Filipe Andrade e i Rare Flavours del mondo, tra spiritualità e cucina

Durante l'ultimo Comicon Napoli abbiamo avuto l'occasione di intervistare Filipe Andrade, autore di Rare Flavours - Gusti inconsueti insieme a Ram V, pubblicato in Italia da Edizioni BD. Questo viaggio tra cibo, cultura e spiritualità è quello che ne è venuto fuori. Buon appetito!

Claire Bender
copertina intervista filipe andrade

Ogni festival riserva delle sorprese speciali, qualche bell’incontro che va a solleticare corde normalmente bloccate dalla frenesia della vita quotidiana. Esattamente quello che mi è successo quando ho incontrato Filipe Andrade al Comicon di Napoli, in una tiepida giornata col sole nascosto da qualche nuvola.

Filipe, portoghese di nascita e cittadino del mondo per scelta, difensore di quella lentezza tutta mediterranea che troppo spesso dimentichiamo, era lì per presentare Rare Flavours – Gusti inconsueti, scritto da Ram V ed edito in Italia Edizioni BD.

La graphic novel, nominata anche per gli Eisner Awards 2025, racconta il rapporto degli esseri umani con la cultura, il cibo e il folklore, intrecciandoli tutti in un tessuto complesso e visivamente incredibile: di questo e di molto, molto altro abbiamo parlato nell’intervista che vi presentiamo.

Per me, è stata una rinfrescante passeggiata nelle mie radici con un’inaspettata deviazione verso terre e argomenti che non conoscevo, in compagnia di quello che mi è sembrato un vecchio amico; per voi, spero sia un gusto inconsueto che vi spingerà a provarne altri.


rare flavours edizioni BD

Intervista a Filipe Andrade

Parto direttamente a bomba con una domanda su questo tuo nuovo lavoro, Rare Flavours – Gusti inconsueti. C’è una scena che mi ha colpito molto, una delle prime, quando Baksh porta Mo a prendere il tè per la prima volta. Da un lato, c’è la bancarella di Satish, fatta di sapori semplici; dall’altro lato, Baksh stesso e i suoi gusti, che intuiamo essere più sofisticati. È una critica alla “pornografia” di show culinari da cui siamo circondati e invasi?

Forse anche quello, ma principalmente l’ho pensata come una sottile critica alle cose fatte senz’anima, con approssimazione. Per esempio, quando Rubin Baksh e Mo sono al mercato e stanno discutendo del documentario, ci sono due punti di vista diversi a confronto: Baksh punta a qualcosa di naturale, mentre Mo vuole solo fare qualcosa di professionale che piaccia al pubblico, ma senza metterci cuore.

Ecco, quella forse è una critica a questo modo di vedere, molto americano, che porta a non mettere cuore nelle cose perché contano solo il marketing e il merchandising.

Nonostante questo, penso che i primi due Chef’s Table [serie di documentari sviluppata per Netflix, che in ciascuna puntata racconta la carriera di uno chef di fama internazionale, ndr] siano incredibili, perché ti iniziano alla cultura del cibo da stella Michelin.

Ma dopo quello, c’è tanto altro: per esempio, il documentario su quello chef argentino che ha prima lavorato a Parigi, in un ristorante molto conosciuto; poi ha mollato tutto e adesso cucina solo in modo naturale e solo con sapori “reali”, legati alla sua memoria, alla sua storia [dovrebbe trattarsi di Francis Mallmann, ndr].

Ecco, quello mi sembra molto interessante, perché inserisce in uno show commerciale la questione di cosa dia più soddisfazione tra essere molto bravo a fare una cosa che però non è legata al nostro cuore, o fare bene le cose di cuore.

La prima stagione di Chef’s Table lavora principalmente su questo, ecco perché l’apprezzo, nonostante sia uno show.

RARE FLAVOURS tavola interna 1

Questa cosa che hai detto sulla soddisfazione si aggancia alla prossima domanda che volevo farti: c’è una frase molto bella nella lettera che Baksh lascia a Mo quando se ne va. Gli scrive che ha “preferito condividere come vede il mondo con una sola altra persona e vederla cambiata da questa cosa, vederla evolversi”, non gli serve più arrivare a tantissimi per sentirsi bene. Vale anche per te, con la tua arte?

Decisamente sì, anch’io preferisco arrivare a una sola persona nel modo giusto, piuttosto che a cento in quello sbagliato. Quello che dirò potrebbe sembrare una critica agli Stati Uniti – e in parte lo è – ma c’è una grande differenza culturale con l’Europa.

Noi siamo abituati alle cose semplici – diciamo noi popoli mediterranei – perché ancora siamo abituati a stare con le nostre nonne, magari crescendo in questi ambienti che paradossalmente sanno essere pesanti, soffocanti, ma al tempo stesso ti danno una prospettiva diversa della vita.

La vita è una sequenza di fatta condividendo con gli altri cose genuine, vere; negli Stati Uniti, siccome si è troppo concentrati sul fare soldi, questo si perde. Per esempio, è molto comune che alcune cose che in Europa sono gratis, negli Stati Uniti siano a pagamento. Questo trasforma tutta la comunicazione.

Prendi noi, per esempio: siamo due latini, di lingue diverse, ma la cultura è la stessa; se parliamo in inglese, diventa tutto strano. Si fa, però non è la stessa cosa. In Portogallo abbiamo un’espressione per indicare quello che intendo, o telefone estragado [il telefono senza fili, ndr]. Ecco, per me, quando la cultura è trasmessa bene, il messaggio arriva. E questa è la cosa su cui sono più concentrato in questo momento, e lo sono stato negli ultimi dieci anni.

RARE FLAVOURS tavola interna 2

Riguardo alla tua tecnica, in alcuni punti s’intravede il tratto di matita sotto al disegno, come se volessi lasciare tutto un po’ più sporco, meno rifinito. Ti va di parlarmene?

Sai, in passato vivevo con un collega che fa fumetti ed è anche un amico, e mi chiedevo sempre come mai dovessi ripulire i miei disegni, dato che a me piaceva avere tutta la costruzione visibile; e lui mi disse che non dovevo farlo per forza, che avrei potuto pulire anche solo le cose che avevano senso di essere pulite. Così ho cominciato a dargli retta.

Per esempio, tutte queste linee [ci concentriamo su una pagina di Rare Flavours, ndr] sono alla base di un disegno che è sporco. Quando disegni per trovare la linea giusta, magari fai quattro linee e dopo ne scegli una sola; ma le altre sono lì e sono belle, quindi le lascio, ne approfitto. Anzi, cerco di metterne sempre più di una; è un gesto che alla fine fa parte del mio processo, mi fa andare anche più velocemente.

Sperimentare, poi, è una parte fondamentale del tuo percorso: sei anche scultore, lavori con diversi materiali e stili. In Rare Flavours, per esempio, ho notato moltissimo questo passaggio tra elementi anche diversissimi tra loro, sia nella tecnica che nella palette di colori. Cosa ti guida nella scelta?

Dipende dalla storia; sono come piccoli fari, piccole istruzioni personali che mi danno una sensazione di libertà quando faccio le cose. Non mi piace lavorare con troppe catene, allora m’invento questo piccolo gioco per divertirmi di più e alla fine ti aggiunge anche altro alla storia, degli altri livelli di lettura.

Poi, con Ram V abbiamo già lavorato insieme [a Le Molte Morti di Laila Starr, ndr] e ci capiamo molto; facciamo davvero tutto insieme, ci chiamiamo, facciamo i video, cose così. Prima di cominciare a fare un capitolo, ne parlavamo sempre al telefono per vedere se quello che avevamo pensato avesse senso per entrambi e se la sensazione che ci arrivava fosse la stessa.

Tieni conto che a me piace molto Corto Maltese, in cui non servono troppe parole; allo stesso tempo, uno dei miei artisti italiani preferiti è Sergio Toppi, che spesso faceva fumetti difficilissimi da leggere perché basati più sull’illustrazione vuota di informazione. E anche se amo il suo lavoro, per me quello non è fumetto.

Io voglio fare un fumetto più classico, rendendo le cose più semplici: ecco, penso che quanto più siano semplici, tanto più siano fighi, i fumetti.

RARE FLAVOURS tavola interna 3

Questo lavoro tuo e di Ram V è anche un po’ un ricettario: attraverso le ricette, raccontate delle storie e queste storie poi vanno a comporre un puzzle, il mosaico della vita del protagonista. C’è una ricetta che hai preferito per la storia collegata, per i colori che hai usato, o anche solo per la pietanza stessa?

Guarda, è un puro caso, ma la mia ricetta preferita corrisponde anche al mio capitolo preferito, ed è quella del daal [una sorta di zuppa di legumi tipica del subcontinente indiano, ndr]. Lo cucino spesso, è molto facile da fare.

Mi piace molto anche il Paal Payasam [un dolce a base di latte e riso tipico del subcontinente indiano, ndr] che nasce dalla mescolanza tra la cultura cinese e quella indiana; è un piatto che ha tremila anni, all’incirca. E in Portogallo c’è una cosa molto simile, con latte, riso, zucchero, cannella, ed è tipico della regione d’origine di mia madre. Si chiama arroz doce, lo hai mai assaggiato?

Purtroppo no: l’unica mia visita in Portogallo è durata qualche giorno e si è limitata a Lisbona; in compenso, sono tornata ingrassata a furia di pastéis de nata [dolce tipico portoghese, ndr].

Eh, quelli sono tremendi. Io non sono molto bravo con i dolci, serve troppa precisione, e come vedi dai miei disegni io non sono così preciso… Cucino bene, ma i dolci sono più vicini alla chimica. E per questo dolce, ogni volta che sento mia madre le chiedo di chiamarmi prima di farlo, perché non mi riesce mai. Lei non mi crede, dice che è un piatto semplice, ma me non riesce.

Ho capito: al prossimo Lucca Comics & Games provo a farlo e te lo porto, se mi riesce!

Dai, dai, ottimo! Considera che faccio meglio il tiramisù che questo; il tiramisù è più difficile da una parte, ma tutto sommato non è complicatissimo.

RARE FLAVOURS tavola interna 4

Tornando a quello che hai fatto nella tua carriera, sei stato per dieci anni in Marvel, in cui – lo accennavamo prima – la modalità di lavoro è diversa. Hai lavorato su personaggi che già esistevano, e su quelli si è molto più limitati perché chiaramente c’è tutto un background di cui tener conto. Penso a Jessica Jones, Immortal Hulk, Captain Marvel, e così via. C’è stato, tra loro, un personaggio che hai trovato particolarmente sfidante?

Ti dirò: quando lavoravo per Marvel, a me piaceva fare tutto, perché trovo sempre un motivo per essere felice facendo il mio lavoro. Quello che però ha rappresentato la sfida più difficile – in senso buono, s’intende – , è stato John Carter – Prince of Mars perché prima di me ci aveva lavorato su Frank Frazzetta, artista del fantastico americano.

Faceva lavori che a volte erano anche molto “tamarri”, ma sapeva fare benissimo una cosa che a me piace tanto, perché viene dalla scultura: l’ombra colorata. Era un maestro in questo. Io sono partito con l’idea di dominare quella tecnica, anche perché avrei potuto usarla per la scultura e non solo, ma quando approdi a un personaggio Marvel non sai tutta la storia. Arrivi, cominci subito, ed è pericoloso cominciare a fare un lavoro così complicato, perché poi non riesci a stare dentro alle deadline.

In quel periodo, vivevo a San Francisco: di mattina lavoravo in una galleria d’arte, di sera facevo i fumetti, e poi, dato che ero in una città nuova, uscivo o magari andavo a qualche festa. Dopo qualche mese, ero distrutto. Fare le cose con i pennelli è più faticoso e bisogna essere davvero precisi.

Ma è una cosa che mi è servita per capire che ero capace di fare anche cose sfidanti e rientrare nelle deadline. Va anche detto che avevo 23 anni, ero veramente giovane! Mantenere quei ritmi per sempre non è possibile, le persone più vicine a te soffrono per forza di cose. All’epoca, le mie ex ragazze, i miei genitori, mio fratello, i miei amici soffrivano sempre perché non potevo passare tempo con loro; ora invece sì.

Con Marvel però è così, le deadline sono tremende. Di recente, per esempio, ho finito un libro per DC e mi sono sentito di nuovo come allora; in quel contesto, le deadline non sono costruite per fare le cose bene, ma per farle veloci e vendere.

captain marvel filipe andrade
Una tavola di Captain Marvel firmata Filipe Andrade

Tornando a questo volume, c’è tanta India dentro, e c’è tanta India anche nel precedente, Le molte morti di Laila Starr, così come tanto folklore, leggende, miti. Quindi ti domando innanzitutto se l’India sia stata scelta anche per questo aspetto; e poi, secondo te, la nostra società ha bisogno di una mitologia propria?

Bella domanda, per nulla semplice! Guarda, secondo me tutti gli esseri hanno qualcosa che non riescono a spiegare; per questo guardiamo il cielo.

Per esempio, quando c’è stato il blackout in Portogallo, c’era una cosa bellissima: si vedevano delle stelle pazzesche a Lisbona, ed è raro perché è una città con molte luci.

Ecco, io non sono religioso – insomma, anche se provengo da un popolo cattolico, non sento veramente la parola di Gesù, i dieci comandamenti e così via – ma nonostante questo, penso che l’essere umano sia davvero un animale spirituale.

Prendi per esempio i contadini che in alcune parti del mondo lavorano con le maree, conoscono il momento giusto per piantare le cose e così via… Ecco, quella è una cosa che spesso non si spiega, perché non c’è nulla di scientifico, spesso è un’usanza culturale, o un aspetto che c’entra con la spiritualità. Credo sia quella la questione, la spiritualità.  

Quando ero in Sri Lanka, per esempio, la gente parlava sempre in termini di fortuna, di karma positivo o karma negativo. Avevo un amico che ripeteva sempre “Elon Musk? Bad karma!” [ride]

Anche quando hai una brutta sensazione, anche quella è spiritualità: sai, quando non ti senti bene e non riesci a spiegarlo? Per esempio, quando arrivo in Italia, sto sempre bene perché mi sento a casa; arrivo a New York e, anche se è una città che conosco bene e in cui ho amici, non è la stessa cosa. È molto più violenta; la West Coast poi è ancora peggio, non puoi camminare.

Rare-Flavours-2-Cover-A-Filipe-Andrade

Raccontami qualcuna delle differenze che hai notato, in questo senso.

Be’, per esempio, noi siamo abituati ad andare al bar a piedi, no? Loro prendono la macchina per tutto e ci mangiano anche in macchina. Quando studiavo a Los Angeles, mi spostavo in autobus o a piedi, e quando camminavo sembrava Zombieland, non c’era nessuno per strada se non in auto!

Per un periodo, ho affittato una casa vicino al mare, prima di Google Maps e degli smartphone, intorno al 2008. Io ero contentissimo, avevo voglia di passeggiare sulla spiaggia, ma i miei amici mi dicevano sempre che era tutto troppo lontano. C’era un palazzo gigantesco, proprio davanti al mare, e con tanta fiducia un giorno provai a raggiungerlo: sembrava solo qualche km, ma avevano ragione i miei amici, non si arrivava mai.

Lì costruiscono così, senza mantenere una dimensione umana; e la società poi prende le stesse caratteristiche. Per questo quando gli americani arrivano qui si sentono spiazzati da quanto sia facile la vita qui in Europa. Puoi camminare, c’è il treno, puoi prendere la bici: è a misura di persona.

E questo credo faccia tanta differenza per le persone: se un posto non ha un taglio “umano”, ti spaventa e non te ne senti parte.

C’è un mio amico scultore, che viene da un paesino famoso per il marmo, ed è andato a New York per fare da assistente a un noto artista americano che aveva uno studio là. L’ho incontrato, a New York, e ricordo di averlo trovato molto cambiato: di solito è un tipo che vive con lentezza; guarda il cielo, poi mangia un’arancia, sorseggia un caffè, pensa, guarda i fiori, tutto molto lentamente. Lì faceva tutto con grande fretta.

Mi ha raccontato che una volta era in un supermercato a scegliere del formaggio, e un vecchietto lo aveva sgridato con un “Ehi, vorrei fare la spesa io!”, perché secondo lui stava perdendo tempo. Sono dimensioni totalmente diverse, quelle dell’Europa e degli Stati Uniti.

L’Africa, poi, è ancora un altro mondo. Ti racconto questo aneddoto: sono stato a  São Tomé e Príncipe, questo arcipelago di piccole isole, e loro hanno un modo di dire, leve leve, che è un po’ come dire piano piano. Sono molto lenti, in una maniera che non puoi capire: eppure, tra loro, dicono che gli abitanti dell’isola di Principe sono lentissimi!

Però vivono con una gran serenità: è un paradiso. E dopo qualche giorno lì, finisci per prendere il loro ritmo.

Le incomparabili bellezze di São Tomé e Príncipe - Foto tratta da Lonely Planet
Le incomparabili bellezze di São Tomé e Príncipe – Foto tratta da Lonely Planet

Ti faccio un’ultima domanda: se avessi la possibilità per un giorno di svegliarti nel corpo di un altr* autore/artista/disegnatore e creare come quella persona, chi sceglieresti?

Ti dico Michelangelo, perché penso sia stato il primo artista moderno della storia; tante cose che anche oggi si fanno rispecchiano la sua maniera di fare le cose. A Milano, c’è una scultura di quando aveva 22 anni, una delle sue ultime pietà.

Sono stato a fissarla un’ora; non c’era nessuno e la scultura quasi parlava. Se una persona di 22 anni riesce ad avere quello spirito, quella sensibilità… Ecco, se riuscissi a fare qualcosa di lontanamente vicino, sarei già contento.

Se invece devo darti il nome di un artista portoghese, per fare una cosa più vicina a me, ce n’è uno che era contemporaneo e amico di Michelangelo, Francisco de Hollanda [maggior esponente del rinascimento in Portogallo, ndr], molto importante. Purtroppo, per molti anni è stato dimenticato, e solo negli anni ’40 uno studioso americano lo ha “riscoperto”.

Era molto famoso per le miniature, che aveva imparato da suo padre, artista olandese molto noto a Lisbona. Crebbe con l’élite della cultura europea e a 20 anni andò a Roma, dove conobbe Michelangelo. Si racconta che fossero amanti, anche perché Michelangelo scrisse per lui molte poesie. Disegnava veramente in una maniera pazzesca.

Scrisse un testo sulla pittura, un testo molto moderno [il trattato De Pintura Antiga, ndr] che fu messo all’indice dopo il Concilio di Trento; anche per questo è stato a lungo dimenticato. Mi dispiace che ci sia voluto un americano a riscoprirlo – spesso gli americani lo fanno solo per appropriarsene -, ma almeno ora si conosce. Ecco, lui è un personaggio che mi affascina molto.

Ti ringrazio dal profondo del cuore per questa meravigliosa chiacchierata, davvero. Spero potremo parlare di altre tue opere, in futuro. Grazie ancora!

Grazie a te e a presto!

Condividi l'articolo
Follow:
Vive con un dodo immaginario e un Jack Russell reale, che di recente si è scoperto essere Sith. Grifondoro suo malgrado, non è mai guarita dagli anni '80. Accumula libri che non riesce a leggere, compra ancora i dvd e non guarda horror perché c'ha paura. MacGyver e Nonna Papera sono i suoi maestri di vita.
Nessun commento

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *