Ryan Reynolds è noto per il suo senso dell’umorismo tagliente e la capacità di ridere dei propri errori, ma questa volta l’attore canadese ha condiviso una confessione che mescola orgoglio paterno e sincero imbarazzo professionale. In una recente dichiarazione che ha rapidamente fatto il giro dei social media e delle testate di settore, Reynolds ha rivelato un particolare curioso della sua vita familiare: suo figlio ha un’ossessione per Lanterna Verde, il cinecomic del 2011 che l’attore stesso considera uno dei suoi più grandi fallimenti cinematografici.
“Lanterna Verde è il film preferito di mio figlio, e lo guarda ogni fottuto giorno”, ha dichiarato Reynolds con la sua caratteristica schiettezza, aggiungendo una riflessione che suona tanto comica quanto dolorosa per chiunque abbia mai dovuto confrontarsi con i propri insuccessi.
Un esercizio quotidiano di autocontrollo
Per Reynolds, vedere riprodotto continuamente sullo schermo di casa quello che considera un passo falso della sua carriera non è stata un’esperienza facile da metabolizzare. “Capite il lavoro che ho dovuto fare per arrivare al punto in cui posso semplicemente passare davanti a quello schermo senza dire: ‘Beh, avremmo potuto farlo meglio’?”, ha confessato l’attore, rivelando il processo di accettazione che ha dovuto attraversare.
La dichiarazione mette in luce quanto possa essere difficile per un artista convivere con opere che non rispecchiano le proprie aspettative, specialmente quando queste vengono costantemente riproposte nell’intimità della propria casa. Reynolds ha sviluppato nel tempo una sorta di distacco professionale necessario per non lasciare che la delusione artistica invada ogni momento della sua vita quotidiana.
L’attore ha poi evidenziato un’interessante dicotomia tra l’esperienza comune e la sua particolare situazione: “Mentre la maggior parte di noi è felice di tenere mentalmente nascosti i propri fallimenti passati per il lungo periodo, io non sono così fortunato”. Questa affermazione sottolinea come, per una celebrità del suo calibro, sia praticamente impossibile sfuggire alle proprie opere meno riuscite, soprattutto quando diventano parte della routine familiare.
La visione quotidiana del film rappresenta un promemoria costante di ciò che Reynolds ritiene essere un’occasione mancata, un potenziale sprecato che continua a perseguitarlo attraverso gli occhi innocenti e appassionati di suo figlio.

Tra orgoglio paterno e rimpianto professionale
Nonostante le riserve artistiche, Reynolds ha ammesso di provare sentimenti contrastanti riguardo alla passione di suo figlio: “Certo, provo un certo senso di orgoglio e soddisfazione per il fatto che mio figlio sia così appassionato nel rivedere uno dei miei film”. Questa ammissione rivela la complessità emotiva della situazione: da un lato, quale genitore non sarebbe felice di vedere il proprio figlio ammirare il suo lavoro? Dall’altro, Reynolds non può fare a meno di pensare alle alternative più gratificanti che avrebbe preferito per condividere la sua carriera con la famiglia. “Mai ci sono mille altri film che vorrei scambiare al suo posto, considerando che non vedrà Buried o Deadpool finché non sarà più grande”, ha concluso l’attore.
Questa ultima osservazione apre una riflessione interessante sulla paternità nell’era moderna e sulle sfide specifiche che affrontano i genitori che lavorano nel mondo dello spettacolo. Reynolds ha realizzato alcuni dei suoi migliori lavori in film che, per contenuti violenti o linguaggio esplicito, non sono adatti a un pubblico infantile. Buried, il claustrofobico thriller del 2010, e Deadpool, il successo del 2016 che ha ridefinito il genere supereroistico con toni irriverenti e violenti, rappresentano infatti picchi creativi della sua filmografia che i suoi figli non potranno apprezzare fino all’adolescenza.
L’ironia della situazione è palpabile: proprio il film che Reynolds vorrebbe dimenticare è l’unico della sua carriera recente che suo figlio può effettivamente guardare, creando una situazione tanto frustrante quanto teneramente comica per l’attore canadese, che deve convivere quotidianamente con questo paradosso domestico.

