Suburra, una grande occasione persa

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Ha preso il via la prima produzione italiana targata Netflix. Ritroviamo sul piccolo schermo il prequel dell’omonimo film del 2015 di Stefano Sollima: Suburra, a sua volta ispirato al romanzo di Giancarlo De Cataldo e Carlo Bonini.

Serie che mette il punto solo per ora con all’attivo dieci episodi, Suburra narra le vicende legate principalmente alle famiglie Adami e Anacleti, da cui poi prenderanno avvio i personaggi Numero 8 e Spadino nel film. Inoltre, ritroviamo tutti gli ingredienti usati da Sollima che, seguendo un filone fortunato in cui riesce bene, raccontano l’Italia schiava della politica corrotta, sia essa sacra o profana ovviamente. 

Suburra racconta il malaffare romano dove sul piatto degli ingordi c’è l’acquisizione di un lotto di terreni appartenenti al Vaticano. Tra strette di mano nelle stanze dei bottoni e guerriglia urbana, le pedine di una scacchiera, sconnessa come i sanpietrini, si muovono cercando di prendersi tutto.

Lo scenario romano che Suburra ci racconta, non ci prende alla sprovvista. Altro non è infatti se non la messa in scena della cronaca nazionale che di continuo accende i riflettori sulla decadenza impietosa della Capitale che l’ha portata ad essere una discarica abusiva su cui tutti vogliono mettere le mani. Se non abitate sull’albero del sapone, sapete meglio di me che il vero oro italiano è fatto d’immondizia e cemento.

I piani in movimento sono da sempre due, e la Città, ahimè, li sa gestire da quando ne ha memoria. Questo fino a quando qualcuno, ogni tanto, non decide di essere il padrone di tutto.

Non si deve mai dimenticare che Roma non vuole padroni.

La Capitale non ha imperatori e principi, solo persone che amministrano i suoi affari. Da una parte c’è la Roma bene con i suoi salotti dove siedono prelati, politici e nobili decaduti. Dall’altra, c’è la strada fatta di puttane e criminali che non hanno paura di sporcarsi le mani con sangue e merda.

Questa è Roma.

Cercare di far funzionare gli ingranaggi di una serie tv sulla criminalità tutta romana è difficile e sbagliare è più facile di quanto si pensi. La prima cosa che colpisce di Suburra tuttavia, è di non averci neanche provato a fare il salto di qualità. Tutto si muove con una banalità sconcertante. Vi basti pensare che la prima puntata si apre con il solito gioco prete = puttane e cocaina. Pur volendo perdonare l’ovvietà con cui si sceglie di iniziare a giocare, non si può soprassedere su tutto il resto. Ogni situazione è gestita con ripetitività e dialoghi sterili. Sono tutti protagonisti allo stesso modo dentro Suburra, non si approfondisce l’identità di nessuno.

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Dalla perversione del monsignore si apre il gioco dei ricatti che richiama in scena tutta Roma. La famiglia storica con le nuove leve che scombinano gli equilibri, gli zingari con il Ferrari che tutti schifano, il Campidoglio che è tutto corrotto o corrompibile. Il Deus ex Machina è Samurai, ovvero la vecchia scuola che si muove silenziosamente cercando di mantenere in equilibrio il tutto, portando Roma al prossimo livello: far entrare la mafia nei giochi sul piano regolatore.

E qui non riesco più a trattenere il veleno. Lo svolgersi dei fatti avviene esattamente così come l’ho appena scritto. Tutte le pedine di Suburra si riempiono la bocca con la parola Mafia e tutto finisce così. Stiamo scherzando? L’affare che semina morti ogni puntata, ricatti e vendette è legato a questo parolone che, lasciatemelo dire, non vuol dire un cazzo. È come dire che Tizio si droga con la droga. Senza contare che la Mafia si materializza con il figlio stereotipato di un ipotetico boss (che non si scomoda nemmeno di partecipare in prima persona). Sono i miei natali palermitani a parlare lo confesso, ma più in basso di così non si poteva andare.

E mentre si gioca con pallottole e coltelli, con una spudoratezza che fa sorridere, tutti abbassano la voce quando si deve nominare la parola Mafia. Finora a Roma si è scherzato quindi. Carminati, a cui non potrete fare a meno di pensare, tanto per dirne uno, ha giocato a fare il signorotto feudale: è ora di trastullarsi sul serio. Si può banalizzare più di così?

Non finisce qui. Mentre io m’innervosisco dietro a frasi come con la mafia non si scherza, si susseguono senza soluzione di continuità tre set ideali sempre uguali. Se vuoi parlare con gli zingari devi andare a casa loro dove nel frattempo si cucina e si gioca a carte. Se vuoi parlare con Samurai devi andare al maneggio perché ha la passione dei cavalli. Infine, se è con la famiglia Adami che ti vuoi rapportare, devi raggiungere un pontile sul Lido di Ostia. Punto. Continuamente, non cambia mai nulla.

Suburra è deficitaria sotto ogni punto di vista. Le pedine da muovere sono molteplici se si vuole raccontare il malaffare dei piani di lottizzazione e a mio parere, non c’è nemmeno la buona volontà di provare a rendere la storia credibile. Si è perso troppo tempo a scimmiottare Romanzo Criminale e Gomorra ottenendo un risultato è davvero, davvero noioso. Volevate un prodotto di qualità? Bene. E allora perché collaborate con Rai Fiction? Già questo indizio che vi regala i titoli di testa la racconta lunga.

Non si finisce mai di soffrire in Suburra. C’è la quarantenne (Claudia Gerini) che se la fa con un ragazzo che di anni ne ha venti (ma va), Lele. Ovvietà su ovvietà, Lele è figlio di un poliziotto e guarda un po’, si ritrova invischiato nel malaffare.

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In dieci puntate, Suburra mette in piedi il racconto di un equilibrio che viene a mancare. Il problema però è che lo fa tramite figurine di plastica che non trasmettono nulla se non fastidio. Si esatto, fastidio. Chi guarda non è così sprovveduto da lasciarsi prendere in giro da una continua sequenza di luoghi comuni e ripetizioni.

Il film di Sollima al contrario è da guardare (ovviamente c’è Favino, come farebbero notare su Boris). Sollima riesce a restituire una narrazione scorrevole e sensata dove ottimi attori interpretano ruoli dall’animo corrotto e questo arriva. In questo prequel no. Nel prequel si sputtana Suburra, che per me è ancora il quartiere dove Messalina dava sfogo ai suoi bassi istinti. Era l’altra Roma. Oggi la Città è una sola e se ne sono dimenticati. E a Roma si soffre, hanno omesso pure questo.

Gli attori sono bravi, soprattutto gli astri nascenti Alessandro Borghi e Giacomo Ferrara, ma da soli non ce la fanno a convincere. Peccato. Salvo anche “Roma cruda”, ending del Piotta ft. Il Muro del Canto, straziante e brutalmente vera.

Aleggia nell’aria una seconda stagione e Dio ce ne scampi. Un pessimo esempio di voler fare la qualità italiana a tutti i costi.

 

Dal salotto della Sig.ra Moroboshi

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Sig.ra Moroboshi

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Contro il logorio della vita moderna, si difende leggendo una quantità esagerata di fumetti. Non adora altro Dio all'infuori di Tezuka. Cerca disperatamente da anni di rianimare il suo tamagotchi senza successo. Crede ancora che prima o poi, leggerà la fine di Berserk.

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3 Comments

  • Il film di Suburra è davvero bello; l’ho visto una sera, quasi per caso, e me ne sono innamorato.

    Questo non ho ancora avuto il tempo di vederlo (sto cercando di finire il recupero matto e disperatissimo di Doctor Who, e non ho tempo per altro), quindi ho solo un’osservazione generale da fare: comincia a indispormi davvero tanto il fatto che, quando si parla di fction italiana, si debba sempre, sistematicamente e con sicurezza andare a finire nella Mafia. Ma che cazzo! Possibile che non ci sia altro da raccontare? Capisco che sia un soggetto facile su cui costruire una storia, ma davvero è questa l’immagine vogliamo sempre e solo dare di noi? Magari anche basta, eh!
    Ok, ho finito. Magari torno quando (e se avrò visto al serie.

    • Caro Daniele, è veramente difficile darti torto.
      Il filone narrativo intrapreso anni fa con Romanzo Criminale è poi proseguito con Gomorra e 1992/1993, per arrivare fino a Suburra. Da sempre il male affascina lo spettatore, c’è poco da fare…
      Però sono d’accordo con te: il filone “crime” l’abbiamo sviscerato abbastanza, forse è il caso di farsi venire nuove idee (magari diverse da quelle che propongono Rai e Mediaset)

      • 1992 non sono mai riuscito a finirlo; Gomorra invece mi impongo di guardarlo, anche se mi fa soffrire a ogni puntata.

        Purtroppo viviamo in un Paese che ha il terrore di osare e provare strade nuove. Anche al cinema, si sta tornando a fare qualche incursione nel cinema di genere, ma è ancora visto con sospetto e diffidenza dai produttori. Finchè non cambierà questa mentalità (o le persone in cima alla catena alimentare) ho paura che continueremo ad avere solo fiction di mafia, drammoni d’autore e commedie che spesso lasciano il tempo che trovano. Non che questi siamo per forza un male, eh, ma ogni tanto si potrebne anche aver voglia di qualcosa di diverso.

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