I grandi campioni afroamericani della storia della WWE

Nell’episodio di questa settimana di Wrestling Vintage celebriamo gli unici tre campioni del mondo afroamericani della storia della WWE: Dwayne “The Rock” Johnson, Kofi Kingston e Bobby Lashley

copertina wrestling vintage campioni afroamericani
A molti di voi (forse quasi a tutti, a dire il vero) il nome Rycklon Stephens non dirà nulla. Ma moltissimi degli amanti del wrestling della prima decade dei Duemila si ricorderanno, invece, di Ezekiel Jackson, l’identità con cui il possente lottatore di colore conquistò, nella WWE, il titolo intercontinentale e, in seguito, divenne anche l’ultimo campione ECW della storia.

Per celebrare la recente vittoria della massima cintura WWE da parte dell’amico ed ex collega Bobby Lashley, Stephens (o Jackson, se preferite) ha postato su Instagram questa foto:

Penso davvero che la gente non si renda conto della grandezza di questa cosa e dei suoi effetti su altri wrestler di colore…” è il commento che accompagna la bellissima immagine di un bambino che alza al cielo la sua replica della cintura mentre osserva un murales raffigurante gli unici tre campioni del mondo afroamericani della storia della WWE (quantomeno fino ad oggi). Perché è vero che, nel corso degli anni, vari lottatori di colore si sono potuti fregiare del titolo di “campione del mondo” (per esempio, Booker T o Mark Henry hanno portato alla vita la Big Gold Belt usata precedentemente anche in WCW) ma è innegabile che, ormai da svariati decenni, il gradino più alto del wrestling sia la corona dei pesi massimi della WWE.

E oggi vogliamo proprio dedicare la nostra rubrica alla parte più vintage della carriera di questi tre wrestler che, con i loro regni da campione assoluto, hanno scritto una pagina indelebile della storia del nostro sport-spettacolo preferito.

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L’uomo più elettrizzante nel mondo dello spettacolo: The Rock

A dire il vero, prima si definiva “l’uomo più elettrizzante nello sport-spettacolo” ma, dopo essere diventato anche un attore di successo a Hollywood, Dwayne Johnson ha modestamente allargato il campo all’intero mondo dell’entertainment. Perché “se c’è ancora qualche aspetto del settore che The Rock non ha ancora elettrizzato, lo troverà”, dicono dalla federazione di Stamford. E non farà prigionieri, come sempre, aggiungiamo noi.

Dotato di uno straordinario carisma naturale, Dwayne è un predestinato. Dopo una breve carriera nel college football, decide di seguire le orme del nonno, “High Chief” Peter Maivia, e del padre Rocky Johnson. Un lottatore di terza generazione ha la strada spianata per una carriera di successo, direte voi. E invece le cronache ci dicono che, se certamente può rappresentare un vantaggio iniziale, portare un cognome pesante può anche arrivare a schiacciare una carriera, se le spalle di chi la persegue non sono abbastanza larghe.

Pensate al costume con cui il giovane Rocky Maivia (nome scelto in onore di entrambi i familiari) debutta alle Suvivor Series del 1996. Roba da distruggere sul nascere qualunque aspirazione.

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Ci sono wrestler che hanno dovuto cambiare mestiere per molto meno. Ma non lui, non The Great One.

Infatti, nonostante avesse conquistato il titolo intercontinentale dopo soli tre mesi dall’esordio, i fan lo prendono in antipatia e lo omaggiano di simpatici cori come Rocky sucks! o Die, Rocky, die. Per tutta risposta, il nostro si accorcia il nome in “The Rock” e si prende la leadership di una delle fazioni di “cattivi” che imperversano nella World Wrestling Federation del 1998: la Nation of Domination.

Ma The Rock spicca definitivamente il volo quando, dopo aver lasciato la Nation, partecipa al torneo delle Survivor Series 1998 per l’assegnazione del vacante titolo del mondo. In finale, grazie al sorprendente aiuto del boss della federazione, Vince McMahon, l’autoproclamatosi People’s Champion ruba letteralmente il match e la cintura all’avversario Mankind. Ma non importa. Gli annali dicono che The Rock, primo wrestler afroamericano a raggiungere questo traguardo, è sul tetto della federazione più importante al mondo. Ci rimarrà ancora a lungo.

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Kofi Kingston, campione di positività

La sua carriera nel wrestling che conta inizia nel 2008 nella rinata ECW, la versione WWE del brand estremo. Kofi viene presentato come il primo lottatore giamaicano della storia della federazione: il ragazzo è costretto a parlare con l’accento dell’isola caraibica e ad accettare che il suo (finto) cognome sia, guarda caso, il nome della capitale. Ma, in realtà, Kofi è nato in Ghana e, intorno ai dodici anni, si è trasferito negli Stati Uniti, diventando in seguito il primo atleta nato in Africa a debuttare alla corte di Vince McMahon.

Chi lo conosce bene dice che il suo personaggio sia molto simile all’uomo: sempre allegro, sorridente e solare. Avendolo visto dal vivo, a pochi metri di distanza, quando arrivò insieme ai suoi colleghi del New Day e alla sua famiglia all’ingresso del palazzetto dove si sarebbe tenuta la cerimonia della Hall of Fame del 2017, devo dire che delle due l’una: o finge molto bene o, più verosimilmente, in effetti il Kofi on-screen e quello nella vita reale sono abbastanza sovrapponibili.

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Grazie a doti atletiche fuori dal comune – pensate ai numeri che è riuscito a tirare fuori per salvarsi dall’eliminazione in varie edizioni del Royal Rumble match –, Kingston vince il suo primo titolo, quello di campione intercontinentale, nel 2008, battendo un mostro sacro come Chris Jericho. Ripeterà l’impresa altre tre volte, avendo la meglio, rispettivamente, su The Miz, Dolph Ziggler e Drew McIntyre. Ma la collezione di cinture non finisce qui: tre volte campione degli Stati Uniti e recordman di titoli di coppia, per i quali, con la squadra del New Day, detiene anche il primato di regno più lungo di sempre: 483 giorni, cioè – per capirci meglio – le cinture non sono passate di mano per oltre un anno!

Nel 2019, l’occasione inseguita da una vita. Sulla strada per Wrestlemania, i tentativi di Kofi di ottenere una chance per il titolo WWE vengono ripetutamente mortificati dal perfido McMahon. Ma grazie all’aiuto dei suoi compagni Big E e Xavier Woods, che vincono una serie di incontri di coppia che, se superati, avrebbero garantito un match per la massima corona all’amico, Kofi può finalmente affrontare il campione in carica Daniel Bryan sul palcoscenico di Wrestlemania 35, ribattezzata per l’occasione Kofimania. Il resto è noto: Kingston vince la cintura e diventa il secondo campione WWE di colore della storia, il primo in assoluto nato in Africa.

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Bobby Lashley, il CEO dell’azienda produttrice di dolore (per gli avversari)

Quella macchina di potenza chiamata Lashley compare per la prima volta sugli schermi della WWE l’11 novembre del 2005 in una puntata di Smackdown. I fan italiani di quegli anni lo ricordano soprattutto per due cose, nessuna delle quali gli fa onore ma entrambe non dovute a sue scelte: Ciccio Valenti che lo chiama “Tartufone” nelle telecronache improvvisate su Italia1 e La Battaglia dei Miliardari di Wrestlemania 23. Di fatto, dopo essere stato a lungo imbattuto, aver conquistato il titolo intercontinentale e, poi, quello ECW, nel 2007 Bobby viene selezionato nientepopodimeno che dal futuro Presidente degli Stati Uniti (e quest’ultimo dettaglio purtroppo non fa parte di una storyline). Donald Trump, a quei tempi ancora un semplice miliardario come tanti, lo ingaggia per combattere in suo favore la guerra con Vince McMahon, rappresentato, a sua volta, dal selvaggio samoano Umaga, per determinare chi fra i due fosse quello più potente. A Wrestlemania va in scena un Hair vs. Hair match, alla fine del quale l’arbitro speciale “Stone Cold” Steve Austin avrebbe dovuto rasare a zero il miliardario che aveva assunto il lottatore uscito sconfitto dalla contesa. Alla fine, grazie al possente lottatore, è The Donald a conquistare lo scalpo di McMahon (una cosa che si sarebbe ripetuta con i democratici alle elezioni politiche del 2016…).

Dopo circa un decennio di assenza, nel 2018 Lashley firma un nuovo contratto con la WWE e ricomincia il percorso di distruzione che gli vale due regni da campione intercontinentale e un altro da campione degli Stati Uniti. Infine, lo scorso 1 marzo, Bobby iscrive il suo nome in questo speciale albo d’oro dei campioni afroamericani battendo The Miz e strappandogli dalla vita la cintura di campione del mondo.

L’era di Re Lashley è appena iniziata.

 

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Gianluca Caporlingua

Cresciuto (???) giocando a calcio e sbucciandomi le ginocchia sui campi in terra della provincia siciliana. Da bambino, però, il sogno (rimasto nel cassetto) era quello di fare il wrestler. Dato che mia madre non mi avrebbe mai permesso di picchiare gli altri, ho deciso di cominciare a scrivere le storie dei miei eroi. Oggi le racconto filtrandole coi ricordi d'infanzia.

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