La morte di Wolverine – Recensione

La morte di Wolverine sarebbe dovuta essere una pietra miliare nelle storie degli X-Men, invece Soule e McNiven non riescono nell’impresa di regalare a Logan un degno finale. Ecco cosa ne pensiamo

Sarebbe banale aprire la recensione di un volume come questo dicendo che Wolverine è uno dei miei personaggi preferiti. Lo sarebbe perché probabilmente è anche uno dei vostri personaggi preferiti, altrimenti non sareste qui. Il buon vecchio Logan è senza dubbio uno dei mutanti più amati sia dagli appassionati dei comics che da quelli dei film… eppure, paradossalmente, non sempre è stato trattato bene dagli autori, anzi.

Nei fumetti, i picchi narrativi non sono stati poi così tanti se pensiamo a quanto sia lunga la carriera editoriale del personaggio, eppure noi ogni mese eravamo lì, pronti a sperare che arrivasse un’altra di quelle saghe appassionanti stile Arma X, oppure qualche ciclo mozzafiato come la trilogia inaugurata da Scorpio Connection. Oppure che finalmente arrivassero autori come Millar o Bendis, che fondamentalmente avevano capito cos’avesse in mente quel genio di Claremont quando scriveva il personaggio: una sorta di cowboy ribelle, rude, violento, ma leale. Con un cuore grande, vera forza del nostro mutante preferito. Il lavoro fatto da questi due autori ovviamente non è paragonabile a quanto fatto da Claremont, ma in tempi recenti sono probabilmente gli unici che sono riusciti a restituirci un un Logan più autentico, meno macchietta e più WOLVERINE.

Nei film, stendiamo un velo pietoso: l’unico sopra la sufficienza è Logan, il resto possiamo tranquillamente ignorarlo.

Eppure, pensateci bene: nonostante sia stato spesso bistrattato e trattato male, il personaggio ha forza talmente grande nei confronti del pubblico che sfonda persino la cosiddetta quarta parete. Wolverine è più forte delle storie che scrivono su di lui, non so come questo possa essere possibile: oltre a lui, solo Batman è stato baciato da questa fortuna. C’è un ciclo terribile di storie o fanno dei film agghiaccianti sul personaggio? Non importa, aspetteremo il prossimo giro. Perché è Logan. Non serve altro. Le belle storie ci sono state e torneranno, ora bisogna stringere i denti e andare avanti.

Fino alla fine.

Già, perché ci hanno insegnato che tutte le cose belle, hanno una fine.
Non so perché. Probabilmente perché altrimenti ci si abituerebbe e non sarebbero più tali, non ne ho idea. Non sono un filosofo, solo un tizio che ama leggere.
Fatto sta che a un certo punto, la Marvel ha deciso di mettere la parola fine alla lunga carriera di Wolverine, uccidendolo. Motivi di marketing, più che illuminazione narrativa, ma questo importa poco: se mi dai una bella storia, io ci sto.

Ecco, questa non è una bella storia.
Nonostante io apprezzi tantissimo Charles Soule (andate a leggervi subito il suo ciclo su Daredevil) e ami alla follia i disegni di Steve McNiven, questa non è proprio una bella storia. Ma non tanto perché mi aspettassi chissà quale battaglia epica o discorsi in grado di scuoterti l’anima… ma perché il tipo di narrazione scelto da Soule ha poco ritmo, è quasi sbrigativo. Doveva raccontare l’ultima, grande storia di Wolverine e… beh, ci è riuscito a metà: la baracca la salva McNiven, straordinario come sempre e alcune piccole trovate narrative che sono apprezzabili, ma qui siamo purtroppo di fronte a un prodotto mediocre.

Almeno per me, sia chiaro.
Qui non vendiamo verità assolute, ma solo impressioni.

Logan ha perso i suoi poteri rigeneranti, sta morendo. La sua unica speranza è starsene calmo e tranquillo finché Reed Richards non riesce a trovare una cura, ma essendo una vera e propria calamita per i guai, questo risulta altamente improbabile. La breve conversazione tra Logan e il leader dei Fantastici Quattro fa capire ben più di quel che in realtà accade: ci sono due uomini in una stanza, un malato e un potenziale curatore. Non sono amici (e questo viene detto a chiare lettere), probabilmente non si stimano nemmeno fino in fondo, ma c’è un profondo rispetto tra i due.

Quello che nessuno dei due aveva previsto, però, è che di lì a poco si sarebbe scatenata una vera e propria caccia all’uomo organizzata da una vecchia conoscenza del mutante artigliato. Questo porterà Logan in giro per il mondo alla ricerca del mandante dei suoi sicari, facendolo tornare quasi come un segno del destino, in tutti i luoghi che hanno significato davvero qualcosa per lui: vedremo dunque il Canada, Madripoor e ovviamente il Giappone, terra in cui probabilmente ha lasciato cuore e anima.

 

La lettura scorre via veloce, forse sin troppo: se in alcuni passaggi ci si riesce a soffermare bene su alcune cose, su altre si decide di soprassedere, accennandole a malapena. Non c’è praticamente emozione, pathos, in quella che dovrebbe essere l’ultima avventura di Wolverine: si arriva al finale in modo piuttosto scontato e questo è un peccato, visto che Soule ha dato prova di essere uno scrittore assolutamente valido. Paradossalmente lo dimostra anche in alcuni piccoli passaggi di questo volume, con sequenze che non hanno bisogno di parole. McNiven è un mostro di bravura e riesce a costruire tavole fantastiche, che da sole varrebbero il prezzo del volume.

la morte di wolverine

Non vi svelo il finale, anche se visto il titolo della storia, è facilmente intuibile. Sicuramente dare una degna conclusione alle avventure di Wolverine non era affatto semplice, ma l’impressione è che si sia voluto correre troppo, andare spediti verso l’obiettivo senza darci il giusto tempo per salutarlo. Per entrare in sintonia con lui per l’ultima volta, prima che… beh, prima che diventi leggenda.

Ve l’ho detto prima. Logan è più forte delle storie che scrivono su di lui.
Perché è il migliore in quello che fa… e non sempre quello che fa è piacevole.

Prima o poi tornerà, lo sappiamo tutti. Ma fino ad allora, stappiamo una birra e ce la facciamo alla sua salute.

Alla tua, Wolvie. Ci vediamo nei fumetti.

 

 

Abbiamo parlato di: 

Mr. Kent

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Appassionato di fumetti, curioso per natura, attratto irrimediabilmente da cose che il resto del mondo considera inutili o senza senso. Sono il direttore di MegaNerd e me ne vanto.

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