Atari Force, quando DC Comics fece il fumetto di un videogioco

Ma lo sapevate che nel 1982 DC Comics creò un fumetto interamente dedicato a un videogame? E che il nome del team era ATARI FORCE? Allacciate le cinture, perché oggi la macchina del tempo di Passione Arcade vi riporterà indietro di quasi 40 anni! Insert coin, si parte!

copertina passione arcade atari force

Ai giorni nostri vedere film, serie TV, action figure, giocattoli, fumetti o cosplay che si rifanno a tematiche o personaggi dei videogiochi è una cosa abbastanza frequente, nel 1982 però le cose erano un po’ diverse. Ovviamente esistevano già i franchise riferiti al mondo del cinema, ma il settore dei videogiochi era un argomento molto più di nicchia rispetto ad oggi.

Ok, ok, con Pac-Man nel 1980 si sono sbizzarriti, tra gadget, cartoni animati, persino scopettoni per il water, ma la storia che sto per raccontarvi porta con sé qualcosa di inaspettato.
Torniamo indietro proprio all’anno di uscita di Pac Man, in piena golden age degli arcade, un’azienda di nome Atari (sì, sempre lei) pubblica un videogioco destinato ad avere un incredibile successo, Missile Command. Lo scopo del gioco era quello di difendere 6 città, tramite il lancio di missili antibalistici posti in tre zone dello schermo differenti, dagli attacchi missilistici nemici.
Un gioco che rifletteva in pieno il clima della guerra fredda che respirava negli Stati Uniti in quel periodo.

Il sistema di controllo del cabinato era costituito da una trackball che permetteva di spostare il sistema di puntamento e dai pulsanti che comandavano i tre monti di lancio dei missili.
In quel periodo il timone di Atari era già da qualche tempo in mano alla Warner Bros., nota per essere molto più concentrata sul profitto che non sulla innovazione, cosa che invece per un’azienda di videogiochi era fondamentale (tenete a mente questa informazione perché vi tornerà utile).
Insomma, alla Atari pensano di sfruttare il successo di Missile Command (quasi 20.000 unità vendute) creando un suo sequel. Iniziano dunque a lavorare ad un Missile Command 2? Missile Command Deluxe?
Sì, no, forse.
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La verità è che il progetto di un secondo capitolo venne quasi subito abbandonato perché non ritenuto interessante durante i primi test, tuttavia si fa avanti una terza opzione.
Realizzare un gioco con lo scopo di cambiare punto di vista pur mantenendo invariato il concept del gioco originale.
Nasce così l’idea di Space Station War Game (tranquilli è un nome provvisorio), ovvero un gioco il cui obiettivo era quello di lanciare dei missili da una stazione spaziale verso delle basi nemiche di un pianeta alieno, una sorta di Missile Command ambientato nello spazio, ma in prima persona.

Lo sviluppo di questo titolo fu abbastanza travagliato, tanto che nonostante l’approvazione fosse avvenuta a fine del 1980, la prima revisione avvenne solo 9 mesi dopo, tempo estremamente lungo per gli standard Atari, inoltre era fondamentale far uscire il gioco in fretta per poter sfruttare la scia di un titolo di successo, si insomma bisognava battere il ferro finchè è caldo.
Ad ogni modo, questi rallentamenti vennero causati, sia dalla sostituzione di alcuni dei programmatori riassegnati ad altri progetti, sia dal fatto che la gestione interna della Warner generò malumori tra gli sviluppatori sempre di più considerati semplice manodopera, per farla breve una partenza che non lasciava presagire nulla di buono.

Dopo numerose modifiche, anche al gameplay, sessioni di prova infinite nei focus group (gruppi che provavano i videogiochi in anteprima evidenziandone pregi e difetti) che causavano non poco stress agli stessi programmatori si riesce ad arrivare alla versione definitiva del gioco che si chiamerà Liberator e verrà rilasciata nell’autunno del 1982, quasi due anni dopo l’inizio della lavorazione. Il gioco venne modificato rispetto all’idea iniziale, ora bisognava sempre distruggere delle basi nemiche sul pianeta alieno poste al centro dello schermo, ma questa volta da quattro astronavi messe ai quattro lati dello schermo, il tutto muovendo con la trackball il sistema di puntamento (come per Missile Command).

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Il notevole ritardo nella produzione creò un calo di interesse da parte del pubblico (evidenziato anche durante dei test effettuati sul campo) ed inoltre la concorrenza si dava da fare pubblicando titoli con un tempo di sviluppo molto più breve che permetteva una risposta alle esigenze del pubblico più immediata.
Tutte queste considerazioni e analisi hanno portato la Atari a credere sempre meno al progetto, il che si tradusse in un notevole risparmio sulla realizzazione dei mobili arcade.
Ricordate quante unità di Missile Command vennero vendute? Ecco, di Liberator ne vennero vendute solo 762!

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Tuttavia non era ancora giunto il momento di gettare la spugna, considerando anche l’investimento che un progetto in piedi da due anni aveva richiesto, quindi Warner, prima di uscire con il gioco, decise di sfruttare l’asso nella manica, chiamando in aiuto la Justice League!
Sì, proprio quella formata da alcuni dei miei supereroi preferiti come Superman e Lanterna Verde, Batman. Ok, ora non fraintendetemi, non è che la Atari avesse messo in atto una campagna pubblicitaria con i supereroi come protagonisti ma, considerando DC Comics di proprietà della Warner, pensarono di creare qualcosa che potesse cambiare le sorti di questo sfortunato progetto, ovvero una serie a fumetti che creasse una lore legata al titolo di Liberator.

Mettendo insieme alcuni noti sceneggiatori della scuderia DC come Gerry Conway e Roy Thomas danno vita alla ATARI FORCE.
Pensate che intuizione, una miniserie a fumetti, disegnata da alcuni disegnatori storici della casa di Superman, che raccontasse le gesta di un equipaggio multietnico, capeggiato dal capitano Martin Champion, alla ricerca di un pianeta abitabile su cui far trasferire la popolazione terrestre a causa della grossa crisi ecologica.

Atari Force #1 1984 NM- DC Comics | eBay

Ovviamente l’istituto a capo di questo progetto di ripopolazione si sarebbe chiamato A.T.A.R.I ( Advance Technology And Research Institute).
Liberator stesso sarebbe stato parte del racconto della miniserie, infatti le grafiche del cabinato ed alcune sequenze all’interno del gioco ultimato avrebbero avuto un chiaro riferimento al fumetto.
Ma come rendere partecipi i potenziali clienti? Distribuendo gratuitamente i primi 5 numeri della serie all’interno di 5 videogiochi a tema spaziale per Atari 2600 o VCS. Il progetto sarebbe poi proseguito nelle edicole permettendo così di sfruttare al meglio questo sodalizio videogioco-fumetto e magari estendendolo ad altri progetti.

Ovviamente gli albi inseriti all’interno delle scatole per le cartucce dell’atari 2600 erano in un formato ridotto ma comunque ben curati, inoltre era possibile riconoscere queste cartucce grazie alla presenza del simbolo della DC Comics presente sulla scatola.

Dopo quei  5 numeri, la serie proseguì in edicola con cadenza mensile venendo ben accolta dal pubblico, cosa che però non avvenne per il videogioco che fu un flop clamoroso.
Pensate che gli stessi addetti al marketing di Atari nelle fiere di settore, durante il periodo di uscita di Liberator, spinsero molto di più altri titoli sviluppati su licenza che non Liberator sviluppati internamente.
Un progetto nato male e finito peggio insomma… ma tutto il male non vien per nuocere, infatti come tutti gli insuccessi del tempo ad oggi Liberator è considerato uno tra i cabinati più ambiti dai collezionisti e a dirla tutta non è neanche così male.

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Io, sono… ok ragazzi lo so che sapete che sono Mike ma che volete che vi dica, è più forte di me, non sono membro della famosa banda del rubinetto (cit. per molti ma non per tutti) e quindi non potendo allagarvi casa, firmo i miei pezzi così.
Come sempre grazie per il supporto che date a questa rubrica e nel congedarmi vi do appuntamento alla prossima settimana con un nuovo articolo di Passione Arcade.

chiusura passione arcade


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Arcade Mike

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Io? sono Mike! cresciuto a pane e videogiochi non perdo occasione per infilare qualche monetina in un vecchio cabinato arcade facendomi rapire dalla storia che queste macchine sono ancora in grado di raccontare.

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