La Casa di Carta – Recensione Seconda Parte

Un genio e otto disperati occupano la Zecca di Stato spagnola, per amore dei soldi e speranza di una vita migliore: tra imprevisti e crisi personali, La Casa di Carta continua

Eccoci qui, come promesso, al nostro secondo appuntamento con l’ormai celebre Casa de Papel e con gli otto pazzi che sotto la guida del misterioso Professore hanno occupato la Zecca di Madrid, per amore dei soldi e di una vita migliore.

La seconda parte di questa tanto acclamata serie spagnola è stata distribuita a livello mondiale a partire dal 6 aprile da Netflix che, modificando la sua originale divisione in 6 episodi da circa 70 minuti, decide arbitrariamente di suddividerla in 9 puntate da 40 – 45 minuti ciascuna. Una strategia che era già stata utilizzata per la prima parte e che, spezzando quasi sempre a metà la vicenda più importante della puntata, risulta utile fin dall’inizio a farci rimanere sempre col fiato sospeso.

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Questo era avvenuto anche per il finale della prima parte, che ci aveva lasciati lì in macchina, nel panico insieme al Professore, guardando la polizia fare irruzione proprio nel casale dove tutto è iniziato. Tuttavia, se come me siete reduci da una maratona, per quanto ritardataria, di tutti gli episodi, questa divisione vi risulterà un po’ meno netta.

Un cambiamento, però, si percepisce eccome.

Nel passaggio dalla prima alla seconda stagione a mio parere si assiste ad una sorta di rottura di quegli elementi che hanno reso intrigante o quanto meno verosimile la prima parte della serie. Perché per quanto le situazioni fossero al limite sia all’interno che all’esterno della Zecca, per quanto folle potesse sembrare la mente del Professore, c’era un indiscutibile equilibrio all’interno della narrazione tra l’emotività dei protagonisti e la pura cronaca dei fatti. Il continuo alternarsi di passato e presente che ci ha permesso di approfondire ognuno dei personaggi principali al di là del loro ruolo nella banda e di scoprire, un tassello alla volta, la composizione del piano, perde evidentemente il suo ritmo iniziale e lascia drammaticamente prendere il sopravvento alla più incosciente ed esagerata forma dell’amore.

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Sì, alla fine dei giochi, il messaggio che La Casa di Carta ti trasmette non è che questo: l’amore ha il potere di mandare all’aria qualsiasi progetto, per quanto possa essere importante, per quanto alti possano essere i rischi, l’amore, l’attrazione e l’emotività avranno sempre la meglio. Mi chiedo, è una morale di cui davvero c’era bisogno?

Oltre a indebolire il piano stesso, tra distrazioni e repentini cambi di strategia, la presa di posizione delle situazioni amorose distrugge anche il lato razionale della serie, quello a cui ci si poteva aggrappare mentre cercavamo di far entrare minuto per minuto tutti gli avvenimenti che vedevamo nel brevissimo arco di tempo che ricompre i pochi giorni della rapina. Perché se i rapidi passaggi strategici all’interno della Zecca possono benissimo avvenire in una manciata di minuti e sovrapporsi nella realtà nonostante il loro dilungarsi nella narrazione, il grande amore e i progetti di vita di Raquel Murillo e Sergio Marquina, ideati dopo una conoscenza reciproca a dir poco vaga, sono un po’ difficili da mandar giù. Come lo è indubbiamente anche il finale, che sarebbe stato magari più in linea con l’idea iniziale della serie senza quegli idilliaci cinque minuti ambientati su un’isola sperduta.

Anche le relazioni all’interno della Zecca possono risultare d’intralcio in alcuni momenti cruciali, ma nel contesto di una rapina sono ben più comprensibili emozioni così estreme se a provarle è chi è costretto da giorni ad una reclusione forzata, come se il tempo all’interno dell’edificio potesse scorrere più lentamente, vivendo secondo per secondo sotto stress come se fosse l’ultimo.

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Sono le storie d’amore dunque sia il punto centrale che la grande pecca di questa seconda parte, un po’ stereotipate e un po’ invadenti, perché per il resto La Casa di Carta ancora non si può definire una brutta serie, anzi. I protagonisti continuano ad essere approfonditi, vediamo sempre più chiaramente l’odiosa instabilità di Tokyo, la disperazione di Berlino e la voglia di redenzione di Nairobi, il dolore del Professore e l’innocenza di Denver. Meno approfondite sono le personalità degli ostaggi, tralasciando la bella Monica, la preziosa Alison Parker e il sempre fastidiosissimo Arturo.

È vero, l’immagine della società divisa tra potenti e oppressi, ricchi e poveri, può risultare un po’ banale, ma senza calcare troppo la mano la serie riesce ad inserirla bene nell’intreccio generale, restituendoci delle spiegazioni forse un po’ scontate ma anche dei momenti molto coinvolgenti, durante i quali tra colonne sonore azzeccate ed empatia nei confronti dei personaggi, ci viene voglia di cantare con loro.

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Insomma, al di là dei fastidi personali, questa è una serie che rimane ben fatta. Con una prima parte nettamente più convincente, ma senza meritare una completa bocciatura nella seconda.

Qui potete leggere la recensione della prima parte:

La Casa di Carta – Recensione prima parte

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Claudia Amici

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Il mio nome rispecchia la mia solare personalità. Sono appassionata di letteratura, drogata di serie tv e spacciatrice d'immagini per MegaNerd su Instagram.

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