I meravigliosi anni 90 – Il tramonto della Old School (e del wrestling in TV)

Il nostro viaggio nei meravigliosi anni 90 del wrestling continua con l’ultima parte dedicata al 1994: preparatevi ad assistere al tramonto della “vecchia scuola”, al passaggio di testimone con la nuova generazione… e alla fine del wrestling in TV

wrestling vintage 1994 la fine del wrestling in tv 2
Il “vecchio” Bob Backlund nel 1994 aveva già 45 anni e più di un decennio prima era stato campione assoluto, riempendo le arene di tutto il mondo, fra la fine degli anni Settanta e l’inizio degli Ottanta, quando ancora la World Wrestling Federation si chiamava World Wide Wrestling Federation ed era gestita da Vince McMahon Sr., il padre dell’attuale proprietario. Il suo regno da campione era (e continua ad essere al giorno d’oggi) il secondo più lungo della storia della federazione, alle spalle dell’irraggiungibile Bruno Sammartino. Bob era salito sul tetto del mondo nel 1978 e vi era rimasto per quasi sei anni: una traguardo che alcuni di questi wrestler della cosiddetta New Generation del’94 potevano solo sognare.

Backlund era stato a lungo l’uomo da battere. Fino a quel fatidico 26 dicembre del 1983 al Madison Square Garden di New York, quando era finito nella camel clutch, la devastante presa di sottomissione di The Iron Sheik, e il suo manager Arnold Skaaland, visibilmente preoccupato per l’incolumità del suo assistito, aveva tirato sul ring l’asciugamano per fermare l’incontro e dichiarare la resa del campione. Bob non aveva ceduto né era stato schienato ma il titolo gli era comunque sfuggito di mano. Apparentemente per sempre. E questo lo aveva spinto a ritirarsi.

Bob_Backlund

Poi, a sorpresa, nel 1992 era tornato. Ma nel frattempo la WWF era radicalmente cambiata. E lui, con quell’aspetto così vintage, senza costumi dai colori sgargianti, niente musica d’entrata né frasi ad effetto, sembrava un pesce fuor d’acqua. E poi veniva dalla vecchia scuola, quella che sia prima che dopo essersi picchiati sul ring, indipendentemente dal risultato, ci si stringeva la mano da uomini e la rivalità rimaneva confinata sul quadrato. Pertanto, ben presto Backlund era diventato insofferente al nuovo corso del wrestling e aveva cominciato a pentirsi di aver ceduto alla corte di McMahon figlio e di questa sua attuale WWF. Inoltre, nel roster si stava consumando il tipico scontro generazionale: giovani leoni affamati che, per ottenere un posto al sole, calpestano la storia e non mostrano alcun rispetto per chi gli ha aperto la strada anni prima. Infine, la simpatia con cui i fan avevano salutato il suo ritorno si era rapidamente esaurita. Gran parte del pubblico del 1994 era troppo giovane per ricordarsi dei giorni di gloria di Backlund e, soprattutto, non era più abituato al modello desueto di bravo ragazzo americano che l’ex campione rappresentava. La New Generation era composta da lottatori dall’ego smisurato, l’eloquio tagliente e l’aspetto modaiolo. E questo faceva molta presa, soprattutto sugli adolescenti.

Era davvero troppo da sopportare e ad un certo punto Bob perse letteralmente la testa.

Deluso dai fan moderni che, incapaci di comprendere e apprezzare i suoi valori morali, gli si erano rivoltati contro, decise di contrattaccare imponendo a tutti con la forza il proprio concetto di etica vecchio stampo. In sostanza, nonostante il pubblico adesso lo vedesse come un “cattivo”, lui continuava a credersi un “buono” che difendeva solo i suoi sani princìpi. E questa rinnovata passione si tradusse in una lunga serie di vittorie sul ring: le frequenti sconfitte di qualche mese prima sembravano ormai un vago ricordo.

Così, in poco tempo Backlund si ritrovò in prima fila per sfidare il campione WWF in carica, Bret “The Hitman” Hart, in un match che venne pubblicizzato come “The Old Generation vs The New Generation”. Ora, ricordate che Bret, cresciuto in una storica e gloriosa famiglia di wrestler, era probabilmente il lottatore moderno più in sintonia con lo stile e i valori del passato. E il suo rispetto per Bob era sempre stato assoluto. Di fatto, il giovane campione raccolse con onore la sfida dell’avversario nella puntata di Superstars del 30 luglio.

Un incontro estremamente tecnico – una goduria per i puristi della disciplina – che ad un certo punto Backlund pensò di aver vinto, tanto da cominciare ad esultare saltellando sul ring (persino il saltello era old style…). In realtà, però, il campione aveva alzato le spalle dal tappeto prima che l’arbitro completasse il conteggio di tre. E mentre il direttore di gara cercava di spiegare a Bob la dinamica di quanto era accaduto, Bret ne approfittò per un veloce roll-up che gli valse la vittoria.

 

Dire che, subito dopo, Backlund fosse attonito è un eufemismo. Ricordo che per qualche minuto la scena fu divisa esattamente a metà: da una parte Hart con la cintura sulla spalla che festeggiava salutando il pubblico, dall’altra Bob che sembrava in trance e continuava a battersi una mano con l’altra mimando il conteggio dell’arbitro. Poi Bret gli si avvicinò al centro del ring e temetti il peggio. Per fortuna, dopo qualche secondo di esitazione, l’esperto avversario gli tese la mano, fedele alla sportività di sempre.

maxresdefault (1)La cosa finisce lì e tutti vanno a casa in pace, direte voi. Eh no! Questo è il wrestling, remember! Ancora oggi ho vivida memoria delle mie sensazioni di fronte a quelle immagini. Da sempre amante dei lieto fine, io speravo che, dopo la stretta di mano, andassero proprio tutti a casa. Ma l’Hitman continuava a celebrare la vittoria salendo sui paletti del ring e mostrando la cintura ai fan. Che se non lo avessimo conosciuto, sembrava quasi che lo stesse facendo apposta per provocare l’altro. Quindi ebbe la felice idea di tornare al centro del quadrato per dare lui, stavolta, la mano a Backlund. E io pensavo: ma non ti è bastato che te l’abbia già stretta prima? Ma non stuzzicarlo…ma vai a festeggiare negli spogliatoi o da qualunque altra parte…ma lascialo in pace che non è serata. Niente. Bret si era fissato che doveva stringergli di nuovo la mano. Poi non lamentarti se a quell’altro girano, va fuori di testa e ti mette le mani addosso, però…

Come volevasi dimostrare, dopo ancora qualche secondo di esitazione, in Backlund scattò qualcosa: invece di accogliere il gesto di rispetto del campione, rispose alla sua mano tesa schiaffeggiandolo e applicando su di lui la cross-face chicken wing, la sua letale mossa di sottomissione delle “ali di pollo”, come la chiamava Dan Peterson. C’è da dire che la costruzione psicologica di questo classico heel turn da parte della WWF fu magistrale: dopo il raggiungimento del massimo picco di intensità della scena, mentre il personale della federazione soccorreva il povero Hart, Backlund rimase sul quadrato a guardarsi le mani, intontito, come se non potesse credere a ciò che aveva fatto pochi istanti prima.

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I fan furono talmente contrariati da quanto era successo che cominciarono a provare un genuino disprezzo nei confronti del “nuovo” Bob Backlund. Si sa che, nella continua lotta fra il bene e il male inscenata nel wrestling, la gente paga il biglietto anche per “odiare” i “cattivi”, oltreché per tifare per i “buoni”. E Bob continuò a dare al pubblico ulteriori motivazioni per detestarlo, attaccando altri beniamini come Lex Luger, 1-2-3 Kid, Adam Bomb e persino il telecronista Jim Ross e il suo vecchio manager Arnold Skaaland, che Backlund incolpava ancora per avergli fatto perdere il titolo nel 1983 interrompendo l’incontro.

McMahon fiutò l’affare e decise di dare a Backlund una nuova opportunità per la cintura dei pesi massimi al pay-per-view di novembre, Survivor Series. In un submission match, cioè un incontro in cui si può vincere solo facendo cedere l’avversario, stavolta a prevalere fu il veterano. Ma non fu una vittoria pulita, in perfetto stile heel. Infatti, a bordo ring c’era Helen Hart, la madre di Bret e Owen. E proprio quest’ultimo, da mesi in rotta con il fratello, la convinse a fare quello che Skaaland aveva fatto con Backlund nel 1983, cioè tirare l’asciugamano sul ring in segno di resa del figlio!

Dopo più di dieci anni dall’ultima volta, Bob era di nuovo il numero uno del wrestling. E la parte del “cattivo” gli calzava a pennello, tanto che Vince McMahon sembrava intenzionato a dargli un lungo futuro da campione WWF.

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O forse no…

Pare che, pensandoci bene, McMahon non fosse troppo convinto delle potenzialità a lungo termine al botteghino e in pay-per-view di un campione della vecchia scuola reinventatosi “cattivo”, per quanto la reazione immediata del pubblico fosse stata tutto sommato munifica. Pertanto, il 26 novembre, tre giorni dopo aver conquistato la cintura, Backlund la rimise in palio nell’“arena più famosa del mondo”, cioè il Madison Square Garden, contro un altro astro nascente della New Generation: “Diesel” Kevin Nash. Si trattava di un house show, cioè quegli spettacoli che non vengono trasmessi in tivù e Diesel ci mise appena otto secondi a sbarazzarsi dell’avversario, strappargli la cintura e rispedirlo nuovamente nel dimenticatoio. Più semplice di scendere nel vialetto di casa per buttare la spazzatura.

Qualcuno potrebbe dire che la modalità con cui avvenne il cambio di mano del titolo fu l’umiliazione definitiva della old school del wrestling. Ma tant’è, la torcia era ormai passata nelle mani di Diesel che iniziava così la sua era da campione.

Kevin Nash è sempre stato uno dei miei lottatori preferiti e l’idea di potermelo godere da nuovo detentore della corona dei pesi massimi mi piaceva parecchio. E l’avrei fatto volentieri, non fosse stato che Mediaset (o Fininvest, come si chiamava allora) non era evidentemente dello stesso parere. Il 31 dicembre 1994, con la febbre che mi aveva già rovinato i piani per la serata di capodanno, mi sintonizzai su Italia 1 per assistere a quella che sulla guida tivù veniva indicata come l’ultima puntata di Superstars. Io pensavo “sì vabbé, la solita pausa momentanea, com’è già successo in passato”.

La “pausa” sarebbe durata cinque anni.

I meravigliosi anni 90 – 1994: il mistero dei due Undertaker

 


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Gianluca Caporlingua

Cresciuto (???) giocando a calcio e sbucciandomi le ginocchia sui campi in terra della provincia siciliana. Da bambino, però, il sogno (rimasto nel cassetto) era quello di fare il wrestler. Dato che mia madre non mi avrebbe mai permesso di picchiare gli altri, ho deciso di cominciare a scrivere le storie dei miei eroi. Oggi le racconto filtrandole coi ricordi d'infanzia.

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