Lamberto Bava, nato a Roma nel 1944 è un regista, sceneggiatore e produttore cinematografico italiano. Figlio del celebre maestro dell’horror italiano Mario Bava, è considerato un erede del cinema visionario del padre, capace di unire suspense, gore e elementi sovrannaturali.
Dopo aver collaborato col padre e con Dario Argento, si è affermato negli anni ’80 come autore di film cult del cinema di genere. Il suo nome di Bava è legato soprattutto all’horror e al fantastico, grazie a opere come “Macabro” (1980), “La casa con la scala nel buio” (1983) e, soprattutto, “Demoni” (1985) e “Demoni 2… L’incubo Ritorna” (1986), divenute pellicole cult del cinema horror italiano riconosciute in tutto il mondo
Negli anni successivi Bava si è dedicato anche alla televisione, realizzando popolari serie fantasy, tra cui “Fantaghirò“, “Sorellina e il principe del sogno” e “La principessa e il povero“, che hanno conquistato un vasto pubblico.
Lamberto Bava, un regista che ha fatto la storia del genere horror in Italia
In occasione del Lucca Film Festival 2025 è stata proiettata la versione restaurata in 4K del suo capolavoro “Demoni”, che torna sul grande schermo in una veste inedita. Lamberto Bava, presente all’evento, ha introdotto la proiezione e ha presentato in anteprima il suo nuovo romanzo “Demoni – La Rinascita”, prequel letterario mai portato sullo schermo, che arricchisce e amplia l’universo narrativo del film.
Noi di MegaNerd.it abbiamo sfruttato questa occasione per scambiare con Bava quattro chiacchiere su “Demoni” e sullo stato attuale del genere horror.
Amiche e amici di MegaNerd.it, ai nostri microfoni abbiamo Lamberto Bava.
L’intervista a Lamberto Bava
Lamberto Bava, prima di tutto la ringraziamo per la disponibilità
LB: Buongiorno a tutti e grazie per avermi invitato a questa chiacchierata.
La prima domanda non può che riguardare la presentazione al Lucca Film Festival 2025 della versione restaurata in 4K di Demoni, il suo capolavoro prodotto da Dario Argento e uscito nel 1986. Questa iniziativa si inserisce in una tendenza sempre più diffusa, che vede il recupero e la valorizzazione di grandi classici del passato, basti pensare al recente restauro di Quattro Mosche di Velluto Grigio di Dario Argento. Quali emozioni le suscita rivedere questa sua opera, ormai considerata un cult, tornare a nuova vita?
Demoni compie 40 anni e sono 40 anni che, ovunque vado, sento parlare di Demoni. Se siamo arrivati a celebrare questo compleanno significa che qualcosa di buono si è fatto. Demoni è diventato un cult, ma non oggi. È dal giorno della sua uscita che sono chiamato nel mondo per parlarne. Anzi, oramai, ovunque vengo invitato, guardo i titoli di testa e dopo due inquadrature sono dall’altra parte della sala.
Demoni è un film che seppe intercettare i sentimenti più profondi e inquieti della sua epoca. La trasformazione in creature mostruose, trasmessa attraverso ferite e morsi, diventa metafora delle paure legate al contagio e alla perdita dell’identità, in un periodo in cui l’ombra dell’AIDS incombeva come una spada di Damocle sulla società.
Allo stesso tempo è una critica feroce al mondo dello spettacolo e al rapporto tra cinema e spettatore, mostrando come il pubblico sembri avere un bisogno quasi viscerale di essere travolto e assuefatto da immagini sempre più forti e disturbanti.A quasi quarant’anni di distanza, queste tematiche appaiono terribilmente attuali. Immaginava all’epoca di diventare “profeta” (come una profezia di Nostradamus, punto centrale del film) di certi aspetti della societa ? E rivede in alcune pellicole recenti il suo stesso messaggio ?
Questa è una bella domanda, ma voglio rispondere in maniera differente. Quando è uscito Demoni la sua chiave di successo è stata quella di mostrare una storia in cui quello che accade nello schermo avviene anche tra pubblico in sala. E credo che questa idea sia vincente ancora oggi nonostante la gente vada molto di meno al cinema. L’idea di incentrare una storia sulla pandemia e i pericoli derivanti dal contagio è nata da “Il Terzo Giorno“, un libro che ho scritto un anno prima della pandemia [è stato pubblicato nel 2020 per “Cut-Up”, N.D.R.]. Bisogna dire che la pandemia che ho descritto ne “Il Terzo Giorno” faceva molti più morti di quella reale che abbiamo tutti vissuto.
A Lucca Film Festival 2025 lei ha presentato in anteprima il suo nuovo romanzo “Demoni – La Rinascita”, prequel letterario mai portato sullo schermo, che arricchisce e amplia l’universo narrativo del film cult. Ci vuole parlare di come è nata l’idea di questo libero e se ci dobbiamo aspettare, in futuro, una trasposizione cinematografica ?
Questo è un romanzo breve che nasce dalla volontà di riproporre e arricchire l’universo letterario di Demoni. “Demoni – La Rinascita” è il racconto più importante, ma ci sono altri sei racconti che sono nel mio universo del fantastico. Si tratta di racconti un po’ cattivelli e di vario genere che ho scritto nel corso degli ultimi due anni. “Demoni – La Rinascita” è un’idea pensando a un Demoni 3. L’idea è quella di riproporre la linea narrativa dei primi due film: se nel primo “Demoni” i mostri vengono fuori dallo schermo di un cinema e in “Demoni 2… L’incubo Ritorna” escono dalla televisione, in questo ipotetico terzo capitolo escono fuori dai videogiochi e il metaverso.

Non solo restauri dei grandi film cult del passato: in questi ultimi anni il cinema horror sta proponendo tantissime storie originali ma, allo stesso tempo, si sta assistendo una forte riscoperta dei grandi classici. In un solo anno sono usciti due film su Dracula (“Nosferatu” di Robert Eggers e “Dracula – L’Amore Perduto” di Luc Besson) e sta per uscire su Netflix il “Frankenstein” di Guillermo Del Toro. Qual è la sua opinione in merito a questa tendenza ?
La mia idea è che non ci sono idee nuove e ci si dovrebbe sforzare per farsi venire nuove idee. Confesso di non essere un amante dei remake. Mi rivolgo a questi grandi autori, ma anche ai miei amici: se c’è stato già un classico, perché farne un altro ? Prendiamo ad esempio “Dracula“: io amo rivedere il film del 1958 di Terence Fisher con Christopher Lee. Mi basta vedere quello, perché farne tanti altri ? È chiaro che ogni autore ha la sua visione e le sue idee particolari e vedo che molti si cimentano con i grandi classici. Io sono più propenso a cercare nuove idee, forse perché sono legato al passato ma ho un occhio attento sul futuro.
Nel cinema contemporaneo si vuole distinguere tra l’horror declinato in maniera più “convenzionale” e un genere di horror più sofisticato – classificato da chi ama le etichette come “elevated” – che vuole raggiungere un’estetica e un approfondimento psicologico il più possibile vicino al cinema d’autore. Tra gli autori che realizzano horror “elevated” ci sono, ad esempio, Ari Aster e Robert Eggers. Esiste veramente un cinema horror “elevated” ? Qual è il suo punto di vista su questo tema ?
Il mio punto di vista è semplice: esistono film belli e film brutti. E, rimanendo nel genere horror, esistono film che fanno paura e film che non fanno paura. Poi, chiaramente, se ci sono implicazioni psicologiche nei personaggi oppure se c’è più o meno sangue, dipende dalla storia che si sta mettendo in scena e dal modo con il quale la si vuole proporre.
Riprendendo il tema della domanda precedente: Federico Zampaglione, autore che predilige un approccio all’horror più diretto e tradizionale, in un’intervista ha affermato che questo genere deve saper disturbare fino a suscitare disgusto e che, proprio per questo motivo, non è adatto a tutti. Secondo lei, l’horror può davvero essere considerato un genere di nicchia?
Non considererei l’horror un genere di nicchia, visto il rinnovato e recente interesse per i grandi classici, compreso il mio “Demoni“. L’horror è un genere che c’è sempre stato, a prescindere da come lo si è chiamato nel corso degli anni. Dipende tutto sempre dalla qualità dei film. Prendiamo ad esempio “Shining“: questo per me è un film che fa paura, sebbene per Stanley Kubrick non era un film horror.
Ho dei ricordi molto forti di quel film, tipo le gemelline che appaiono nei lunghi corridoi dell’Overlock Hotel, oppure l’entità che risiede in una delle stanze di quell’enorme albergo. “Shining” mi faceva paura, e quello per me è un horror di livello alto. Ci sono poi horror di livello più basso, ci sono film con più sangue o meno sangue.
Nei film della mia generazione ricordo “La Scala a Chiocciola” [pellicola del 1946 diretta da Robert Siodmak, N.D.R]: lo vidi che avevo 7 o 8 anni e ancora ricordo perfettamente l’armadio dei vestiti e l’occhio dell’assassino, interpretato da George Brent, che spiava la vittima di turno. Quando vidi questo film non ho dormito per qualche notte ma è un ricordo vivo, una sorta di pulsione che mi ha fatto percepire questo genere come qualcosa di positivo.
Purtroppo accade che l’horror, oggi, diventa realtà. E quello che accade a Gaza fa molto più paura dei mostri di “Demoni“.
Lamberto Bava, la ringraziamo ancora una volta per questa chiacchierata.
Grazie a voi!