformandosi in segni sulla pelle di chi ha conosciuto il dolore.
C’è evoluzione, c’è costruzione, ci sono dialoghi che non sfigurerebbero in una serie di Showtime o HBO, solo che è una serie animata e siamo su Netflix, che può mettere così a catalogo qualcosa che ha quella stessa qualità, a dimostrazione delle parole di Guillermo del Toro: «L’Animazione non è un genere per bambini. L’Animazione è un medium», uno strumento per fare Arte, per raccontare storie che non siano solo colorate avventure per i più piccoli e i loro genitori, ma anche quelle che generalmente ti aspetti di trovare con un cast di attori in carne e ossa (magari dei grandi nomi a cartellone), produzioni faraoniche in termini di messa in scena, altisonanti effetti visivi e combattimenti coreografati.
Tutto questo, “Blue Eye Samurai” lo propone altrettanto, tranne il carne e ossa, eppure non si può assolutamente dire che nessuno dei personaggi non sappia “recitare”, con gli animatori attenti a restituire loro tutta la gamma di espressioni necessarie per renderli più “veri”, e idem se parliamo dei duelli all’arma bianca, degli schizzi di sangue e della neve che cade.
E i “grandi nomi a cartellone” permettono a quelle espressioni di riflettersi anche nella voce. Il doppiaggio italiano è ottimo, ma date un’occhiata al cast di doppiatori originali: Maya Erskine, Masi Oka, Darren Barnet, Brenda Song, George Takei, Cary-Hiroyuki Tagawa, Randall Park, Stephanie Hsu, Ming-Na Wen, Harry Shum Jr., Mark Dacascos e Kenneth Branagh. Decisamente, non i “primi che passano”.
Ma dicevo all’inizio del guardare al Fumetto, ed è indubbio che la Nona Arte, insieme al Cinema, sia stato uno degli ingredienti (incluso il teatro Bunraku) buttati nel calderone da Green e Noizumi: valga un titolo per tutti, “Lady Snowblood” di  Kazuo Koike e Kazuo Kamimura.
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Che vale doppio perché il film del 1973 che ne fu tratto, oltre che per “Blue Eye Samurai” stesso, è valso anche come ispirazione per Quentin Tarantino e il suo “Kill Bill“.
Cerchi concentrici che si chiudono, e finisce pure che sorvoli sull’aver usato quella citazione musicale così esplicita, anche perché quel tema è talmente riconoscibile da sapere sempre come evocare un certo sentire nello spettatore, meglio di tante altre note, che la serie comunque non risparmia, giocando in maniera imprevedibile con gli spartiti, anche nei momenti apparentemente meno opportuni.
Eppure l’effetto non scalfisce il fomento della battaglia e l’attesa per la tanto desiderata resa dei conti, che, come da copione, arriva solo quando deve.
Questo è il punto della recensione in cui dovrei dirvi che “Blue Eye Samurai” è quello che si definisce, di buon diritto, un gioiello, aggiungendo poi quanto antico e moderno sappiano andare a nozze con artistico pregio, perché legati assieme dall’universalità dei temi.
Alcuni più evidenti, altri più sottili e nascosti, capaci di risuonare alle corde di diversi spettatori senza mai perdere in comprensibilità del racconto, svelandosi piano piano, come fa la stessa Mizu con chi le si avvicina quanto basta per riuscirne a vedere forze e debolezze.
Potete guardarlo come racconto d’azione, potete apprezzarne il dramma o ancora farvi incantare dall’animazione e godervi ogni singolo combattimento nel dettaglio.
E io potrei parlarvi ancora di tutto questo, costringendomi a fare spoiler ad una certa, ma sarebbe davvero solo farvi perdere minuti preziosi.
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Se avete già visto la serie, non devo certo spiegarvene io la bontà.
Se ancora non avete premuto Play, vedete di recuperare quanto prima, perché “Blue Eye Samurai” è una proposta validissima, di quelle che si segnalano con piacere e che sono destinate al Cult, e in questo mare magnum di titoli, quando ti capita di farlo, quanto ti capita di tessere le lodi di qualcosa che davvero lo merita così tanto, diventa facile come… beh, tagliare un albero con una spada.
E quando sarete arrivati all’ultimo episodio, con quei bei titoli di coda che scorrono, un veloce consiglio per rimanere ancora un po’ da quelle parti: Netflix ha infatti reso disponibile sul Tubo l’intero sesto episodio in uno stiloso e particolarissimo B/N, un evidente richiamo a Kurosawa e al suo cinema.
Potete vederlo qui, se volete:
Credetemi, è una piccola esperienza nell’esperienza, che amplifica la bellezza del tutto e la voglia di innescare il passaparola. E che, in un parallelo più recente, mi ha ricordato anche quando vidi per la prima volta “Logan Noir“, la versione in bicromia del film con Hugh Jackman.
Esatto, quello scritto sempre da Michael Green.
Come ho detto, cerchi concentrici che si chiudono!
Blue Eye Samurai

Blue Eye Samurai

Autori: Michael Green, Amber Noizumi
Regia: Jane Wu
Stagioni: 1
Episodi: 8
Produzione: Jane Wu, Haven Alexander, Kevin Hart
Studio: Netflix Animation, Blue Spirit, J.A. Green Construction Corporation, 3 Arts Entertainment
Dove vederlo: Netflix
Voto:

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