Atto d’amore n. 1: Lupin III, la Pietra della Saggezza

Cari lettori di MegaNerd,
senza girarci troppo intorno, sto per parlarvi di Lupin III. Trovatemi una persona che non sappia chi sia il ladro gentiluomo; spero davvero che non esista, altrimenti abbiamo un problema di alfabetizzazione e di certo, non spetta a me risolverlo.

Mi auguro che vi arrivi l’immenso amore che provo per quest’anello che gira intorno al nostro mondo da prima che molti di noi e voi nascessero.

Non starò qui a farvi la lezioncina nerd su chi è Monkey Punch, sulla produzione che non accenna a diminuire e che ruota intorno ad Arsenio. Ormai, prossimi alla fine del 2017, anno in cui Lupin spegne 50 candeline, apro questo scrigno a mio parere pieno di tesori, che ho davvero tanta voglia di condividere con voi.

Non andrò in ordine e non ho pretese di completezza, anzi. La speranza è quella d’instillare tanta curiosità quanto basta a recuperare, approfondire, e perché no, studiare un fenomeno senza eguali, intelligente, bello e appassionante come quello di Lupin III.

Senza cincischiare ancora, diamo inizio al primo atto con uno dei film più belli del franchise del ladro gentiluomo, un vero e proprio pezzo di storia dell’animazione:

Lupin III: la Pietra della Saggezza

L’arrivo di questo lungometraggio animato fu la scossa decisiva per Lupin che diciamocelo, non era partito proprio alla grande.

Sapete, all’inizio degli anni ’70, la prima serie su Lupin III (prima = giacca verde eh, non mi cascate su queste cose), fu un colossale buco nell’acqua. La regia di Yasuo Otsuka non venne apprezzata dal pubblico; la messa in onda venne chiusa in fretta e furia con sole 23 puntate e la produzione chiamò addirittura Miyazaki per aggiustare il tiro. Nonostante il subentro del Maestro, che edulcorò non poco Lupin cercando di trasformare la versione animata in un prodotto fruibile per il grande pubblico, Lupin non piacque. Persino papà Monkey Punch ne prese le distanze.

Con ogni probabilità, l’insuccesso iniziale dipese dall’impostazione davvero ardita per i tempi. Lupin è un personaggio ombroso, il manga è molto violento e spinto, poco incline a incontrare il favore di una piacevole visione in famiglia. E dunque, come si arriva al successo di Lupin tanto da proporlo al cinema? Dando più tempo agli spettatori di comprendere una personalità complessa e un susseguirsi di avventure da seguire con molta attenzione.

Le tv di seconda e terza fascia, complice il basso costo del titolo, iniziano una messa in onda a ripetizione e Lupin diventa uno di famiglia. Ascolti senza precedenti non potevano essere ignorati dalla Tokyo Movie Shinsha (TMS) che produsse una seconda serie di ben 155 episodi (e qui Lupin indossa la giacca rossa, così non vi sbagliate).

Mentre Lupin III si gode la sua rinascita in tv collezionando ascolti record, la nouvelle vague alla guida della prima serie (dei leoni ragazzi miei, due palle così) ci riprovano con la prima versione, e questa volta al cinema. D’altronde Lupin nasce crudo, violento. Con la magistrale supervisione di Yasuo Otsuka (che se la sarà proprio goduta la telefonata dei produttori che gli chiedevano di tornare), la regia perfetta di Soji Yoshikawa che aveva già collaborato alla stesura degli storyboard delle prime puntate della prima serie, si pensa al primo lungometraggio. E infine il jazz, ragazzi miei. Tanto di quel jazz da farci sguazzare felicemente le orecchie.

Il 1978 fu l’anno del primo lungometraggio e a tutt’oggi, uno dei migliori mai prodotti su Lupin.

Il fenomenale ladro conosciuto in tutto il mondo, è stato catturato e impiccato in Transilvania. L’Ispettore Zenigata sa che è impossibile la cattura di Lupin, a meno che questo colpo non riesca proprio a lui e si reca sul posto per verificare. Nessuno può farla al vecchio e caro Zazà, e infatti Lupin non è morto e lo aspetta quel tanto che serve a deriderlo e fuggire con il suo bottino: la radice di mandragola. In quest’occasione Lupin è più che mai impegnato a soddisfare i capricci di Fujiko, prossima al segreto dell’immortalità. L’obiettivo di Lupin è la pietra filosofale che lo condurrà, ovviamente insieme a Jigen e Goemon (splendidamente caratterizzati in quest’occasione) in Egitto. Fujiko a sua volta lavora su commissione di Mamoo, un miliardario che ha deciso di impossessarsi del segreto della vita eterna e che ha promesso di ricompensarla.

Due aspetti da sempre mi colpiscono e affascinano; io quasi grido al capolavoro (senza quasi). Come ben saprete, è impossibile resistere al fascino di Fujiko. Daisuke Jigen e Goemon da sempre tollerano molto poco l’infatuazione di Lupin per una donna che decide il bello e il cattivo tempo. Ne “La Pietra della saggezza”, i due compagni di avventure di Lupin davvero non si risparmiano mettendo Lupin all’angolo più di una volta. I dialoghi sono acuti, arriva perfettamente il fastidio provato per una donna in grado di manipolare Lupin a suo piacimento e l’esasperazione per la condiscendenza di quest’ultimo. Tuttavia Lupin non è un uomo qualsiasi e anche quando si tratta di Fujiko Mine, mantiene una lucidità tale da risultare lui l’unico e solo manipolatore. Scoperti gli intenti della donna, Lupin la deride e mette all’angolo. Davvero Fujiko vuoi rimanere giovane per sempre? Possibile che la tua intelligenza venga offuscata con tanta facilità da un intento così superficiale? E di colpo, un uomo riesce nell’impossibile: far rimanere in silenzio una donna. Ovviamente se la donna è Fujiko non si va per il sottile e la sua spregiudicatezza e il suo cinismo sono leggenda (tanto quanto le sue enormi tette. Dio, quanta abbondanza).

La storia vi travolgerà e scoprirete i veri intenti di Mamoo e se, nonostante gli asti e le amare verità, la squadra riuscirà a cavarsela e rimanere unita.

Il ritmo è travolgente. Fughe rocambolesche a bordo di una Mercedes-Benz SSKL del 1931 (la 500 arriva dopo, qui si utilizza il primo feticcio di Lupin ma alleggerito rispetto alla SSK del 1928 che la leggenda vuole sia appartenuta a Hitler); tentativi di seduzione della bella Fujiko; Goemon e Jigen ispirati come noi mai rendono il film un momento di puro piacere. Inoltre Mamoo è una continua sorpresa e i suoi intenti di conquista della vita eterna, partono da molto, molto lontano. È interessante la cura della scenografia e i continui rimandi all’arte usata come simbolo, soprattutto, degli aspetti caratteriali di Mamoo.

Da Salvador Dalì e la sua Metamorfosi di Narciso e la Persistenza della Memoria, a Giorgio De Chirico con il suo Mistero e Malinconia di una Strada. Ancora, Renoir, Escher e Don Eddy. Il delirio di onnipotenza di Mamoo è perfettamente rappresentato ponendo alle sue spalle la Creazione di Adamo di Michelangelo, mentre Lupin e Fujiko si trovano davanti alla Cacciata dal Paradiso Terrestre.

500 milioni di yen investiti in una pellicola che fruttò oltre il miliardo di yen in patria (una cifra spropositata per i tempi) per un progetto apripista di un fenomeno che da mezzo secolo ci intrattiene con intelligenza. Siamo nel 1978. Tenete presente che solamente un anno dopo uscì “Il Castello di Cagliostro”, opera sublime del Maestro Miyazaki e lo script parte da qui. Opera prodiga di citazioni, si scimmiotta James Bond e si omaggia Star Wars e Dune. Apprezzo soprattutto l’omaggio a quest’ultimo perché il regista vi dedica una lunga sequenza: Lupin in automobile, inseguito da un gigantesco camion lungo una strada che si snoda in pericolosissimi tornanti.

Un divertente rimando è fatto anche alla Lega della Giustizia, vi sfido a individuarlo.

Film che si presta a diverse chiavi di lettura e che fa esplodere l’arguzia e il cinismo della squadra al completo, ci guida attraverso l’idea della sconfitta della morte senza perdere un colpo per tutta la durata (cento minuti circa).

Da noi il primo lungometraggio dedicato a Lupin III arrivò nel 1979 e da lì Lupin a casa nostra  ne ha fatta di strada. Impareggiabile il primo doppiaggio, la voce storica di Del Giudice (insostituibile) e della squadra al completo, di cui fa parte ovviamente il buon vecchio Zenigata. A proposito di Zazà, tranquilli che l’ispettore sa ritagliarsi sempre il suo spazio e non vi deluderà nemmeno in questa occasione.

Per quanto riguarda le versioni successive, ce ne sono altre tre. Dimenticatele, soprattutto l’ultima che nemmeno considero visto che Lupin non è doppiato da Roberto Del Giudice.

Lupin III: la pietra della saggezza, è un film che tutti dovrebbero vedere. Ognuno di noi deve qualcosa a Lupin, fosse anche il travestimento a carnevale. Dimenticare Lupin è una cattiveria verso voi stessi. Andate avanti, scoprite e amate il nuovo ma non dimenticate mai la bellezza del mondo di Monkey Punch e di tutta la famiglia che di Lupin ne ha fatto un mito senza precedenti.

 

  つづく

 

Sig.ra Moroboshi

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Contro il logorio della vita moderna, si difende leggendo una quantità esagerata di fumetti. Non adora altro Dio all'infuori di Tezuka. Cerca disperatamente da anni di rianimare il suo tamagotchi senza successo. Crede ancora che prima o poi, leggerà la fine di Berserk.

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