Intervista a Marta Bandirini, autrice di Big Splash per BeccoGiallo

Durante l’edizione di Lucca Comics & Games appena conclusa abbiamo avuto l’occasione di incontrare Marta Bandirini, reduce dall’esordio del suo Big Splash per la collana Rami di BeccoGiallo. Ecco cosa ci ha raccontato su di sé, sull’amicizia e sull’essere donne oggi.

copertina intervista marta bandirini

 

Mi faccio strada nel padiglione affollatissimo e raggiungo Marta allo stand di BeccoGiallo; mi accoglie con un sorriso ampio e pulito, e lo sguardo candido di chi ancora non crede ai suoi occhi. Big Splash, disponibile dallo scorso 21 ottobre, è la sua opera prima e questa è la sua prima volta a Lucca come autrice.

Ciao Marta, innanzitutto grazie per aver accettato di fare una chiacchierata con noi di MegaNerd. Parto subito con le domande difficili: in Big Splash hai scelto di raccontare la storia di due amiche trentenni, alle prese con gli scossoni dell’età adulta che devono affrontare da sole, perché distanti. Quanto c’è di te?

Be’, sai, io sono stata fuori sede, e quando sei fuori sede ti crei una famiglia scelta, diversa da quella naturale. Crei relazioni molto forti, ma poi capita che, o per il lavoro o per altri motivi, ci si risparpagli in giro per il mondo: e quando succede è un problema, perché alla fine sono quelle le persone che vorresti avere vicino nei grandi cambiamenti. Io ho studiato a Bologna diversi anni fa e ho tanti amici che ormai riesco a sentire solo telefonicamente; con la pandemia, a maggior ragione ho potuto sentirli solo così, con tempi che si sono rallentati e allungati. Quest’aspetto di solitudine nel testo è sicuramente mio. C’è di mio anche il fatto che ho 37 anni, intorno a me tutte iniziano a parlare di maternità e mi sono sentita accerchiata. È un argomento totalizzante: sia che tu li voglia, sia che tu non li voglia, ti rendi veramente conto che il giudizio è per tutte, non manca per nessuna. E come si avvicina quest’idea nella vita, devi processarla in qualche modo.

In questo senso, hai messo in bocca a Isa delle parole molto belle. Mi riferisco al punto in cui fa notare a sua sorella l’invadenza delle amiche, che continuano a fare battutine sulla maternità: è un tema delicato, intimo.

Sì, perché già ti ci trovi a ragionare su di tuo, a un certo punto della vita; in più, tutti ti chiedono, tutti ti domandano. Sono domande che non si dovrebbero fare, sono troppo personali. E non c’è solo la mia voce, in questo libro: mi sono confrontata molto con le mie amiche, tutte in fasi diverse della vita, e molte delle frasi – anche antipatiche – che ho riportato, sono frutto di domande e affermazioni che ci sono state rivolte davvero. Il fatto è che spesso si parla di maternità come di una tappa obbligata per tutte, che agisce in presenza e in assenza: non ci si può permettere di fregarsene. Per questo è importante darsi dei paletti, perché è come se la maternità fosse vista come un bene pubblico. Ora, poi, con la storia del ministero della natalità…
(ridiamo insieme, con una nota di amarezza, ndr).
Per me il punto è garantire dei servizi e delle scelte a desidera la maternità, e semplicemente lasciare in pace chi non la vuole. Siamo adulte, possiamo scegliere per noi stesse. E spero che il mio libro sia un buon modo per confrontarci e consolarci a vicenda, buttandola un po’ anche sul ridere.

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Copertina di Big Splash, opera prima di Marta Bandirini

E lo racconti attraverso due amiche che hanno percorsi diversi, e visioni a volte opposte.

Opposte ma con una linea comune: il senso di colpa. Quello c’è sempre, in fondo: da un lato, c’è una persona che insegue la maternità, dall’altro qualcuno che invece ne è distante, e in tutte e due i casi ci si sente in qualche modo colpevoli. Ecco, mi piaceva che questo fosse narrato all’interno di un’amicizia femminile, perché ha un qualcosa in più. Il livello di cazzate che sparo con la mia migliore amica è altissimo, così come lo sono i drammi insormontabili, che poi si risolvono sempre in una nocciolina. Questa, secondo me, è una nostra grande qualità: il fatto di avere un accesso così diretto alle nostre emozioni, forse anche perché siamo un po’ costrette dalla società. E questa cosa ci porta a ritrovare sempre un aggancio, in qualche modo.

Come ti è venuta l’idea di una graphic novel in forma epistolare?

Be’, sai, a me mancava davvero la mia amica: anche noi ci mandavamo messaggini, audio, facevamo videochiamate, ma mi dicevo “non rimarrà niente, di questo periodo”. Alla fine quand’è che vai a riascoltare un audio di tre mesi fa? Non lo fai. Così ho pensato che se fossimo riuscite a spedirci delle lettere, avremmo avuto una traccia di questo momento delle nostre vite. Chiaramente in questo libro non siamo davvero io e la mia amica, ma ci sono le tematiche; e ho immaginato un modo per far rimanere qualcosa di quel momento di solitudine. Siccome la storia è nata su un blog, mi sono inventata questo botta e risposta: ogni due settimane dovevo immaginarmi cosa rispondeva l’altra. E devo dire che mi ha consolata, durante l’isolamento. Poi sai, mi piaceva anche che si vedesse il contrasto tra quello che diciamo e quello che facciamo: magari leggi Ada scrivere una cosa ma la vedi fare l’esatto opposto. Un po’ come quando ti chiedono “Come va?” e tu rispondi “Bene”, ma in realtà dietro c’è un mondo di disagio che non si vede.

È una modalità che pensi di riutilizzare anche in futuro?

Le lettere magari no, perché sono state uno strumento che ho trovato per questo lavoro specifico. Però l’idea del blog mi piace, è un metodo che mi ha molto stimolata: è interessante poter mettere gratuitamente online delle cose e farle uscire a pezzettini. Chiaramente ci possono essere storture dovute ai tempi più stretti, ma questa cosa mi ha aiutata ad avere ritmo, essere più veloce e non avere paura di buttarmi.

Sfogliando il volume, ho ritrovato un quadro molto realistico dei trentenni di oggi. Com’è stato per te il passaggio dei trent’anni?

È una bellissima domanda, questa. L’ho vissuta sicuramente male: questo è il mio primo fumetto e ho 37 anni, sono ciò che si definisce un’autrice “tardiva”, un’esordiente tardiva. Nel mio caso è perché non ci ho mai creduto veramente: avevo sempre paura di sbagliare, di non essere mai abbastanza. Avevo tante paranoie: “e se poi non piace?”, “e se sto dicendo una stupidaggine?”. Quando compi trent’anni ti senti improvvisamente vecchia, in ritardo su tutto, col Bianconiglio che ti sta sul collo. C’è stato però un ritorno positivo, perché la maturità dei trent’anni ho iniziato a valutarla positivamente e a prendere coraggio. Mi sono detta “vai, provaci, lanciati; se non lo fai ora, quando?”. All’inizio mi vergognavo di aver fatto tutto così tardi: adesso no, e anzi spero possa essere incoraggiante per qualcuno. Non sempre si ha tanta autostima già a venti, o a venticinque anni: a volte serve un pochino più di tempo. Dai trent’anni in su, anche se ti senti in ritardo, hai acquisito un’esperienza che ti aiuta a gestire meglio le cose. Quindi adesso mi piaccio molto.
(sorride)

Per la nostra generazione è tutto un po’ così: siamo quelli di mezzo, in transito tra due mondi. E in questo, è   come se il tuo lavoro volesse aiutare a far gruppo…

Sì, è quasi un modo per dire ad altri “è normale che non sia andata come volevi tu; mi dispiace, ma sappi che siamo tutti un po’ nella stessa condizione”. Siamo partiti credendo di poter seguire il percorso dei nostri genitori, o in alternativa di avere tantissima scelta: la realtà è che di scelta non ne hai, ti arrangi come puoi e ti becchi anche della choosy, come siamo stati apostrofati più volte, quando semplicemente sei lì che lotti per riuscire a realizzare quello per cui hai studiato tanto. Nel libro, ad esempio, Isa è molto smarrita: è precaria e ha questo part-time che le lascia tanto tempo con cui non sa che fare. E considera che lei è pur sempre una privilegiata: ci sono ragazzi che devono fare lavori sfiancanti e non è neppure quello per cui hanno studiato e faticato tanto.

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Oltre a Isa e Ada, c’è un altro bellissimo personaggio che si evolve con la storia: Esther Williams. Come mai questa scelta?

Mi fa molto piacere parlarne, perché sono cresciuta guardando i suoi film con mia nonna. Esther Williams era una nuotatrice, prima di iniziare a fare l’attrice, e mi ha sempre affascinato quello che rappresentava: in una patinatissima Hollywood anni ’50, faceva delle coreografie complicatissime in maniera impeccabile, e usciva dall’acqua sempre sorridendo e perfettamente in ordine. È molto affascinante, certo, però l’acqua della piscina è un ambiente chiuso: se non fai manutenzione, diventa una palude. Spesso facciamo così anche con le emozioni: vogliamo raccontarci nel migliore dei modi possibili, ma se non facciamo manutenzione, la nostra piscina interiore si trasforma in un pantano.

Quale effetto ti piacerebbe generare, con Big Splash?

Sarebbe carino se si creassero dei club di gin tonic, posti in cui ritrovarsi per parlare del libro e sbevazzare insieme. (ride)
Mi piacerebbe che si depotenziasse un po’ questa bomba della maternità; anche perché si mischia con l’idea di fantomatiche capacità naturali che dovresti avere e genera tanta pressione. In realtà, sei semplicemente una persona che può scegliere se sfruttare o meno le proprie possibilità biologiche per fare un bimbo col proprio compagno o con la propria compagna. Poi è logico che chi scegli di avere un figlio debba avere un sostegno anche dallo stato; ma non va messo tutto questo focus su quanto sia naturale, bello, necessario, quanto faccia crescere. Anche perchè si può essere mamme senza necessariamente essere mature.

Sai che è un tema molto attuale? Soprattutto considerando tutte le questioni intorno alla legge 194 e le recenti proposte in Parlamento…

La 194 dice tante cose, quindi bisogna capire se ci sia la volontà o meno di potenziarla. Mantenerla soltanto non basta, anche perché sulla maternità ci sono condizionamenti molto forti da scardinare. Se ci fai caso, nel fumetto si parla tanto di bambini, ma non se ne vedono: è perché il condizionamento arriva molto prima e agisce a un livello più profondo. Vorrei che le scelte individuali fossero liberate da certi tipi di narrazione: anche l’interruzione volontaria di gravidanza è sempre dipinta come una scelta per forza negativa, sofferta. È una scelta, punto. Dev’essere gratuita, legale e sicura per tutti coloro che vi vogliono accedere: poi, cosa ci sia dietro a quella scelta non deve riguardare noi. Non siamo a scuola, non dobbiamo fornire motivazioni. L’ho fatto dire anche a uno dei miei personaggi “l’utero è mio, ma io non sono il mio utero”; dobbiamo essere libere di avere tutte le nostre contraddizioni. Come Ada, che vuole tantissimo diventare madre eppure teme di non essere abbastanza capace; è giusto che sia libera di essere una mamma immatura, che cercherà di cavarsela nel migliore dei modi, come fanno tutti i genitori.

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Puoi dirci qualcosa dei nuovi progetti a cui stai lavorando?

C’è in cantiere un articolo per La Revue Dessinée Italia, ma non posso dire molto. La Revue è un progetto editoriale francese, portato recentemente in Italia da Lorenzo Palloni, Massimo Colella e altri professionisti del fumetto, che abbina giornalisti e fumettisti per creare insieme un’inchiesta a fumetti. Sto lavorando con una giornalista che si chiama Sara Del Dot e sto fumettando il suo articolo che uscirà per il quarto numero.

E c’è invece una storia che ti piacerebbe raccontare, prima o poi?

È un domandone, ho tante cose che mi passano per la testa. Sicuramente mi piacerebbe continuare a indagare i rapporti amicali, e continuare a farlo con leggerezza e frivolezza. Ovviamente non le stesse dinamiche, ma altri aspetti delle relazioni, soprattutto tra ragazze. Voglio molto bene alle mie amiche: sono tutte belle e le vorrei raccontare sempre tutte quante. È anche un modo per tenerle vicine a me. (le brillano gli occhi)

 

Ringrazio Marta e la saluto con affetto: parlare con lei è stato davvero come bere un té (o un gin tonic) con un’amica di vecchia data. A presto rivederci, Marta!


Marta Bandirini

L’autrice

Marta Bandirini, classe 1985, vive a Parma ma in passato a Canneto sull’Oglio (Mn), Casalmaggiore (Cr) e Bologna, dove ha frequentato Pittura all’Accademia di Belle Arti. Il disegno l’ha amato, sposato, lasciato e ora hanno un relazione aperta e felice.
Nel frattempo ha fatto molti lavori con pessimi contratti per pagare l’affitto.


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Claire Bender

Vive con un dodo immaginario e un Jack Russell reale, che di recente si è scoperto essere Sith. Grifondoro suo malgrado, non è mai guarita dagli anni '80. Accumula libri che non riesce a leggere, compra ancora i dvd e non guarda horror perché c'ha paura. MacGyver e Nonna Papera sono i suoi maestri di vita.

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