«I’m sorry, I love you» e la carriera di Ric Flair è consegnata alla leggenda

La gloriosa carriera di Ric Flair è finita con una sconfitta, ma il match contro Shawn Michals è entrato di diritto nella storia del wrestling. Preparatevi a tornare nel 2008, per rivivere uno dei momenti più toccanti degli ultimi anni

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Dopo quasi un mese e mezzo dalla disputa della trentasettesima edizione, forse per l’estasi che ci ha provocato il ritorno del pubblico sugli spalti di un grande evento di wrestling, abbiamo ancora voglia di parlare dello “Showcase of the Immortals”.

Nella “più grande WrestleMania sotto il sole”, come venne etichettato l’evento tenutosi nel 2008 al Florida Citrus Bowl di Orlando, uno dei main event era il Career-Threatening Match fra Ric Flair e Shawn Michaels. La stipulazione era molto semplice: se Ric Flair, indotto nella Hall of Fame proprio la sera precedente, avesse perso, sarebbe stato costretto a ritirarsi dal wrestling attivo. E se tredici anni fa questa prospettiva non vi ha fatto saltare sulla sedia, significa che non avete un cuore.

Ma torniamo a quella notte.

Prima del grande appuntamento, entrambi avevano palesato le proprie intenzioni. Michaels promettendo di estromettere il “vecchietto” dal mondo in cui questi era stato un protagonista assoluto per decenni. Flair giurando di vendere cara la pelle: la leggenda avrebbe lasciato solo alle proprie condizioni. Sono le premesse di uno spettacolo letteralmente epico.

Shawn parte forte ma Ric contrattacca e lo mette all’angolo: “Wooooooo!”. Questa sera sarà dura per te spuntarla, fratello. Per tutta risposta quello gli molla uno schiaffone. Gli animi si scaldano. Partono una serie di scambi molto duri: le tipiche chops, cioè quei colpi sul petto che fanno tanto male e fanno diventare la pelle rossa come un peperone.

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Ad un certo punto, l’“Heartbreak Kid” esegue un moonsault, la capriola all’indietro per atterrare, teoricamente, sull’avversario fuori dal ring. Errore: il nostro finisce per schiantarsi sul tavolo dei commentatori. Il “Nature Boy”, scaltro opportunista come da copione, si scaglia sull’avversario infortunato ma non basta per chiudere la partita. Poco dopo, Michaels ha l’opportunità di rifarsi e stavolta ci riesce: la manovra fallita in precedenza va a segno e tutti e due i lottatori, doloranti al tappeto ai lati del quadrato, rischiano di essere contati fuori dall’arbitro.

Di nuovo in azione, dopo una gomitata scagliata lanciandosi dal paletto, lo “Showstopper” sembra essere vicino alla vittoria ma esita, forse per rispetto nei confronti del mostro sacro che ha di fronte. Flair ne approfitta per incastrarlo nella sua “figura quattro”. L’azione è furiosa: Michaels ribalta la mossa, costringendo l’altro a toccare le corde per far interrompere la presa da parte dell’arbitro. Poi una serie di conti di due, di (ancora) “figure quattro” e rovesciamenti. Pure una prima sweet chin music, cioè il calcio al mento con cui Shawn era solito chiudere i suoi match. Ma è sempre conto di due. Flair non è ancora morto (professionalmente parlando). E lo dimostra il colpo basso che, di nascosto dal direttore di gara, sferra al più giovane collega.

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E, infine, si arriva al momento che è entrato di diritto nella storia di questa disciplina.

La battaglia è stata brutale. Ric è stremato, non ne ha più, ma si rifiuta di mollare. Le gambe reggono appena ma il “Nature Boy” se ne frega. Se deve perdere, lo farà da con il piglio di sempre. Quindi, sfida l’avversario a farsi avanti. Michaels è quasi in lacrime per il dispiacere umano che ciò che, inevitabilmente, sta per succedere gli provoca. Ma deve finire il lavoro, da professionista. E allora gli sussurra: “Mi spiace, ti voglio bene”. Calcio potentissimo al mento e 1-2-3. La carriera di Ric Flair viene ufficialmente consegnata alla leggenda.

Come sempre, è triste quando un campione dello sport è costretto a ritirarsi. Ma una prestazione di tale livello, che rende questo incontro, per l’azione sul ring e lo storytelling, un vero e proprio classico del wrestling di tutti i tempi, è il regalo migliore che il buon vecchio “ragazzo della natura” potesse fare ai suoi fan.

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Gianluca Caporlingua

Cresciuto (???) giocando a calcio e sbucciandomi le ginocchia sui campi in terra della provincia siciliana. Da bambino, però, il sogno (rimasto nel cassetto) era quello di fare il wrestler. Dato che mia madre non mi avrebbe mai permesso di picchiare gli altri, ho deciso di cominciare a scrivere le storie dei miei eroi. Oggi le racconto filtrandole coi ricordi d'infanzia.

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