Tony Valente, il mangaka francese alla conquista dell’Italia

Tony Valente è un fumettista francese a cui si deve un importante primato: è il primo autore straniero ad aver pubblicato un manga in Giappone, Radiant, guadagnando anche un discreto successo. Noi di MegaNerd lo abbiamo intervistato per voi durante il Comicon Napoli 2023

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Ciao Tony, è un piacere conoscerti e avere l’opportunità di intervistarti per MegaNerd. Entriamo subito nel vivo dell’intervista parlando del tuo viaggio nel mondo dei fumetti, iniziato con la pubblicazione de “I quattro principi di Ganahan“. Come è nata la tua passione per manga e fumetti, e cosa ti ha ispirato a creare la tua prima serie?

Tutto è cominciato con la scoperta degli anime in tv, e poi dei fumetti da cui erano tratti. Dragon Ball e Ranma erano i miei preferiti, da bambino. Così ho iniziato a leggere manga in contemporanea con i fumetti francesi ed europei; e siccome passavo tutto il tempo a disegnare e scrivere storie, quello mi è sembrato il modo migliore per esprimermi. Mi piacevano davvero molto gli anime, ma dal momento che c’erano troppe persone coinvolte, ho preferito andare verso qualcosa di più “solitario”. Per questo ho deciso di fare manga.

Il successo di Radiant ti ha reso uno dei pochi autori non giapponesi ad ottenere un ampio riconoscimento nel mondo del manga. Cosa distingue Radiant dagli altri manga, e come ti senti riguardo alla sua accoglienza in Giappone e a livello internazionale?

È  difficile per me rispondere a questa domanda, perché sono al centro di questa cosa e non sono coinvolto in tutto il processo. Io mi limito a lavorare, e sento di farlo esattamente come lo facevo prima di Radiant. Forse ho scelto un soggetto migliore, forse ho un po’ di esperienza in più, ma non credo ci sia qualcosa che distingua Radiant dagli altri titoli. Credo ci sia una gran quantità di fortuna coinvolta. Direi che il settore probabilmente era maturo abbastanza da accettare anche fumettisti stranieri; forse se avessi fatto esattamente la stessa cosa dieci anni prima, non sarei qui ora. O se lo avessi fatto dopo, ci sarebbero state opere migliori prima di me. Sono convinto che c’entri davvero tanto la fortuna, e anche il momento in cui è accaduto.
Quanto all’accoglienza del manga, mi sento molto fortunato. Alle volte ne sono un po’ sopraffatto, ma è tutto molto virtuale: non partecipo spesso alle convention e anche quando lo faccio, in realtà, ci sono pochi di quelli che lo hanno letto. Vedo le cifre, ma come scrittore non è qualcosa che posso dare per scontato. Non vedo le persone che lo leggono, e questo rende tutto ancora molto astratto.

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Hai lavorato sia nello stile manga che in quello franco-belga. Come affronti diversamente il processo creativo per ciascun medium e quale trovi più impegnativo?

Ciascun tipo di format è impegnativo, a suo modo. La difficoltà maggiore che ho trovato nel fumetto francese, ad esempio, è che avevo troppe idee per troppe poche pagine; inoltre ho dovuto trascorrere molto tempo su ciascuna pagina per colorarla. Lo sforzo che ho dovuto fare in qualcosa che non fosse raccontare la storia è stato gigantesco, per me.
Quando poi sono passato al manga, la difficoltà è stata mantenere il ritmo. Pensavo che il difficile fosse mantenere un certo livello di disegno per tutto il tempo, ma alla fine a quello ti abitui, ti abitui alla mole di lavoro. Ma mantenere lo stesso livello di energia, quello sì è sfidante; sopratutto quando hai finito un volume e devi iniziare il successivo, e magari sei già in ritardo… quello è qualcosa che non avevo sperimentato con il fumetto francese.

La tua collaborazione con Didier Tarquin su S.P.E.E.D. Angels ha riunito due diverse visioni artistiche. Come è nata questa collaborazione e come hai trovato l’esperienza di lavorare insieme a
questo progetto?

Innanzitutto, Didier è uno dei miei artisti preferiti, quindi per me l’esperienza era grandiosa già solo per quello. Non credo la sua serie, Lanfeust, sia molto famosa in Italia, ma in Francia è stata un grande successo. Ha venduto qualcosa come 15 milioni di copie, parliamo di cifre folli.
Lui è il motivo per cui ho iniziato a fare fumetti francesi; mi piaceva così tanto il suo lavoro che ho cercato di fare lo stesso. Già solo per tutto questo, è stata una grande esperienza. Poi lui è la persona migliore che io conosca: ancora oggi nel nostro settore è uno che ha uno sguardo fresco, cerca ancora di divertirsi, ed è qualcosa che senti quando lavori con lui.
Dall’altro lato, quando ho cominciato lavoravo per conto mio, per cui è stato molto complicato per me disegnare sulla sceneggiatura di qualcun altro. È per questo che ho dovuto smettere, seppure a malincuore, perché lavorare con Didier è grandioso. Ma purtroppo sento il bisogno di scrivere le mie storie.

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Essendo uno dei pionieri del movimento japstyle in Europa, cosa pensi abbia contribuito alla crescente popolarità del manga e alla sua influenza sui fumetti europei?

Tutto è iniziato quando le persone che sono cresciute coi manga sono diventate grandi abbastanza da entrare nel settore. All’inizio il processo è stato lento, perché erano pochi quelli che lo facevano. Io non sono stato il primo, ci sono stati molti altri artisti che lo hanno fatto prima di me, ma probabilmente l’accoglienza era più fredda qualche anno fa. Ora, che quasi ovunque è possibile godersi un manga – in particolare durante la pandemia, quasi chiunque ha fruito di manga e anime – , è diventato qualcosa di familiare, non c’è più un problema di accoglienza. Immagino sia uno dei motivi per cui è diventato così popolare. Quindi abbiamo dovuto aspettare che le persone diventassero grandi abbastanza da iniziare a produrre e che la familiarità con il manga si espandesse.

Con il supporto di rinomati mangaka come Yūsuke Murata e Hiro Mashima, in che modo la loro guida e il loro sostegno hanno influenzato la tua carriera e il tuo approccio alla narrazione e
all’arte?

Non c’è stata una vera e propria guida da parte loro; più che altro, hanno accettato di fare un disegno e una nota per la pubblicazione del volume in Giappone. È stata una cosa importantissima, per me. Yūsuke Murata poi è il mio artista preferito in assoluto, ed è a causa del suo lavoro, se il mio ha la forma che ha. Con Hiro Mashima abbiamo fatto qualche chiacchierata, e ci sono state alcune domande che mi ha fatto che ho tenuto a mente. Erano non tanto indicazioni, ma ottime domande da porsi.
Anche con lui è successo qualcosa di simile: abbiamo fatto un panel insieme in Giappone, e lui, che aveva letto tutti i volumi di Radiant che erano stati pubblicati, aveva molte domande sulla storia e sui personaggi. Anche in quel caso, le sue domande erano così intelligenti e precise su quello che rappresenta raccontare una storia, che ancora oggi, quando me ne viene in mente una mi dico “Diamine!”. Sono domande che provengono da qualcuno che fa lo stesso mestiere, che sa cosa voglia dire fare questo mestiere.
Per ricapitolare, quindi, non mi hanno guidato, ma mi hanno fatto delle domande molto utili, che mi aiutano molto.

Le tue opere presentano spesso elementi fantastici e ambientazioni uniche, come in Hana Attori e Radiant. Come ti vengono in mente questi mondi immaginari e qual è il tuo processo creativo
nello sviluppare le ambientazioni per le tue storie?

Può essere che l’ambientazione sia l’inizio di un progetto nella mia mente, magari un mood in cui mi voglio proiettare così tanto da volerci tornare ogni giorno. L’obiettivo è di non essere mai annoiato dalle mie idee e quindi  devo creare un posto speciale in cui voglio andare tutti i giorni. Mi sveglio e penso “Ok, voglio andare nel mondo di Radiant” o “Voglio andare in Hana Attori.
È così che iniziano tutti i miei progetti, poi ci aggancio dei personaggi e della trama, e cerco di trovare qualcosa nei personaggi che risuoni con quel mondo. Non è stato così per Hana Attori, ma quello era il mio primo lavoro, qualcosa che volevo proprio fare, che volevo esprimere e disegnare. Ma per Radiant ho tenuto conto delle cose speciali che il personaggio aveva nella propria vita, delle sue difficoltà, e mi sono chiesto come plasmare il mondo intorno a lui in modo che attivasse alcuni suoi aspetti: la sua umanità, i suoi sentimenti, le sue emozioni, i suoi obiettivi. E così ho creato l’Inquisizione, tutte le nemesi, tutti i motivi per cui quel personaggio si trova in quel contesto.
È questo il mio processo: prima l’ambientazione, poi il personaggio, poi la trama intorno al personaggio stesso, e poi posso andare avanti e indietro tra tutti gli elementi per essere sicuro di raccontare una storia.

Vista la tua esperienza di successo come autore di manga, quali consigli daresti ai fumettisti in erba che desiderano entrare nell’industria, in particolare a coloro che vogliono creare opere ispirate ai
manga?

Dal momento che avere successo o meno è una questione di fortuna, e non dipende dalla qualità del manga – conosco molti artisti incredibili che non hanno ancora successo, spero per loro che questo cambi – , a chi vuole fare questo mestiere suggerirei di scrivere una storia che gli piaccia fare tutti i giorni. Così, anche se non arriva il successo, perlomeno hai avuto dei bei momenti per il tempo x che hai speso a lavorarci. E quello è il meglio che si possa desiderare: divertirsi a farlo. Poi, se ti diverti e la fortuna è dalla tua, magari a un certo punto diventerà un successo e ppotrai goderti anche quello.
Puntare al successo è quello che ho provato a fare coi miei primi lavori, ed era difficile perché non sai cosa voglia la gente, e quando lavori con il pensiero fisso di quello che vuole la gente, cosa piacerà, e cose simili fai degli errori. Non sei nella testa della gente, non sai che succederà prima della pubblicazione del tuo libro, non sai se ci saranno cose nelle loro vite che innescheranno una reazione e in linea col tuo tema…
In Radiant, per esempio, ho parlato di migrazioni ed è stato prima della grande migrazione proveniente dalla Siria. Non l’ho fatto intenzionalmente, ma perché era importante per me; e quando è successo quello che è successo, ha risuonato a un altro livello per molti dei lettori. Sono cose che non puoi predire, per cui le devi scrivere per te, perché sono importanti, perché ti piacciono o perché ne hai paura – era il mio caso, avevo paura che la destra estrema prendesse potere in Europa e che ci sarebbero state crisi e problemi, come poi è successo. Avevo paura che succedesse, avevo molto da dire sul tema, ed è stata una delle cose che ho tenuto a mente tutto il tempo mentre ci lavoravo. Mi sono divertito a mettere tutto questo nel contesto di Radiant, a far confrontare i miei personaggi con queste idee, per cui se anche non fosse stato un successo mi sarei divertito comunque a farlo. Sarebbe stato qualcosa che comunque avrei potuto mostrare con orgoglio e difendere, anche.

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Puoi darci un’anteprima di eventuali progetti futuri o idee a cui stai lavorando o che stai pianificando per il futuro?

Ci saranno due spin-off di Radiant: uno a cui sto lavorando da solo, che si chiamerà Fabula Fantasia, e un altro a cui sto lavorando con un artista incredibile che si chiama Naokuren, che si chiamerà Cyfandir Chronicles, che dovrebbe uscire in Francia alla fine di quest’anno. Spero arriverà il prossimo anno in Italia.

Essendo un artista francese che ha avuto un impatto significativo nel mondo del manga, come vedi il futuro del medium, sia in Europa che a livello globale?

È difficile a dirsi, anche per l’importanza dei webtoon, che sono diventati un punto di svolta. Forse, sarà più che altro il modo in cui le persone consumeranno questo tipo di storie a definire se il manga resterà cruciale, o si passerà ai contenuti digitali. In ogni caso, si tratta sempre di storie; la differenza sta nel fatto che sono storie con un ritmo veloce e tanto contenuto, e non prevedo spariranno in un anno o nel prossimo futuro. Non so se ne compreremo di cartacei o su supporto digitale, questo non so prevederlo, ma direi che il manga sarà ancora in giro nei prossimi dieci, venti, trent’anni. Se non su carta – anche se spero di sì – saranno sui cellulari, o su un altro supporto che al momento non possiamo immaginare.

Grazie mille per il tempo che ci hai dedicato, Tony. A presto!

 

 

 


Ringraziamo l’ufficio stampa di J-Pop Manga per la preziosa collaborazione


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Claire Bender

Vive con un dodo immaginario e un Jack Russell reale, che di recente si è scoperto essere Sith. Grifondoro suo malgrado, non è mai guarita dagli anni '80. Accumula libri che non riesce a leggere, compra ancora i dvd e non guarda horror perché c'ha paura. MacGyver e Nonna Papera sono i suoi maestri di vita.

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