Orange is the new black: la gabbia della dipendenza

 

Ebbene sì, come promesso torniamo a parlarvi della nostra amata Orange is the new black.

Stavolta cercheremo di analizzarla sotto un aspetto che ha caratterizzato svariati film e serie prima di questa, ma che rimane un argomento estremamente delicato, quello della droga.

Se in Breaking Bad la droga è vista come una fonte di guadagno facile e come il fulcro della rivincita nei confronti di una vita opprimente, se in Trainspotting l’abbiamo potuta vedere come una fonte di piacere immediato e come una fuga estrema dalla realtà, in Orange is the new black tutto questo è condizionato dal contesto del carcere.

Le mura della prigione rappresentano infatti un limite non solo fisico per le detenute, ma anche un limite mentale che si impone su ogni progetto o speranza.

I motivi che spingono Walter White ad avvicinarsi al mondo della droga, nell’universo di Piper Chapman vengono spazzati via dalle regole del carcere. La fuga dalla realtà, il profitto, il coinvolgimento nei traffici hanno meno peso in un contesto circoscritto e impostato come quello di Litchfield. In un luogo dove le giornate sono suddivise in attività scelte da altri, scandite da orari imposti arbitrariamente, dove niente è condizionato da una propria scelta personale, ciò che spinge le detenute a fare uso di stupefacenti il più delle volte non è altro che la voglia ed il bisogno di provare qualcosa.

 

Questo è il caso ad esempio della consolidata coppia Leangie, pronta ad usare qualsiasi sostanza per raggiungere uno stato di alterazione. Reduci da un passato diverso, Angie Rice e Leanne Taylor hanno entrambe tagliato i ponti con la vita che avevano e sono alla costante ricerca di sensazioni forti e “sballi”, ricerca alternata a una sorta di desiderio di riscatto. Che siano farmaci perciò, vernici, caffè o eroina, poco importa se ti fa sentire vivo.

 

Come per i disturbi mentali, tuttavia, anche in questo caso l’argomento apre la strada ad una più ampia denuncia che riguarda corruzione, maltrattamenti e negligenze all’interno delle prigioni. A Litchfield infatti, chi arriva in carcere con problemi di droga difficilmente riesce a liberarsi dalla sua dipendenza; le guardie stesse guadagnano dallo spaccio all’interno della prigione e molto spesso sono proprio loro a mantenere aperto uno spiraglio sul mondo esterno e sul passato delle detenute.

 

Non a caso, già nella prima stagione viene mostrata questa “falla” nel sistema carcerario. Con la morte per overdose di Tricia Miller, diciannovenne e tossicodipendente, Caputo si interroga non solo sulla provenienza della dose che l’ha uccisa, ma intuisce anche il perseverare dei traffici che non hanno mai permesso a Tricia nei suoi 10 mesi di detenzione di superare la fase peggiore della sua riabilitazione.

 

Più apertamente la storia si ripete con Nicky Nichols, una detenuta in passato dipendente da eroina che a più riprese mostra ancora la sua debolezza. Nella terza stasgione Nicky riesce a  stringere un accordo con la guardia Luschek per vendere eroina all’esterno del carcere, ravvivando inevitabilmente la sua dipendenza dopo ben tre anni di distacco.

Sono episodi che come molti altri mostrano lo sfondo dietro alle dipendenze, ma allo stesso tempo fanno luce sulla scarsa importanza e fiducia data alle detenute, alla loro riabilitazione e alla loro capacità di cambiamento e creazione di una nuova vita.

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Claudia Amici

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Il mio nome rispecchia la mia solare personalità. Sono appassionata di letteratura, drogata di serie tv e spacciatrice d'immagini per MegaNerd su Instagram.

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