Weapons – Quando il colpevole è il silenzio

Zach Cregger torna dopo Barbarian con Weapons, un horror rarefatto e disturbante che indaga il lato oscuro del conformismo e della colpa collettiva.

Alberica Sveva Simeone
copertina recensione weapons film

Le 2:17am. Tutti dormono.
Inizia così la favola nera di Weapons, con una voce fuori campo – quella di un bambino – che ci informa, senza apparente emozione, che diciassette compagni di classe, quella notte, sono usciti di casa correndo e non sono più tornati. Tutti tranne uno: Alex. Il giorno dopo, il ragazzino si presenta regolarmente a scuola, come se nulla fosse. Ma nulla sarà più come prima.

È un incipit che destabilizza, una frattura improvvisa nel cuore di una comunità americana da catalogo immobiliare: villette a schiera, vialetti curati, siepi perfettamente potate. Un quartiere che pare scolpito nella cera, immobile nella sua pretesa di ordine. Dove il disordine non è solo un problema, è un’anomalia. E le anomalie, si sa, devono essere eliminate, non comprese.

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In questo scenario asettico e ipercontrollato, Weapons affonda i denti e inizia a scavare. Non tanto nel mistero della sparizione dei ragazzi, quanto nel mondo che li circonda. Nelle dinamiche opache tra adulti e adolescenti, nella rabbia repressa, nel senso collettivo di colpa e nella ferocia nascosta sotto il tappeto. Zach Cregger, che aveva già stupito con Barbarian (2022), qui alza ulteriormente l’asticella: non c’è solo la paura del buio o dell’ignoto, ma l’angoscia silenziosa del non detto, dell’abitudine che anestetizza, della comunità che finge, ignora e infine condanna.

Cregger ha un percorso atipico. Nato artisticamente nel mondo della comicità – è co-fondatore del collettivo The Whitest Kids U’ Know – ha sorpreso il mondo con Barbarian, un horror capace di ribaltare le regole del genere con intelligenza e stile. Un film nato da un esperimento di scrittura in cui l’autore decideva di seguire solo ciò che lo incuriosiva davvero. Il risultato? La rivelazione di una nuova voce nel panorama del cinema horror: lucida, giocosa, disturbante.

Con Weapons, Cregger conferma e amplifica la sua vocazione. La regia è più sicura, la scrittura più ambiziosa, l’impianto narrativo più articolato. Se Barbarian era un colpo di scena continuo, Weapons è una spirale lenta, insinuante, fatta di frammenti che si rincorrono e si ricompongono in un puzzle doloroso.

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Weapons e l’anatomia del sospetto

Il film si muove su più linee temporali e punti di vista, passando da un personaggio all’altro con apparente casualità. Ogni storia è un pezzo del quadro, ma non c’è un vero protagonista: ci sono tante piccole verità, tante prospettive che si contraddicono e si alimentano. Il montaggio è teso, gestito con la stessa precisione con cui un chirurgo decide dove incidere per colpire in profondità. Cregger non vuole solo raccontare una storia: vuole farci dubitare di tutto ciò che vediamo.

È un racconto che si biforca di continuo, un meccanismo narrativo che somiglia a un amplesso che si prolunga oltre il punto di rottura. E quando finalmente tutto si ricompone, la tensione diventa insostenibile. È in quel momento che l’orrore – quello vero – prende forma.

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L’eco del Pifferaio di Hamelin è fortissima. Anche qui, dei bambini scompaiono misteriosamente. Anche qui, si intuisce un tradimento. Ma in Weapons, la fiaba non è solo una traccia narrativa: diventa metafora. Un’intera generazione si dissolve nel cuore della notte, e ciò che resta è una comunità vuota, interdetta, paralizzata. La sparizione è una ferita, certo, ma anche uno specchio. Qualcosa – o qualcuno – ha suonato una musica che solo i bambini potevano sentire. E loro hanno seguito il richiamo.

Il film non indaga tanto sul colpevole, quanto sul contesto. Perché i bambini sono andati via? Cosa si cela dietro le facciate sorridenti degli adulti che, sotto la pressione della paura, cominciano a cercare un colpevole ovunque, soprattutto nei più fragili? È il caso della maestra Justine (interpretata da Julia Garner), figura tragica e imperfetta, che diventa in breve tempo il capro espiatorio perfetto per assorbire la rabbia, la frustrazione e il senso di fallimento collettivo.

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Il silenzio fa più paura del sangue

La forza di Weapons non sta tanto nel mostrare, quanto nel suggerire. Di orrore visivo ce n’è poco, eppure, quel poco è disturbante, mai gratuito, sempre calibrato con cura. Ma è la tensione psicologica a dominare: il senso che qualcosa sia profondamente sbagliato, che sotto il prato perfettamente tagliato ci sia del marcio.

Cregger costruisce una riflessione sottile e inquieta sul conformismo, sulla colpa, sulla disintegrazione del patto sociale. In questo, Weapons si inserisce nel solco tracciato da registi come Jordan Peele, Ari Aster e Robert Eggers: autori che hanno fatto dell’horror un veicolo per raccontare le crepe della società. Ma Cregger ha una voce tutta sua: più gelida, più analitica, meno empatica. Osserva i suoi personaggi senza pietà, senza giudizio. E proprio per questo, lascia che siano loro – con le loro scelte e omissioni – a parlare per la storia.

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Quindi, fa paura?
Non nel senso classico. Non è un film da jumpscare, non del tutto, perlomeno. Non ti fa urlare, ma ti infetta lentamente. L’angoscia cresce in sordina, scena dopo scena, fino a diventare qualcosa che resta anche dopo i titoli di coda. Un senso di disagio che ti accompagna, che non si scrolla facilmente di dosso.

È la storia, più che le immagini, a spaventare. È il pensiero che tutto questo – la fuga dei bambini, la reazione isterica degli adulti, la rapidità con cui si cerca un colpevole – sia terribilmente plausibile.

Weapons non è un film perfetto, ma nel complesso è un’opera coraggiosa, lucida, disturbante. Ti resta addosso, come qualcosa di appiccicoso, nocivo e profondamente sbagliato.

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Cregger si conferma una delle voci più interessanti e imprevedibili del panorama horror contemporaneo. Dopo il successo di Barbarian, Weapons è un secondo colpo ben assestato, che non ha paura di osare e di scontentare. Un film che divide, ma che merita di essere discusso, rivisto, metabolizzato.

Ed è forse proprio questo il suo pregio più grande: farci riflettere non su ciò che ci fa paura… ma su ciò che decidiamo di ignorare ogni giorno.

Weapons

Weapons

Anno: 2025
Paese: USA
Durata: 128 minuti
Regia e sceneggiatura: Zach Cregger
Casa di produzione: New Line Cinema Subconscious Vertigo Entertainment BoulderLight Pictures
Cast:
Josh Brolin,
Julia Garner,
Benedict Wong,
Alden Ehrenreich,
Amy Madigan
Voto:
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Classe '78, romana. Coltiva sin da piccola l'interesse per il genere horror e il cinema. Appassionata di cultura pop, film anni '80, amante della città di New York e dei viaggi in generale. È autrice, podcaster e youtuber. Ha pubblicato numerosi racconti e romanzi e scritto diversi soggetti cinematografici e televisivi. È sceneggiatrice di Dylan Dog per Sergio Bonelli Editore e saggista per Odoya Edizioni.
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