Ahsoka – Il gran finale della serie ci restituisce il mito di Star Wars

Il Gran Finale di stagione di Ahsoka ci ha emozionato e riportato all’essenza del mito di Star Wars: ecco la nostra recensione, ovviamente senza spoiler

copertina recensione AHSOKA finale di stagione

 

«Le Storie di questa Galassia sono considerate Leggende»

A dire questa frase, nel sesto episodio di AHSOKA, è il Baylan Skoll di Ray Stevenson, una di quelle battute che si dovrebbe perdere nel mucchio, ed invece mi si è piazzata in testa e non mi ha mollato sino all’ultimo episodio.
Perché c’è davvero una sorta di poetico riflesso di verità in quelle parole, qualcosa che ben descrive l’impatto che Star Wars ha su di noi e sull’immaginario, e come Dave Filoni ne sia rispettoso portatore.
Quando ho avuto il piacere di recensire, qui su MegaNerd, le prime due puntate d’esordio della serie, dichiaravo di avere fiducia in Filoni, anzi per la precisione scrivevo di lui: «un autore che ha dimostrato profondo Amore per ciò di cui è sincero appassionato, e non voglio né posso credere che questo non significhi nulla, che anche stavolta toccherà arrivare ai titoli di coda dell’ultimo episodio coi denti strettissimi e la delusione che picchietta sulla spalla».
Felice di non essermi sbagliato, perché “Ahsoka” si è chiusa splendidamente, mantenendo quella Qualità che ha dimostrato di possedere lungo tutta la stagione.
E portando a compimento le cose buone che erano emerse in quei primi episodi, riuscendo a coinvolgere il pubblico, non solamente quello orfano di “Rebels“, e a restituirgli tutto il fascino di quelle “Guerre Stellari” che da decenni non smettono di appassionare.
E questo è stato possibile proprio in nome di quella passione che Filoni riversa nel franchise ideato da George Lucas, di cui possiamo dire è davvero il degno erede, per come ne sa riconoscere le possibilità, narrative e di intrattenimento, catturandone la magia, quella che rimane il suo nucleo migliore, più genuino, autentico e, perché no, “bambino”.
Lo metto tra virgolette, ma non vuole essere offensivo o denigratorio, quanto piuttosto legato a quel volare con la Fantasia sul Millenium Falcon, sul perdersi, con quella giocosa sospensione dell’incredulità e del sogno tanto cara alla Galassia Lontana Lontana, nelle sue storie, nei suoi personaggi, nel suo saper restituire, con nuova Forza, tutta una serie di influenze, mai così evidenti, e sempre magnifico ritrovare.
Perché le Storie di questa Galassia sono considerate Leggende, appunto. E proprio dalle Leggende prendono vita: il Western, i Samurai (il termine Ronin, citato apertamente è stato un piccolo brivido inatteso), il Fantasy.

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E poi, lo stesso Star Wars, con la sua Favola, con quel suo “A long time ago”, fatto di Jedi, di onore, di Maestri e Allievi, di cattivi carismatici e sentimenti di amicizia che superano tutto, ogni avversità, ogni incomprensione, ogni possibile nemico.
È stato un cammino facile? Idealmente sì.
Praticamente, giusto il tempo di assestarsi. Nella già citata recensione, facevo l’esempio dell’essere invitati ad una festa, «a cui siamo davvero tutti invitati, a cui possiamo partecipare, con l’obiettivo di non lasciare nessuno a fare tappezzeria. Sia che conosciate già le mosse di danza e sappiate muovervi con disinvoltura tra i bagliori delle spade laser, sia che invece vogliate rimanere a bordo pista per capire che fare, salvo poi farvi prendere la mano e trascinare al centro per ballare anche voi.», perché c’è appunto quello scoglio, uno bello grande, ma non così impossibile da superare, senza andarci contro, imbarcare acqua e affondare malamente.
Esatto, “Rebels“.
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Le prime puntate, almeno sino all’episodio in cui un carismatico Hayden Christensen la fa da padrone insieme ad un’ottima Ariana Greenblatt, “soffrono” infatti di questa cosa: altro termine da dover mettere tra virgolette, perché è un difetto, ma davvero solo in parte.
Indubbiamente conoscere i pregressi permette di entrare più a cuor leggero nella narrazione, di immergersi a fondo in questa virtuale quinta stagione di quella produzione animata, perché i riferimenti, i cameo, le citazioni abbondano.
Eppure il fascino del tutto è così ben ricercato, così ben costruito, così appassionante, che anche se siete rimasti seduti a quel bordo pista, guardando gli altri ballare, vi siete ritrovati a battere i piedi a ritmo, quasi senza neanche accorgervene.
Sinché non è partita una musica a voi così familiare, da convincervi ad alzarvi da quella sedia ed unirvi agli altri invitati, ma intanto, a quel punto, tutti i personaggi avevano trovato il modo di intrigarvi, mostrarvi il loro potenziale e conquistarvi.
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Quello di “Star Wars” è un universo che, col tempo, ha finito spesso per parlarsi addosso, ripetendo le stesse cose, e senza avere una chiara direzione di come farlo. Una sorta di eco lontana lontana.
Eppure, come ci hanno dimostrato “Rogue One” e “Andor“, ci sono possibilità che, sapute esplorare, possono trovare una loro voce, usando parole nuove.
Ma se in quel caso, era il nostro animo più adulto e scafato ad esser solleticato, è anche vero che le prime, già iconiche, avventure di Mando e Grogu e adesso “Ahsoka“, sono quanto di più vicino allo spirito dell’opera originale, partorito sotto l’era Disney.
Con questo non voglio criticare il resto per partito preso, ma è anche vero che c’è fanservice e fanservice, che c’è, come per tutto, un equilibrio della Forza che bisogna raggiungere, altrimenti si finisce per arrivare alla fine di quell’eco, che quasi il messaggio originale non è più udibile.
Invece Filoni urla forte e chiaro, lo ha fatto con le serie animate prima, e ora finalmente raggiunge un obiettivo che dimostra che è a talenti come i suoi, che ci si sarebbe dovuti rivolgere sin dal principio di questa nuova Era.
In “Ahsoka” è intrinseca la ricerca di un percorso, di un divertimento fatto anche di piccoli inciampi, che diventano perdonabili, proprio per lo spirito che muove tutto il resto. Perché, quando è il momento di far parlare il cuore, anche un semplice abbraccio è motivo di gioia sincera dall’altra parte dello schermo, persino più che rivedere un vecchio, dorato, amico.
La sceneggiatura del buon Dave costruisce episodio dopo episodio, non corre, si prende i suoi tempi, dà ai personaggi, chi prima e chi dopo, il loro spazio, usa dialoghi puntuali e ha ben chiaro dove la sua storia andrà a parare, come raggiungere con efficacia i suoi climax, e quando tutti gli interpreti vanno incontro al loro destino, ci arrivano con nuovi ed importanti stati d’animo.
L’unica critica, che poi critica non è, potrebbe forse risiedere nell’ultimo episodio, che lascia non porte, ma portoni aperti per quel domani già annunciato, ovvero il film che riunirà e annoderà tutti i fili del “MandoVerse” in un’epica avventura finale.
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Però, potrebbe anche essere qualcosa di non ancora ufficializzato, ma già architettato, come una seconda stagione della stessa “Ahsoka“, e quello lo scopriremo solo a tempo debito.
Inutile pensarci ora, meglio invece concentrarsi su quanto ottimo lavoro è stato fatto, sia dal punto di vista dello spettacolo, tra battaglie a colpi di spade laser, simpatiche creature tutte adorabili (perché anche la quota “pupazzosa” è puro DNA di “Star Wars”) e loro, il cast.
Rosario Dawson, come sperato, porta Ahsoka verso nuove vette di maturità caratteriale, dimostrando che per lei la Togruta è un personaggio con una responsabilità, da non tradire e non solo per il pubblico.
A Natasha Liu Bordizzo e Eman Esfandi è bastato un attimo per riportarmi dentro “Rebels”, e altrettanto posso dire a Lars Mikkelsen e al suo Thrawn: perché questo villain è “suo”, lo è sempre stato, prima solo con la voce, e ora con pelle blu e stivali totalitari, con quelle espressioni contenute, ma da cui può trasparire un furore che, il tempo impercettibile di un respiro, ritrova subito il controllo di uno stratega arguto e navigato.
Un cattivo è tale quando dimostra complessità e carisma, e non solo quando agita un pugno verso il cielo, minacciando a destra e a manca. Thrawn è un signore della guerra, usa il pensiero razionale, ed è questo, fra tutto, a rendere chiaro quanto sia pericoloso. Mikkelsen, coperto da make-up e potendo qui aggiungere fisicità a quello che prima era solo doppiaggio, riesce a trasmettere tutto questo, con pochi, misurati e calcolati gesti.
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Mary Elizabeth Winstead è Generale e Madre, una ambivalenza che, grazie anche alla sua prova, trova modo di coesistere con efficacia e bellezza.
Poi c’è il capitolo Hayden Christensen: un attore che qui si prende una rivincita sul fandom tossico non da poco, regalandoci l’Anakin Maestro, dimostrando che non è solo Darth Vader, ma anzi, ampliando finalmente “dal vivo” la dimensione caratteriale del personaggio, la sua saggezza, l’essere davvero l’Uomo e lo Jedi dietro la Leggenda, quella stessa di cui sono fatte… esatto, le Storie.
Felicissimo di ritrovarlo qui, ancor più che in “Obi-Wan Kenobi“, proprio perchè c’è fanservice e fanservice.
Concedetemi però una nota a parte per Ray Stevenson, un piccolo inchino doveroso: inizialmente, il suo Baylon Skoll e l’apprendista Ivanna Sakhno erano due personaggi ancora da inquadrare. Ma quando lo abbiamo fatto, è risultato un po’ più doloroso ammirare la grandezza dell’attore scomparso lo scorso maggio.
Sapere che non vedremo più quest’interpretazione, a cui ha dato un carisma eccezionale, una caratura notevole, un peso specifico, rende palese quanto quelle scarpe saranno realmente scomode da indossare, per chi ne prenderà il posto (visto ciò che avviene nel finale, penso verrà sostituito da un nuovo attore in futuro).
Tutti loro, in ogni caso, hanno portato a casa un compito non da poco, non facile ma è anche in questo che sta un casting fatto con attenzione: riuscire, via via, ad annullare il confine tra animazione e live action, permettendo a questi personaggi di essere ancora più “canonici”. Perché se è vero che “The Clone Wars” e “Rebels” sono canone per tutti i cultori, lo è altrettanto il fatto che per molti, conta solo la produzione filmica.
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Ecco, adesso quella barriera non c’è più: Ahsoka, Sabine, Hera, Ezra, Thrawn hanno saputo “ripresentarsi” e farlo con tutta la potenza di cui sono capaci, sdoganati da Dave Filoni in quella dimensione a cui ha sempre saputo meritavano di appartenere, quella che ha la platea più vasta in assoluto, e che non aspetta altro che di vederli tornare sullo schermo.
Tirando perciò le somme, penso sia abbastanza chiaro che, per chi vi scrive, “Ahsoka” sia più che promossa, proprio per avermi restituito il piacere favolistico di perdermi nella Galassia Lontana Lontana, di voler viaggiare tra le stelle insieme ai Purrgil e di combattere in modo acrobatico e coreografato con le spade laser, usando la Forza e sapendo distinguere il Bene dal Male, ma concedendomi anche delle più profonde zone di grigio, che non intaccano, ma arricchiscono.
Il piacere più Classico, insomma.
«Spesso le Storie sono solo storie», risponde la Shin Hati di Ivanna Sakhno, alla citazione d’inizio articolo del suo Maestro.

È vero. Ma alcune, come in questo caso, son davvero destinate a diventare Leggenda!

Ahsoka - Stagione 1

Ahsoka - Stagione 1

Paese: USA
Anno: 2023
Durata: 44-55 minuti a episodio
Stagione: 1
Episodi: 8
Ideatori: Jon Favreau, Dave Filoni
Regia: Dave Filoni (pt. 1, 5), Steph Green (pt. 2-3), Peter Ramsey (pt. 4), Jennifer Getzinger (pt. 6), Geeta Patel (pt. 7), Rick Famuyiwa (pt. 8)
Interpreti e personaggi:
Rosario Dawson: Ahsoka Tano
Natasha Liu Bordizzo: Sabine Wren
Mary Elizabeth Winstead: Hera Syndulla
Ray Stevenson: Baylan Skoll
Ivanna Sakhno: Shin Hati
Diana Lee Inosanto: Morgan Elsbeth
Eman Esfandi: Ezra Bridger
Genevieve O'Reilly: Mon Mothma
Lars Mikkelsen: Grand'ammiraglio Thrawn
Hayden Christensen: Anakin Skywalker
Dove vederla: Disney+
Voto:

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