Todd McFarlane: «Sopravvivere tra Marvel e DC è una vittoria. Spawn, la mia eredità»

Intervista esclusiva a Todd McFarlane, l'uomo che ha contribuito a rivoluzionare il mondo dei comics tra gli anni '80 e '90: un gigante del fumetto che ha condiviso con noi ricordi, aneddoti e retroscena sulla sua incredibile carriera. Tenetevi forte, perché questa è una vera e propria lezione di storia (del fumetto)

Redazione MegaNerd
copertina intervista esclusiva todd mcfarlane meganerd

Ci sono momenti, nella vita di un sito, che valgono più di ogni traguardo raggiunto, più di ogni recensione, notizia, più di ogni record. Momenti che non si raccontano: si custodiscono, si celebrano, si vivono con un senso di meraviglia e gratitudine. Ecco, questo è uno di quei momenti.

Con emozione autentica e un orgoglio difficile da contenere, vi presentiamo un evento raro e prezioso: una delle pochissime interviste mai concesse a un media italiano da una leggenda assoluta del fumetto mondiale. Un nome che non avrebbe bisogno di presentazioni, ma merita ogni parola: Todd McFarlane.

McFarlane non è soltanto l’artista che ha rivoluzionato per sempre l’iconografia di Spider-Man, imprimendo sulla pagina uno stile inconfondibile, imitato da generazioni. È un visionario. Un ribelle gentile che ha avuto il coraggio di riscrivere le regole del gioco. Nel 1992, con un gesto che ancora oggi risuona come un boato nella storia del fumetto, ha co-fondato Image Comics, dando finalmente voce e diritti a quegli autori che per troppo tempo erano rimasti invisibili dietro i loro capolavori.

Image non fu solo una casa editrice: fu un grido di libertà. Un atto rivoluzionario. Un punto di non ritorno che ha ridisegnato il futuro del fumetto mondiale.

Da quell’onda creativa è nato Spawn: oscuro, tormentato, magnetico. Un personaggio diventato icona, che continua, dopo oltre trent’anni, a dominare le classifiche e a parlare a nuove generazioni di lettori. Ma McFarlane non si è mai fermato: con lo stesso fuoco negli occhi ha dato vita a un impero nel mondo del collezionismo. Con McFarlane Toys ha saputo infondere nelle action figures la stessa forza creativa che lo ha reso celebre nel fumetto: oggi il suo nome è garanzia di eccellenza e innovazione per ogni appassionato del genere.

Quella che state per leggere non è semplicemente un’intervista. È un pezzo di storia. È un viaggio nell’anima e nella mente di un artista che ha osato, ha lottato e ha vinto. Todd McFarlane si racconta con sincerità, ironia, cuore. Dal tavolo da disegno ai vertici dell’industria, dalle matite che hanno cambiato Spider-Man ai sogni che oggi costruisce in plastica e passione.

Per noi, poter condividere questo incontro con voi non è solo un privilegio: è un onore. Preparatevi a entrare nel mondo di un uomo che ha riscritto le regole e che continua, ogni giorno, a immaginare il futuro.

Signore e signori, su MegaNerd c’è Todd McFarlane.


Intervista video

Abbiamo pensato di realizzare due versioni di questa intervista: una video, che inaugura il nostro nuovo canale YouTube, e l’altra testuale. In qualunque modo vogliate, potrete sentire (o leggere) questa bella chiacchierata. Di seguito la versione video, subito sotto la trascrizione. Buona visione e/o buona lettura!

Todd McFarlane – Intervista esclusiva

È incredibile avere un ospite come Todd McFarlane su MegaNerd.it. Siamo sicuri che non sia un inganno di Violator? Todd sei realmente qui con noi?

Sì, sì, [risata n.d.r.] grazie, grazie per avermi invitato. Era da un po’ che non parlavo con la brava gente d’Italia!

Prima di tutto, benvenuto, anche se virtualmente, in Italia. Grazie per essere qui con noi

È un vero piacere. Sono stato in Italia non molto tempo fa.

Vorremmo cominciare da una delle ultime cose che hai fatto: la tua prima partecipazione al MegaCon di Orlando [l’intervista è stata realizzata poco dopo l’evento di gennaio 2025 n.d.r.]. Come è stato per te riabbracciare i tuoi fan, vecchi e nuovi, e che rapporto hai con loro?

È una domanda interessante, perché quello che faccio durante gli eventi è rimasto uguale da 30-40 anni: mi siedo, le persone arrivano, mi bloccano la visuale e vedo solo le loro ‘pance’ mentre mi chiedono autografi e mi dicono cose molto gentili. L’unica differenza è che prima eravamo in una saletta, ora siamo in enormi padiglioni… ma io non vedo niente perché ho le loro pance davanti agli occhi tutto il giorno! Firmo e faccio sempre le stesse cose. Quindi, anche se le fiere sono diventate più grandi, io sono sempre lì nel mio angolino e non vedo quasi nulla. Ma è sempre divertente partecipare.

Quindi l’esperienza per te è, in pratica, vedere solo le ‘pance’ dei tuoi fan?

Sì, esattamente. Ma vi dirò: vedo un sacco di magliette divertenti e interessanti. Magliette da nerd. Ma non riesco a godermi la convention e interagisco solo con le persone che ho davanti a me, e basta. È bello, ma non riesco a vivere il resto della fiera.

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Abbiamo letto che da giovane volevi diventare un giocatore di baseball professionista. Per nostra fortuna, non è andata così, e sei diventato uno degli autori più importanti degli ultimi 40 anni. Ma ci chiedevamo: quell’ambizione, quella competitività sportiva… ti è tornata utile nella carriera nei fumetti?

Posso interrompervi? Ho giocato domenica scorsa! Gioco ancora a baseball in maniera seria. Faccio parte di una squadra composta da ragazzi di 30 anni e io sono il vecchietto, ma me la cavo ancora bene! Quindi sì, lo sport è stata un’estensione del mio carattere, sono super competitivo. Ho dei fratelli e da piccoli tutto era una gara. È semplicemente la mia personalità.

Lo sport è stato un buon mezzo per incanalare questa cosa, e quando ho iniziato a lavorare nei fumetti, mi ha insegnato a concentrarmi, a fare bene il mio lavoro, perché stai giocando contro altri che vogliono il tuo posto, quindi devi lavorare sodo, darti da fare, e trovare il modo di farti notare dall’allenatore.

Nei fumetti, gli allenatori sono gli editori e i lettori.
Tra 500 artisti là fuori, come faccio a farmi notare? Ed è qui che entrano in gioco la competizione e la concentrazione.

Non è un mondo dove c’è solo una persona che lotta per emergere, perché tutti vogliono quel posto e i posti sono limitati. Quindi non solo devi combattere per ottenerlo, ma una volta che ce l’hai, devi anche tenertelo stretto, perché c’è sempre qualcuno pronto a portartelo via.

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Un giovane Todd McFarlane con l’inseparabile palla da baseball

Se in Marvel è innegabile il tuo feeling con Spider-Man, per DC Comics è chiaro che il personaggio che senti più tuo sia Batman: per lui hai realizzato delle illustrazioni e delle tavole iconiche, che resteranno per sempre nella storia del personaggio, oltre al bellissimo ciclo Batman: Year Two. Qual è l’aspetto che più ti affascina di questa ‘Creatura della Notte’?

Ecco, adesso lascio uscire un po’ il mio lato nerd, ok? Tra tutti i personaggi che non sono miei, Batman è sicuramente quello con cui mi sento più in sintonia a livello personale.
Mi spiego meglio: Bruce Wayne ha un sacco di soldi, ma non gliene importa niente. È affascinante, tutte le donne vogliono uscire con lui, può partecipare a tutte le feste più esclusive, ma non gli interessa nemmeno questo. Non gli importa la vita mondana o essere una celebrità.

Quello che gli interessa davvero è tornare a casa, aspettare le due del mattino, nel cuore della notte ed a quel punto si gira verso Alfred e gli dice: “Dammi il costume. È ora di uscire a incutere un po’ di paura”. E le persone che spaventa sono quelle che vogliono spaventare noi. Gli dà la loro stessa medicina.

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Una bellissima doppia tavola tratta da Batman: Year Two, di Mike W. Barr e Todd McFarlane (1987)

Per me, tutto questo ha un senso preciso: Batman non tollera i prepotenti. E nemmeno io. Che si tratti dei cattivi nei fumetti o di persone reali, non sopporto chi abusa del proprio potere. Batman si oppone a tutto questo. Non si lascia intimidire, reagisce, e spesso lo fa anche per chi non ha la forza di farlo da solo.
È qualcosa in cui mi riconosco molto. Mia moglie dice sempre che finirò per farmi ammazzare, perché mi metto in situazioni dove affronto la gente e lei mi dice: “E se quello avesse una pistola?”.
E io: “E se pensasse che io ho un bazooka?”.

Insomma, non mi faccio mettere i piedi in testa. Che vadano a cercarsi un bersaglio facile, non sono certo io quello! E Batman è così: se hai il potere di fare qualcosa, allora hai anche la responsabilità di usarlo per aiutare gli altri, non solo te stesso.

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La copertina di “Batman” #423 (1988), una delle immagini più iconiche del Cavaliere Oscuro di Todd McFarlane

È vero, perché se non lo facciamo noi quando possiamo, chi lo farà?

Esattamente. E, purtroppo, molte volte la gente resta in silenzio per paura di esporsi. Conoscete la favola dei vestiti nuovi dell’imperatore? Tutti sanno che l’imperatore è nudo, ma nessuno lo dice.
Io invece sono sempre stato quello che si alza e dice: “Sapete che c’è? Lo dico io!”. Ho partecipato a tante riunioni in cui tutti pensavano la stessa cosa, ma nessuno aveva il coraggio di dirla. Io sì. Se la situazione non va, qualcuno deve avere il coraggio di parlarne.

Con il tempo ho capito che è semplicemente il mio carattere. Non so perché, ma sono fatto così. Non puoi insegnare a qualcuno a essere così: o ce l’hai o non ce l’hai. O sei uno che prende posizione oppure no.
Per dirla in modo semplice: ci sono due tipi di cani al mondo. Quelli che mordono e quelli che non mordono. Un cane che non morde, anche se gli tiri la coda o le orecchie, si limiterà ad andarsene. È fatto così, è buono.

Io invece sono il tipo che morde. Combatto, reagisco. E questo è qualcosa che non puoi insegnare: o sei così o non lo sei. Ho dei figli che sono il contrario di me: tranquilli e pacifici, per fortuna. E va benissimo così. Insomma, tutto questo per dire che Batman, secondo me, è un personaggio fighissimo.

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Tavola tratta da Batman: Year Two, di Mike W. Barr e Todd McFarlane (1987)

Veniamo al tuo lavoro su Spider-Man: hai realizzato una delle versioni più intriganti dell’eroe, graficamente con pose e movenze molto simili a quelle di un ragno vero e per la prima volta una maschera dagli occhi giganteschi. Inoltre il tuo modo di disegnare la ragnatela di Spider-Man è diventato iconico: da quando hai iniziato a disegnarla in quel modo, hai sostanzialmente definito un canone a cui tutti gli altri si sono ispirati. Ti era stato richiesto questo cambiamento grafico sul ragno o è stata una tua idea?  Non so se anche negli Stati Uniti era così, ma sai che il tuo modo di disegnare la ragnatela qui da noi veniva chiamata “Ragnatela a Spaghetti”?

Sì, perché è così che le chiamo anch’io. Ok, prima che proseguiate con le domande: il motivo per cui vengono chiamate “spaghetti web” è che all’epoca l’editor-in-chief era Tom DeFalco, che è italiano e un giorno si arrabbiò con me.
Rispetto a quell’episodio, lui dice sempre: “Todd, non l’ho mai detto!”. E io: “Sì che l’hai detto, Tom!”.

È stato un momento della mia vita che ricordo molto chiaramente: si arrabbiò e disse che dovevo smetterla, perché non gli piaceva il modo in cui disegnavo le ragnatele.
Non avevano ancora un nome, ma lui disse: “Devi smetterla con quelle… quelle ragnatele tipo spaghetti!
Ho pensato “ha trovato la definizione perfetta” e da quel momento ho continuato a farle così.
Quindi grazie, Tom. Mi ha dato un ottimo spunto e mi ha regalato un’etichetta che è rimasta. Anche se era arrabbiato… grazie Tom!

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La doppia pagina iniziale di “Torment”, saga originariamente pubblicata su Spider-Man (1990) #1/5

Abbiamo avuto come ospite anche lui [Tom DeFalco, qui potete recuperare la sua intervista, n.d.r.]. Ha davvero tantissime storie da raccontare, è stato un onore! Ma tornando a Spider-Man: sei stato il primo a disegnarlo come un vero ragno, studiando i movimenti, le pose, il modo in cui si muove. Quanto hai dovuto studiare per riuscire a disegnarlo così, come se fosse davvero un ragno?

In realtà… nessuna ricerca. Zero.
Mi sono detto: quando Peter Parker indossa il costume, voglio mettere tutta l’attenzione sulla parola “ragno”.
Da quel momento, ho deciso di ignorare completamente l’anatomia umana. Lo so, è una cosa che non si fa nei fumetti, soprattutto quando si è agli inizi, ma io l’ho fatto.
Non sapevo nemmeno se fosse fisicamente possibile assumere quelle pose, e sinceramente non mi importava. L’importante era che sembrassero divertenti.

Volevo che Spider-Man facesse cose che nessun altro personaggio potesse fare, proprio perché… era Spider-Man! Doveva fare cose che nessun altro poteva fare.
E volete sapere una cosa? Funzionava.

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Anni dopo, quando stavano girando il primo film di Sam Raimi, provarono a usare molte mie pose come riferimento, ma scoprirono che non potevano farle fare a un essere umano. Provarono con stunt-man snodatissimi, acrobati del Cirque du Soleil… niente.

Alla fine hanno dovuto usare la CGI e spezzare virtualmente la colonna vertebrale al personaggio per ottenere quelle pose! I fumetti, alla fine, sono fatti per divertire, e ogni tanto bisogna sospendere l’incredulità. Quindi no, nessuna ricerca, solo puro divertimento. Ho disegnato quello che pensavo fosse figo. Tutto lì.

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Cambiando personaggio: sei il co-creatore di uno dei villain più famosi della Marvel, Venom. Come ti senti riguardo all’evoluzione del personaggio, che da villain è diventato quasi un eroe? Perché secondo noi  il Venom-Man di Eddie Brock funzionava molto bene come cattivo.

Se mi chiedete cosa penso… io l’avrei lasciato cattivo. Secondo me era molto più interessante come villain. Però devo ammettere che ha funzionato anche come anti-eroe, soprattutto con i film che ha avuto. Quindi, evidentemente, avevo torto.

Ma la ragione per cui lo avrei lasciato cattivo è questa: quando si parla dei cattivi più iconici della Marvel, non ce ne sono tanti. Hai il Dottor Destino, il Teschio Rosso, Magneto… forse Ultron e qualche altro nome visto nella serie degli Avengers. Se parli di eroi, invece, ce n’è una lista infinita.

Ecco, Venom, quando è arrivato, sembrava pronto a entrare nell’élite dei grandi villain e secondo me ne avevamo bisogno, perché negli anni ’80 e ’90 non stavamo aggiungendo molti villain davvero memorabili.

E poi lui era grosso, potente… rendeva il compito di Spider-Man molto più difficile. Togliendogli quel ruolo, abbiamo tolto anche parte di quella sfida.
Ma ehi, io non gestisco la Marvel! Hanno fatto le loro scelte, e direi che non è andata affatto male.

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È forse anche il motivo per cui poi è arrivato Carnage, per riempire quel vuoto…

Esatto. Serviva un cattivo davvero spaventoso per riempire quel vuoto che Venom aveva lasciato… ed ecco che è arrivato Carnage.

Spider-Man ti ha dato l’occasione di avere più spazio a livello creativo in Marvel, divenendo anche sceneggiatore nel 1990 della quarta serie ragnesca. Fu un successo clamoroso in fatto di vendite e non solo… È con Spider-Man che hai capito di essere pronto per diventare un autore completo e portare i tuoi personaggi originali finalmente su carta?

Torno a quello che dicevo all’inizio dell’intervista: sono competitivo.
Ho iniziato come disegnatore, ma poi ho pensato: “Penso di poter anche inchiostrare. E forse anche scrivere”. E non sapevo nulla di scrittura. Ma pensavo: “Ce la posso fare.”
È solo una questione di fiducia in sé stessi. Volete sapere il vero motivo per cui volevo diventare scrittore? Perché volevo disegnare ciò che io volevo scrivere.

Quando lavoravo con altri sceneggiatori — e ne ho avuti tanti, anche molto bravi — loro mettevano nei fumetti i loro personaggi preferiti, quelli che volevano vedere loro.
Ma nessuno mi ha mai chiesto: “Todd, hai dei villain preferiti che ti piacerebbe disegnare?”. Mai. E allora mi sono detto: “Ok, l’unico modo per farlo è scrivere da solo il mio fumetto”.
E se guardate la mia run su Spider-Man, era piena di mostri. Lizard, Hobgoblin, Wendigo, Morbius… era una vera carrellata di mostri, perché mi divertivo a disegnarli.

E questa cosa l’ho portata avanti con Spawn per decenni.
Oggi, quando assumo un artista per lavorare con me — soprattutto se scrivo io la storia — la prima cosa che gli chiedo è: “Cosa ti piace disegnare? Cosa ti entusiasma?”.
E poi costruisco la storia attorno a quello. Magari mi dice: “Vorrei disegnare Parigi, non New York”. E io dico: “Va bene. Troverò un modo per ambientare la storia a Parigi”.

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Spider-Man #1 (1990), uno degli albi più venduti nella storia del fumetto americano

È molto gentile da parte tua, perché come dicevi, molti non chiedono. Ti danno la sceneggiatura e basta.

Già. E vi dirò di più: non ho mai scritto una sceneggiatura completa in vita mia. Mai.
Quando ho lasciato la Marvel e ho cominciato a lavorare su Spawn, mi sono concentrato e ho fatto il mio. Non mi interessava cosa stavano facendo Marvel o DC. Ero concentrato su Spawn.

Poi, anni dopo, ero a cena a San Diego con alcuni colleghi e uno di loro dice: “Sai che ora tutti gli scrittori usano le sceneggiature complete”. E io: “Cosa?!”.
Ho disegnato una sola storia da script completo in tutta la mia carriera. E me la ricordo ancora.

Fu orribile e quando ho scoperto che era diventata la norma nell’industria del fumetto.. ho chiesto: “Ma mi state dicendo che tutti adesso scrivono sceneggiature complete?
Io, allora, ho pensato: “Aspetta… vuoi dirmi che se un giorno tornassi alla Marvel o alla DC, mi troverei un ventenne che mi dice come disegnare le tavole, dopo 40 anni di carriera?” Wow. Incredibile.

Ma il punto è un altro. Ora vado un attimo fuori tema.

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Jim Lee e Todd McFarlane al San Diego Comic-Con

Mi era capitato di andare a un panel organizzato dalla DC, qualcosa tipo “I grandi artisti della DC” — non ricordo il titolo esatto — comunque, c’erano Frank Miller, Jim Lee, Adam Kubert, John Romita Jr., e un altro che adesso mi sfugge, ma comunque era uno di peso, tipo Greg Capullo. Insomma, grandissimi nomi, niente da dire.

E sai cosa avevano in comune? Tutti erano cresciuti con plot, cioè con idee di base, non con copioni e sceneggiature complete.
E adesso il sistema che li ha formati… non esiste più.
È come dire: “Guardate questi grandi artisti, sono diventati fenomenali mangiando spaghetti… ma ai nuovi ragazzi non glieli facciamo più mangiare.” Non ha senso, no?

Quando lavoro con nuovi artisti, dico: “Non so quante sceneggiature complete hai fatto, ma da me non ne avrai.
Molti hanno perso l’abilità di raccontare una storia da soli, ma dopo 3-4 mesi, si sbloccano e dicono: “Wow, Todd, è divertente! Posso disegnare tutto quello che voglio!”
E io rispondo: “Sì! Fallo! Io adatterò il testo.” E un artista felice continuerà a lavorare con te. Questo è il segreto, questa è la chiave. Ecco… questo sono io.

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È come se l’autore di un romanzo dicesse a Steven Spielberg dove mettere la telecamera; lui sa bene dove piazzarla.
Dagli l’idea, dagli il copione, e poi lascia che lo trasformi lui. Per me gli artisti sono i registi. Dovrebbero poter cambiare le cose a piacimento.
Tutti gli scrittori dicono: “Puoi cambiare quello che vuoi.” Ma quando hai davanti una sceneggiatura completa, e decidi di cambiarla, sai che stai cambiando qualcosa e questo ti blocca, mentalmente.

Non è come ricevere solo l’idea: “Tre pagine di Wolverine contro Magneto. Devono succedere queste tre cose. Vai!” A quel punto, sei tu a coreografare il combattimento ed è questo… il vero divertimento.

Cambiamo totalmente argomento. Uno dei momenti più importanti della tua carriera è la nascita dell’Image Comics su cui girano varie leggende: ricordi il momento esatto in cui vi siete riuniti per la primissima volta per parlare di questo progetto?

Sì, è interessante. Le tre persone al centro di quel momento siamo stati io, Rob Liefeld, e Erik Larsen. Questa è la mia versione dei fatti — magari dovrete poi verificarla anche con Erik e Rob — ma è andata più o meno così; Rob Liefeld stava progettando di creare un suo fumetto indipendente mentre stava lavorando alla Marvel, come del resto tutti noi all’epoca.

Anche Erik Larsen stava per lasciare Marvel e DC per creare il suo fumetto. Nel frattempo, io e mia moglie stavamo aspettando il nostro primo figlio, e io ero ormai pronto a chiudere con la Marvel: volevo anch’io lanciarmi in un progetto tutto mio.

Eravamo amici e parlavamo spesso. Io credevo fortemente che i creativi fossero più forti insieme che separati. Avevo persino tentato di fondare un sindacato, senza successo, ma l’idea di unirsi mi era rimasta.

Image Comics i fondatori
I fondatori della Image Comics, da sinistra a destra: Erik Larsen, Rob Liefeld, Todd McFarlane, Marc Silvestri, Whilce Portacio, Jim Lee e Jim Valentino

A un certo punto, dato che tutti e tre volevamo pubblicare i nostri fumetti, ci siamo chiesti: “Perché farlo separatamente? Perché non unirci e creare qualcosa insieme?
È stato quello il momento decisivo. Aveva perfettamente senso: avremmo avuto più attenzione mediatica e marketing se fossimo stati uniti.

Subito dopo, Rob disse: “Conosco Jim Valentino, fa fumetti indipendenti. Possiamo coinvolgerlo?
E io e Erik risposimo: “Certo, più siamo meglio è.” Così siamo diventati quattro. Non so se avevamo già deciso il nome, ma volevamo fondare una nostra casa editrice.

Decidemmo di volare a New York per informare Marvel — e poi DC — delle nostre dimissioni.
Ma nelle 24 ore successive all’atterraggio a New York, tutto cambiò.

Per caso incontrai Jim Lee. Mi chiese perché fossi lì, gli spiegai il progetto, gli feci la proposta… e lui accettò e disse anche: “Ho un amico, Whilce Portacio.” Bam, eravamo in sei!

Quella stessa sera, per pura coincidenza, incontrai Marc Silvestri nella hall dell’hotel. Anche a lui raccontai tutto e, bam, si unì a noi. Eravamo partiti per New York in quattro… ma al momento della riunione eravamo diventati sette.

L’aggiunta di Marc Silvestri, Whilce Portacio e, soprattutto, di Jim Lee, che era il golden boy, fu fondamentale per il successo del progetto.

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Il mitico logo dell’Image Comics con i fondatori

Da qualche parte lungo il percorso arrivò anche il nome “Image” — non ricordo se prima o dopo New York.
L’idea venne a Rob Liefeld dopo aver visto uno spot pubblicitario con il tennista Andre Agassi, dove, dopo lo scatto di una foto, diceva: “Image is everything.” E allora Rob: “Ehi, dovremmo usare Image.” E così è stato. E poi Rob disegnò il simbolo di Image.

Era il dicembre 1991. E da allora non ci siamo più fermati.
Sono passati più di trent’anni e la Image Comics è ancora viva e attiva, anche se lungo il cammino ci sono stati cambiamenti e non tutti i fondatori originali sono rimasti.

Wow Todd. Grazie mille: la nascita dell’ Image Comics è davvero un episodio affascinante!

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La storica copertina di Spawn #1, albo ormai entrato nella storia

Parliamo finalmente di Spawn. È qualcosa che avevi sempre voluto creare? Magari un personaggio che ti è rimasto nella mente per anni e che, grazie a Image, hai finalmente avuto la possibilità di portare alla luce? Ci puoi raccontare il processo creativo che ha portato al primo arco narrativo di Spawn, quello che ha gettato le basi per tutto ciò che è venuto dopo?

Bisogna tornare indietro a quando avevo circa 16 anni e a quando creai un personaggio. Avevo appena iniziato a collezionare fumetti e pensai: “Forse voglio provare a entrare in questo settore come disegnatore.” Così ho iniziato a disegnare tantissimo. Disegnavo i personaggi Marvel, quelli DC… ma allo stesso tempo ne creavo di miei. Uno di questi lo chiamai Spawn.
In origine volevo chiamarlo “Hellspawn” (Generato dall’Inferno/Pedina dell’Inferno, ndr), ma a metà degli anni ’70 pensai che nessuno avrebbe comprato un fumetto con la parola “inferno” nel titolo.

Oggi le cose sono cambiate. Oggi potresti avere un fumetto intitolato Cowboy from Hell e venderebbe bene! Comunque, accorciai il nome da “Hellspawn” a semplicemente “Spawn.”
Quando avevo 16 anni scrissi perfino una storia di 30-40 pagine su di lui, poi la misi via.

Fast forward: ho trent’anni, io e gli altri abbiamo lasciato la Marvel, e ognuno di noi deve creare il proprio fumetto. Io non avevo mai dimenticato Spawn, era sempre rimasto lì, in un angolo della mia mente. Così dissi: “So già cosa farò; questo personaggio, Spawn.

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All’inizio, la storia era ambientata nel futuro, era più un fumetto di fantascienza.
Ma poi decisi di ambientarla ai giorni nostri. Stranamente, non andai nemmeno a rileggere la vecchia storia prima di iniziare il numero 1. Semplicemente, mi misi a scrivere.
Quando poi ripresi in mano quella vecchia storia, rimasi sorpreso da quanti elementi avevo, inconsciamente, mantenuto, come il fatto che Spawn avesse perso l’amore della sua vita e stesse cercando di riconquistarlo.

Il nucleo emotivo era lo stesso: aveva fatto una cattiva scelta per una buona ragione — voleva solo avere un’ultima occasione per dire a sua moglie che l’amava.
E credo che la maggior parte delle persone, se avessero l’opportunità di un ultimo momento con qualcuno che amano, lo coglierebbero, anche a caro prezzo. Ecco da dove tutto è partito.

Un’altra cosa importante che ho imparato è: “Scrivi di ciò che conosci.”

E io conoscevo me stesso, la mia personalità. Così decisi di scrivere Spawn come se fossi io.
Ecco perché all’inizio del fumetto lo vediamo affrontare un uomo e dirgli: “Devi pagare il mantenimento a tua moglie e ai tuoi figli. È tua responsabilità. È quello che fa un uomo.”
Piccoli spunti, in cui riuscivo a infilare un po’ di Todd nei miei personaggi. Ma soprattutto… scrivevo da solo, disegnavo da solo e potevo fare quello che volevo. E divertirmi quanto volevo, senza limiti.

E poi… se guardate i crediti dei primi numeri, fino al numero 4, l’editor era una ragazza con cui uscivo quando ho creato Spawn. Io avevo 16 anni, lei 13. Siamo stati insieme per sette anni, poi ci siamo sposati. E tra qualche mese festeggiamo il nostro 40º anniversario. Si chiama Wanda, come nel fumetto di Spawn. Era lei l’editor dei primi numeri.

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Wanda, il grande amore di Al Simmons/Spawn, prende il nome dalla moglie di Todd

Al numero 5 succede qualcosa di importante: introduco Billy Kincaid, un pedofilo e assassino di bambini e Spawn lo uccide. Questa era la mia dichiarazione d’intenti: Non sto facendo Batman.

Se pensate che Spawn sia Batman, preparatevi, perché non lo è. Batman non può uccidere. È proprietà di una corporation, ci sono regole e io, invece, volevo libertà creativa totale.

Non è che volessi fare un personaggio che uccide, di per sé, né uno che dice parolacce, o cose del genere.
Volevo solo avere la libertà di poterlo fare se la storia lo richiedeva. E alla Marvel o alla DC non avrei mai potuto raccontare quella storia.

Quindi mi sono detto: “No. Racconterò la mia storia. E lui ucciderà quel bastardo che ha ammazzato i bambini.”

Spawn Billy Kincaid Todd Mcfarlane

Tornando alla mia personalità: se io sapessi che, nel mio quartiere, vive una persona che violenta bambini… e ogni volta che va in galera, esce… e poi lo fa di nuovo… e poi esce… e lo rifà… un po’ come il Joker, che non violenta bambini, ma uccide persone.

A un certo punto, mi chiederei: Il sistema sta fallendo.”

E se voglio proteggere i miei figli, e il sistema non lo fa per me… allora dovrò pensarci io.
E scommetto che troverei anche altri padri pronti a unirsi a me, e andremmo tutti a fare una “visita” al nostro Billy Kincaid, lì in fondo alla strada e sparirebbe, così, di punto in bianco.

È una questione di proteggere gli innocenti, anche a costo di eliminare il male.
Il sistema non riusciva a fermare Billy Kincaid, proprio come non riusciva a fermare Joker nei fumetti DC. Se Batman avesse ucciso Joker all’inizio, tante vite sarebbero state salvate. Ecco chi è Spawn.

Ah, e un’ultima cosa: Spawn non vuole essere un eroe.
Vuole solo ritrovare l’amore della sua vita: sua moglie. Wanda, che tra l’altro, è ispirata a mia moglie.

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Per circa 250 numeri, non voleva avere niente a che fare con tutto questo. Voleva solo essere lasciato in pace. “Voglio una vita normale.” ma poi si sveglia una mattina e capisce:
Non sarò mai normale. Niente cambierà. Il pazzo sono io, che continuo a pensare di poter tornare a una vita normale. È finita. Loro non smetteranno mai. E sono dei maledetti bastardi.”

E allora perché non provare a diventare un eroe? Perché non proteggere gli altri?

Quindi Spawn è questo: un personaggio pieno di emozioni vere, di rabbia, di frustrazione, di voglia di proteggere chi ama.
Non voleva combattere, ma quando capisce che il mondo non cambierà mai, decide che deve agire per proteggere gli altri da quello che lui stesso ha perso.

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Grazie per aver condiviso tutto questo. È stato molto toccante e profondo… sì. Voglio dire, lo abbiamo sentito tutti. Ognuno di noi, se spinto al limite estremo, probabilmente reagirebbe allo stesso modo, quando hai delle persone amate in gioco, qualcosa dentro di te cambia.

È strano per me. Mia moglie, ad esempio, la amo da morire, no? Stiamo insieme da quasi 50 anni, tra fidanzamento e matrimonio. E lei mi diceva che non mi avrebbe mai mentito, mentre io gli rispondevo che nella circostanza giusta l’avrebbe fatto eccome!

Tutti noi facciamo cose che crediamo di non essere capaci di fare… fino a quando non arriva il momento. E lei continuava: “No, non lo farei mai.” Allora le ho fatto un esempio semplice:

Immagina di nascondere Anna Frank al piano di sopra di casa tua. Qualcuno bussa alla porta e ti chiede: “Wanda, stai nascondendo dei bambini in casa?
Che risposta dai? Hai due scelte: dire la verità e quella ragazza morirà, oppure mentire e salvarle la vita. Io non ho dubbi: mentirei, al 100%.

Quindi sì, siamo tutti capaci di fare cose che crediamo impensabili… finché non siamo costretti.

Il punto è che i personaggi nei film, nelle serie TV, nei fumetti e nei libri, spesso vengono messi in situazioni estreme dove devono prendere decisioni impossibili e noi, spettatori, a volte ci chiediamo “E io cosa farei? Avrei il coraggio di affrontare quella situazione? O scapperei? Farei la cosa giusta, sapendo che mi costerebbe tutto — il lavoro, i vicini, gli amici, forse persino la mia famiglia?

Todd McFarlane e sua moglie Wanda al Nycc 2019
Todd McFarlane e sua moglie Wanda al New York Comic-Con 2019

La storia ci ha mostrato che esistono persone, e purtroppo sono rarissime, come gli unicorni, che, anche rischiando di perdere tutto, scelgono comunque di fare la cosa giusta. E sapete perché penso che lo facciano? Perché sanno che, se non lo facessero, non dormirebbero mai più sonni tranquilli. La loro coscienza non glielo permetterebbe.

L’unico modo per avere pace è agire, anche se nessun altro capisce.
Facciamo film su queste persone. Costruiamo statue per loro. Ma purtroppo non ci sono milioni di esempi. Magari fosse così. Ma non è la realtà.

Io penso di essere un combattente, ma anche io, a volte, ascoltando certe storie, mi dico “Amico, non so nemmeno se io riuscirei a spingermi così oltre.” Perché è qualcosa di enorme.

Lasciare tutto ciò che hai solo per fare la cosa giusta. La mossa facile sarebbe impacchettare la famiglia e andarsene, e lasciare che i cattivi vincano.

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Grazie mille Todd, per aver condiviso anche questo pensiero con noi. Tornando al tuo spirito competitivo: grazie a Spawn sei riuscito — più volte — a battere due giganti come Marvel e DC in un gioco che loro avevano dominato per tantissimo tempo. Com’è stato riuscire a fare ciò che loro facevano da decenni, ma alle tue condizioni, con la tua compagnia, con le tue regole  e poter dire: “Sì, io ci sono arrivato. E vi ho persino battuto“?

Ecco, ti dirò. Penso che a volte le persone guardino il mio percorso un po’ al contrario rispetto a com’è davvero, o lo fraintendano.
Per fortuna, ho avuto abbastanza lucidità fin dall’inizio per capire che quando affronti i giganti — Hasbro nell’industria dei giocattoli, Marvel e DC nei fumetti — il tuo obiettivo non è uccidere Godzilla. Non puoi farlo.
Io sono solo un piccolo e minuscolo umano e ‘Loro’ sono enormi come Godzilla.

La vera vittoria non è abbatterli, perché non ci riuscirai mai. La vera domanda è: perché loro non riescono a sconfiggere me?

Sono enormi, hanno più potere, più persone, più soldi… eppure non riescono a togliermi di mezzo dal mercato.
Come hanno fatto a lasciarsi sfuggire una formica come Todd McFarlane che riesce a competere con le loro gigantesche aziende da miliardi di dollari… e a sopravvivere?

Numero uno: essere rilevante.
Numero due: prendersi uno spazio: perché se qualcuno compra il mio fumetto, significa che non sta comprando uno dei loro. Se comprano il mio giocattolo, non comprano il loro.

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Ora, o questo significa che ho messo insieme un gruppo di soli geni e super menti (cosa possibile, ma improbabile), oppure significa che queste grandi aziende non sempre sanno davvero quello che fanno. E onestamente, penso sia un po’ entrambe le cose.

Credo che le grandi compagnie sottovalutino spesso le persone. Diventano compiacenti.
Chiedi a IBM com’è andata quando un certo Steve Jobs è arrivato con una cosetta chiamata Apple. Un piccolo uomo che si è fatto valere — e che non sono riusciti a schiacciare.

Quindi, la vera soddisfazione non è mettere in difficoltà Marvel, DC, Mattel o Hasbro, ma è sopravvivere in mezzo a loro. Punto. Non sono riusciti a eliminarmi e questa è la vittoria.

Sono riuscito a farlo per 40 anni, in entrambi i settori ed è fantastico.
È questo che mi fa alzare dal letto la mattina: sapere che ho totale libertà creativa, e che nemmeno i giganti possono portarmela via.

È una bella vita. È davvero una bella vita, quando hai la libertà — e in più le persone ti pagano per questo — e puoi vivere facendo quello che ami senza dover chiedere l’approvazione di nessuno. Vorrei che tutti potessero vivere così.

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Parliamo della scrittura, una fase creativa che dopo il lavoro su Spider-Man hai perfezionato proprio con Spawn e che – lo diciamo da lettori – hai padroneggiato subito in modo perfetto. Essere (almeno nella fase iniziale) autore unico su Spawn è sempre stato nei tuoi piani?

Sì, lasciatemi tornare un attimo indietro. C’è una cosa che porterò con me fino alla tomba: il fumetto più venduto che io abbia mai scritto è anche quello che considero il peggiore dal punto di vista della scrittura—perché era il mio primo numero, capite?

Il mio primo numero di Spider-Man ebbe vendite enormi, ma fu anche la mia prima esperienza come scrittore. Quindi lo ritengo terribile, eppure, è stato quello con le vendite più alte. È una cosa strana.

Con Spawn sono riuscito a farlo evolvere, semplicemente perché sono stato con lui per così tanto tempo.
Penso a cosa sarebbe successo se Stan Lee fosse rimasto su Iron Man, Hulk o Spider-Man per trent’anni—probabilmente quei personaggi si sarebbero evoluti molto di più.

Ma non è così che funziona il sistema: normalmente un autore, anche uno come Stan Lee, fa 20, 30, 40 numeri, e poi arriva qualcun altro che ripete quello che è già stato fatto. C’è molta ripetizione, e i personaggi non evolvono tanto perché manca una visione continua.

Nel caso di Spawn, sono uno dei pochi esempi in cui c’è stata un’unica voce dietro il personaggio. Lo vedete anche con The Walking Dead di Robert Kirkman o Savage Dragon di Erik Larsen: un solo creatore dietro il progetto per decenni, e si nota l’evoluzione. Credo, principalmente, che sia perché dobbiamo intrattenere noi stessi.
La gente si dimentica che dobbiamo prima di tutto divertirci noi, altrimenti diventa solo un lavoro, e noi vogliamo che rimanga una gioia, non un peso.

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Perciò con Spawn, la gente mi chiede: “Todd, come fai a rimanere coinvolto dopo 360 numeri?
Per me è facile: è un qualcosa di cui ho bisogno nella mia vita. Lavoro con i giocattoli, Hollywood, i videogiochi, tutti ambiti dove devo collaborare con altri, chiedere soldi, ottenere approvazioni, ecc… Può essere frustrante.

Ma comunque vada la giornata, in un angolo della mia vita c’è il mio piccolo ragazzo, Spawn. È mio al 100%.
E non importa quanto sia andata male la giornata: posso guardare Spawn e dire, “Ehi, ho un’idea“, e metterla in pratica subito, senza bisogno di approvazione.
Posso essere creativo, fine.

Alcuni pensano che mantenere in vita Spawn sia un peso, ma per me è l’opposto: è il “mio brodo caldo per l’anima”.
Ho bisogno di Spawn per la mia sanità mentale.

Come faccio a mantenerlo vivo? Invento storie anche un po’ pazze, senza pensarci su troppo.
In realtà, il mio processo di scrittura farebbe inorridire molti scrittori: di solito dò all’artista mezza trama, senza sapere nemmeno bene come andrà a finire.
Poi, magari, quando servono 10 pagine in più, rileggo quello che ho mandato e trovo il modo di concludere.

Questo mi permette anche di essere flessibile: se l’artista si ammala o è in ritardo, posso adattarmi. Magari creo una scena più semplice da disegnare o metto una pagina con un reporter, l’importante è aiutare a rispettare le scadenze senza essere rigido sulla trama.

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In questo momento sto lavorando a una storia davvero enorme; mostri giganti, supereroi a bizzeffe—letteralmente l’inferno sulla Terra!

Ma il punto centrale della storia è semplice: alla fine, il mondo in cui vive Spawn saprà di essere popolato da decine, se non centinaia, di personaggi in costume.

Fino ad ora, Spawn era una leggenda urbana: pochi sapevano della sua esistenza, e comunque si nascondeva. Questa storia strapperà via quel velo: il mondo intero, i governi, le corporazioni, tutti sapranno che questi esseri esistono.

Perché è importante? Perché una volta che la gente sa, reagisce. I governi si chiederanno: “Possiamo reclutarli? Sono eroi o minacce?
Li useranno per i propri scopi, oppure questi eroi penseranno in modo più grande? Sono tutte nuove storie interessanti che potrò raccontare.

Come ci arriverò ancora non lo so. Sto solo facendo cose spettacolari, in stile cinematografico, per costruire il tutto.

Spawn è così importante, anche per la mia sanità mentale, che è diventato l’icona della mia azienda di giocattoli. In pratica, tutto quello che ho, ce l’ho è grazie a lui.

Avevo persino realizzato uno scudo dipinto con il simbolo di Spawn da appendere in alto, sull’esterno della mia casa, in modo da sembrare un gargoyle e solo i veri nerd l’avrebbero riconosciuto.

Ma era il mio modo per dire: non potrei permettermi questa casa senza Spawn. Non avrei una compagnia di giocattoli senza di lui. Non avrei 30 anni di carriera nei fumetti senza quel personaggio. È stato fondamentale — l’inizio di tutto che ha permesso tutto il resto.

Ora do lavoro a circa cento persone, in vari ambiti, ed è tutto nato da un paio di idee uscite dalla mia testa. Una gran figata, no?

Quindi è frustrante quando non passo il mio tempo a creare perché devo occuparmi del business.

Perché tutto nasce dalla creatività. Quindi continuo a ricordare a me stesso “Todd, devi fare quello che ti viene naturale. Creare, creare, creare.

spawn batman

Spawn/Batman è stato uno dei team-up più folli degli anni ’90, e ha perfino avuto un sequel. Su questo progetto hai lavorato prima con Frank Miller, e poi con Greg Capullo. Diresti che Frank e Greg sono due degli autori con cui ti senti più connesso da un punto di vista creativo?

[Todd prende il telefono e fa vedere un’immagine sul suo cellulare n.d.r.] Se guardate questa tavola, questa qui è di Capullo ed è Batman!

Sembra che condividiate una visione creativa simile, o comunque un approccio simile alla creatività.

Ecco come la vedo io: Frank Miller è il miglior narratore della nostra industria, punto. Sa davvero come raccontare una storia.

Forse parte di questo deriva dal fatto che fa tutto, dai disegni ai testi, nella stragrande maggioranza delle opere per cui lo conosciamo.

Poi, se vogliamo discutere se la sua anatomia sia raffinata come quella di Jim Lee o Marc Silvestri, la risposta è no, ma, per me, i fumetti non sono (solo) quello.
I fumetti devono essere grandi, bombastici, come spettacoli teatrali di Broadway.

Tutto deve essere esagerato, ed è per questo che Jack Kirby era un genio.
Crei un trauma visivo, ma dentro tutto questo puoi comunque raccontare storie profondamente umane. Frank ha capito che non serve perdersi nei dettagli, come riempire ogni vignetta di grattacieli iper-dettagliati. Lui dice: “No. Io racconto la storia“. La metà delle sue vignette non ha neanche lo sfondo, e non te ne accorgi, perché sei completamente immerso nella narrazione. Questo è Frank.

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Todd McFarlane insieme al leggendario Frank Miller

Greg Capullo, invece, secondo me è il miglior disegnatore di comics attualmente in attività.
E non lo dico solo perché siamo amici – perchè lo siamo – ma perché so quanto sia difficile realizzare una pagina a fumetti che sembri davvero viva su carta.
Muovere la “telecamera” in ogni direzione — primi piani, panoramiche, viste dall’alto — e rendere tutto credibile e dinamico è incredibilmente difficile.
Greg lo fa in modo eccezionale, a volte addirittura straordinario, e inoltre riesce a produrre un’enorme quantità di lavoro.

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Una straordinaria illustrazione di Greg Capullo, con inchiostri di Todd McFarlane

Non fa solo un albo all’anno, ne fa tanti, mantenendo sempre un livello altissimo ed è impressionante.
Metterei anche Marc Silvestri nella stessa categoria, e prima di loro c’era John Buscema, che ha lavorato molto su Conan il Barbaro e che sapeva muovere la “telecamera” sulla pagina come pochi altri. Drammaticità, anatomia, era tutto perfetto.

Ho avuto la fortuna di lavorare in quest’industria e di stringere amicizia con alcuni dei più grandi talenti. Un bel colpo di fortuna, no?
Certo, mi piace creare da solo, ma a volte è ancora più divertente dire: “Ehi,  creiamo qualcosa insieme.” È come uscire per un appuntamento creativo.

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Todd McFarlane insieme al suo grande amico Marc Silvestri

Da grande collezionista nerd quale sei hai creato la McFarlane Toys, l’azienda che ha rivoluzionato il concetto di action figure e che sembra leggere nelle menti dei collezionisti per i prodotti nuovi che presenta ogni volta. Qual’è il segreto dietro la scelta di che prodotti nuovi portare sul mercato?

Onestamente, penso che mi venga dato troppo merito per qualcosa che, probabilmente, molti altri stavano già pensando all’epoca, ma semplicemente non avevano i soldi o le persone creative per realizzarlo. Scommetto che c’erano decine di migliaia — se non milioni — di collezionisti che si dicevano la stessa cosa che mi dicevo io: “Perché non possono sembrare migliori questi giocattoli? Perché sembrano ancora come quelli di quando avevamo sei anni e adesso ne abbiamo venti!

Non è stata un’idea mia, sono stato solo abbastanza fortunato da poter realizzare quelle idee.
Ad esempio mi ero chiesto come sarebbe un fumetto se avessi totale libertà creativa? Beh, allora ho fondato una casa editrice.

E riguardo a un giocattolo, come sarebbe se volessi farlo più figo di tutto quello che c’è in giro?
Non sapevo nemmeno come si facesse un giocattolo, ma mi sono detto: “Andiamo a fondare una compagnia di giocattoli.

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Tutto quello che volevo fare era creare giocattoli belli, fighi. L’ho detto molte volte: in fondo, io sono nel business del cool. Punto.

Quel giocattolo non è figo e quello nemmeno? Allora qualcuno deve farlo ed è arrivato a un certo punto il momento in cui mi sono detto: “Ok, se nessuno lo fa, allora lo faccio io.
Non sapevo nemmeno come farli ma l’ho fatto!

E una volta che li costruivamo? Sapevo come metterci i dettagli, come dipingerli bene?
Certo che sì. Ovviamente.

Non siamo una società quotata in borsa, non dobbiamo massimizzare i profitti per gli azionisti.
Posso concentrarmi solo sul fare giocattoli migliori degli altri. È l’unico modo per farsi notare.

Io non avevo Marvel, né DC, né Star Wars, né Transformers o Pokémon.
Avevo Spawn. E chi conosceva Spawn? Nessuno.
Quindi dovevo creare un giocattolo che fosse più bello degli altri — ma allo stesso prezzo.

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Una delle tantissime action figure di Spawn prodotte dalla McFarlane Toys

E per tornare davvero alla domanda originale… Perché non mi hanno schiacciato? Loro sono Godzilla. Io sono solo un tizio qualsiasi.

Quindi la vera domanda non è: “Todd, come hai fatto a creare dei giocattoli così fighi?
La vera domanda è: Come mai loro non ci sono riusciti?

Loro li facevano da 50 anni. Avevano gli stessi strumenti, le stesse reference, le stesse risorse che avevo io. Il motivo del perché non hanno fatto giocattoli migliori, non lo so.

Solo una cosa prima di proseguire: adoro il fatto che il non sapere come fare qualcosa non ti abbia mai fermato. Non sapevi come scrivere fumetti — lo hai fatto comunque. Non sapevi come si fanno i giocattoli… e li hai fatti lo stesso. Adoro questa cosa. Dovevo dirtelo.

Grazie! Penso che molte delle idee migliori della storia siano iniziate con qualcosa tipo: “Senti, so che suona stupido, ma…” E poi lo dicono e…boom ecco l’idea!
A volte essere la persona più ignorante nella stanza è un vantaggio. Non sai quello che non conosci, quindi fai domande. Perché non possiamo farlo? Perché non possiamo provarci?

E di solito, le risposte sono solo due — specialmente in una compagnia:

  1. Salta la scadenza,” oppure
  2. Costa troppo, non abbiamo il budget.”

Quando ho preso in mano la serie animata di Spawn su HBO, non sapevo nulla di animazione, ma facevo domande.

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E loro rispondevano: “Todd, rovini il budget. Todd, mandi all’aria le scadenze.
Budget. Scadenze. Budget. Scadenze. Ma ogni tanto facevo una domanda e… silenzio.

Quel silenzio voleva dire che non è un problema di soldi o di tempi, è solo che non siamo stati creativi abbastanza. E allora dicevo: “Andiamo avanti.” Spingiamoci fino ai confini della scatola in cui ci hanno messi.

Quindi sì — credo di essere stato solo abbastanza fortunato da fare quello che altri già pensavano.
Semplicemente non erano nella posizione di farlo. Io sì.

E probabilmente mi viene dato più merito di quanto ne meriti, ma hey, ha funzionato bene per la mia carriera. Quindi grazie.

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Ok, siamo quasi alla fine dell’intervista. Ma ovviamente dobbiamo chiederti: puoi dirci qualcosa sul film di Spawn? Senza spoiler, ovviamente.

Ci stiamo lavorando costantemente. Anzi, proprio mentre stavamo facendo questa intervista, ho ricevuto una telefonata dalla Blumhouse. Stiamo cercando di realizzare il film con loro.

Quindi sì, stiamo sempre spingendo quel masso su per la collina. Non passa giorno senza che qualcuno stia lavorando a questo progetto, ma è passato così tanto tempo, e ci sono stati così tanti ostacoli che si sono messe in mezzo, come la pandemia, lo sciopero degli sceneggiatori, e tutto il resto che a questo punto penso sia meglio chiudere l’accordo prima, e poi fare un annuncio.

E quando arriverà il momento, voglio che la prossima notizia sia: “È fatta.”

Non “il film è finito”, ma: L’accordo è chiuso.Il che significherebbe che si parte ufficialmente con la produzione e che il film si fa.

Questo è l’aggiornamento che voglio dare la prossima volta: “Abbiamo chiuso l’accordo. Abbiamo una data d’inizio. Si parte.

Arriverà, ma per adesso sto mantenendo un profilo basso, almeno fino a quel momento.
Non voglio più continuare a stuzzicare e illudere le persone — l’ho già fatto per troppo tempo e perfino mia moglie non ne può più. Mi dice sempre: “Fai sto dannato film.”

E una volta che l’accordo sarà chiuso, potremo anche dire chi sarà coinvolto, ma la cosa che conta davvero è: Quando esce? Quando lo posso vedere?

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Quando avrai queste due notizie, noi siamo qui. Quindi se vuoi dircelo per primi, saremo felicissimi.

Beh, ehi, quelle telefonate che ho citato fanno tutte parte del processo. Quindi incrociamo le dita, speriamo che tutto vada nella direzione giusta.

Oggi le action figure da collezione vivono ancora in una sorta di bolla.
Ma se finalmente riuscissimo a far uscire questo film di Spawn, allora comincerebbero a comparire cappellini, magliette, videogiochi — tutto — e il brand diventerebbe davvero molto, molto più grande e conosciuto.

Tanti pensano che Spawn sia già un nome importante. Ma in realtà non è ancora uscito da quella bolla di collezionisti.

Faccio un esempio: se andassi da tua madre in Italia e dicessi, “Ehi, ho creato Spawn,” probabilmente mi guarderebbe perplessa, come se non capisse cosa ho detto.
Ma se dicessi, “Ho co-creato Venom,” forse risponderebbe: “Aspetta, ho visto una pubblicità su quello!” o “Credo che i vicini abbiano visto quel film.” Ecco, quello vuol dire uscire dalla bolla.

Di solito, quando qualcuno non conosce Spawn, dico solo: “L’ho creato io.” E la risposta è: “Ah wow, figo.
Ma ora voglio andare oltre. Voglio che Spawn diventi davvero un nome mainstream.

Ultima domanda, che farà il nostro mitico Mike Arcade. Lui oltre a essere un grande appassionato di videogiochi è anche il curatore della rubrica Passione Arcade, qui su MegaNerd. Alla fine di ogni intervista chiede sempre al nostro ospite… Cosa ti viene in mente quando senti ‘arcade’, ‘sala giochi’ o ‘videogiochi’?

Bella domanda! Sono un boomer, quindi quando sento “arcade”, penso… a Pac-Man!
Quando andavo all’università, nel 1980, non esistevano ancora le console domestiche. Tutti i videogiochi si trovavano nelle sale giochi dell’università.
Non ero molto bravo a giocarci, ma ci andavo con gli amici. Loro erano forti, io guardavo e mi divertivo. Ricordi quando mettevamo la monetina sul bordo dello schermo per prenotare il turno?

Poi ho iniziato a lavorare nei fumetti, e quello è diventato il mio mondo.
Anni dopo, quando ho rivolto di nuovo lo sguardo ai videogiochi… wow, era cambiato tutto. Io mi ero fermato a Pac-Man e ai miei tempi c’era solo una manopola. Non ero neanche bravo con quella.

Adesso devo usare due joystick, quattro tasti, e muovermi. Quindi ora guardo mio figlio, guardo i miei collaboratori, guardo gli streamer su YouTube e ammiro tutto da lontano.

Dal mio punto di vista da artista, noto come tutto si è evoluto: l’animazione, le luci, gli effetti, gli incantesimi… È fantastico vedere come i videogiochi si siano trasformati rispetto a quando ero bambino. Io però resto all’antica. Movimento da sinistra a destra. Quello è il mio stile.

Grazie mille per il tuo tempo e per averci dato uno sguardo così profondo sul dietro le quinte del tuo lavoro creativo. Sappiamo che ti abbiamo tenuto un po’, e tua moglie magari ti sta cercando!

[Risata n.d.r.] Se Spawn esce davvero al cinema, farò un tour mondiale e metterò sicuramente l’Italia in una delle tappe. Mi piacerebbe tornare in Europa, ma con qualcosa di grande da dire.
Non solo ai fan duri e puri che mi seguono da 30 anni — che amo e che saranno sempre la mia priorità — ma anche con qualcosa che arrivi alla “persona della porta accanto”. Qualcuno che dica: “Ehi, sembra un bel film. Ho visto il trailer. Magari lo vado a vedere.

Ti aspettiamo qui allora!

Grazie, davvero. E grazie a tutti per il vostro tempo!

Un’ultima cosa: grazie per la Image Comics. Senza di essa, non avremmo avuto tante storie incredibili.

Grazie a voi! Per me significa tanto. Mi sento come un padre orgoglioso quando vedo titoli come The Walking Dead, Saga, Department of Truth — storie che non hanno nulla a che fare con Spawn o i supereroi. In 30 anni abbiamo accolto opere meravigliose da ogni tipo di autore, e ne sono fierissimo. È come se avessi migliaia di figli — e sono tutti fumetti.

Ecco come la vedo io: potrei essere investito da un autobus domani, ma la Image Comics continuerebbe ad esistere. Questa è la vera vittoria. Andare oltre i fondatori originali e durare nel tempo.

È quello che sogno anche per Spawn e per la mia azienda di giocattoli. Che un giorno, quando non ci sarò più, la gente vorrà ancora le cose che abbiamo creato. Quello è il sogno e l’eredità che voglio lasciare.

Un po’ come Walt Disney con Topolino. Lui non c’è più, ma Topolino è ancora qui. Io voglio che Spawn sia il mio Topolino.

Mickey Spawn! Fantastico. Grazie davvero Todd.

Grazie a voi. Ciao!

Ringraziamenti

Ringraziamo davvero di cuore Todd per il tempo che ci ha concesso e tutto il suo staff per averci messo nelle condizioni ideali per realizzare questa intervista. Una chiacchierata del genere, a un personaggio così importante, non poteva che essere frutto di un ottimo lavoro di squadra, che ha visto in prima linea Mr. Kent, Doc G, Claire Bender e Mike Arcade.

Senza nessuno di loro, questa intervista avrebbe potuto vedere la luce. Fortunatamente, ognuna delle persone citate ha lanciato il cuore oltre l’ostacolo per far sì che questo contenuto uscisse con tutta la sua forza.

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