Ron Garney: «Mi piace considerarmi come un regista, un narratore visivo»

Abbiamo avuto il grande piacere di scambiare quattro chiacchiere in esclusiva con il grande Ron Garney, un disegnatore che nel corso degli anni ha preso parte a run ormai diventate leggendarie e che con una sincerità disarmante ci racconta gioie e delusioni della sua carriera

Mr. KentDoc. G
copertina intervista esclusiva ron garney

Ci sono incontri che non sono soltanto conversazioni, ma veri e propri viaggi attraverso la storia del fumetto americano. Sedersi a parlare con Ron Garney significa attraversare decenni di Marvel, DC, miti moderni e metamorfosi editoriali che hanno segnato intere generazioni di lettori. Significa ascoltare la voce di un artista che non ha soltanto disegnato eroi: li ha vissuti, li ha capiti, li ha trasformati, lasciando un’impronta che ancora risuona nelle pagine e nelle serie TV di oggi.

Garney è uno di quegli autori che hanno saputo attraversare epoche diverse, passando dal fuoco oscuro di Ghost Rider alla luce epica di Captain America, dalla brutalità di Ultimate Cap alle ombre sensoriali di Daredevil. Un artista capace di modellare il proprio stile sulle esigenze del personaggio, di reinventarsi a ogni progetto, di rialzarsi nonostante gli scossoni di un’industria spesso spietata. Eppure, dietro ogni racconto, ogni aneddoto, ogni risata fuori campo, resta sempre quel ragazzo che un giorno aprì un albo di Secret Wars e decise che quella era la sua strada.

In questa lunga chiacchierata esclusiva con MegaNerd, Ron Garney ripercorre il suo viaggio nel mondo dei comics con sincerità, passione e un pizzico di ironia, raccontandoci non solo come è entrato alla Marvel grazie a Mike Zeck, ma anche cosa significa davvero crescere professionalmente in un ambiente che cambia continuamente pelle. Una storia fatta di occasioni colte al volo, porte che si aprono e si chiudono, scelte stilistiche coraggiose e personaggi diventati parti della sua identità artistica.

Mettetevi comodi: questo è uno di quei momenti in cui le pagine si sfogliano da sole. Ron Garney è pronto a raccontarci tutto.


Intervista a Ron Garney

Grazie mille, Ron, per essere qui con noi. È davvero un grande onore averti su MegaNerd. La prima domanda è la seguente: sappiamo che hai una storia molto originale e interessante su come sei entrato alla Marvel, che coinvolge Mike Zeck e le Secret Wars originali. Ti va di raccontarcela?

R. Garney: Beh, è interessante perché è stato il primo fumetto che mi ha fatto entrare in questo mondo. Leggevo fumetti quando ero un ragazzino, e poi li ho messi da parte.

Dopo il liceo sono andato all’università e, una volta laureato, ho iniziato a lavorare in un bar. Una sera, l’altro barista stava leggendo Secret Wars. Gli dissi: “Oh, me li ricordo! Li leggevo quando ero piccolo”. Sfogliai quel fumetto e rimasi affascinato. In quel periodo volevo fare il regista, o comunque entrare nel cinema, ma quelle pagine mi colpirono profondamente. Io sono un grande appassionato di mitologia, specialmente di quella greca, e i fumetti in fondo sono proprio questo: una forma moderna di mitologia.

Mi disse che lo aveva preso in una libreria aperta 24 ore su 24, lì vicino. Ci andai e ne presi alcuni anch’io.

Mentre li guardavo, chiesi al commesso: “Come si fa a entrare in questo mondo?”. Lui mi indicò uno scaffale, dove c’era il Marvel Try-Out Book. Lo comprai e partecipai al concorso.

Non vinsi (il vincitore fu Mark Bagley) ma quell’esperienza accese in me una vera scintilla. Volevo davvero entrarci.

A quel punto, il commesso mi disse che Mike Zeck viveva in zona. Non potevo crederci: controllai e scoprii che era a soli sei minuti da casa mia.

Sei minuti? Wow!

R. Garney: Già, era praticamente dietro l’angolo [ride n.d.r.] Era proprio in fondo alla strada, a sei minuti.

Così l’ho chiamato.  All’epoca avevamo le segreterie telefoniche, quindi gli ho lasciato un messaggio chiedendo se poteva dare un’occhiata ai miei lavori. E sorprendentemente mi richiamò e disse: certo, mandameli. E così feci.

Ron Garney intervista foto di Mike Zeck
Il grande Mike Zeck, artista di Secret Wars

Poi, dopo averli ricevuti, mi richiamò e li commentò con me. Sembrava pensasse che fossi piuttosto bravo. Mi fece notare alcune cose su cui lavorare.

Col tempo, iniziò addirittura a frequentare il bar dove lavoravo. Poi mi invitò a una convention e a sedermi con lui dietro un tavolo: per me fu incredibile. Al tavolo c’erano persone che già lavoravano per Marvel!

Dopo circa sei mesi o un anno, Zeck mi chiamò e mi disse: “Sto andando a New York, vieni con me alla Marvel?”. E così mi portò con lui.

Anche se, beh, in realtà andammo prima alla DC che mi offrì subito un lavoro, Animal Man. Dovevo consegnare otto pagine in una settimana, ed è stato un bello shock, perché non ero preparato alle scadenze o a quel carico di lavoro.

Era una gran cosa avere l’opportunità, ma fare dei campioni è una cosa, rispettare una vera scadenza è un’altra. Ma mi misi sotto, feci un paio di nottate e consegnai tutto. Quando portai le tavole in redazione, però, mi dissero che l’autore che inizialmente aveva rifiutato la serie aveva cambiato idea, quindi la storia tornò a lui.

Nel frattempo, però, Marvel mi propose diversi progetti: G.I. Joe e Moon Knight. Il primo fu il mio vero esordio alla Marvel, anche se all’inizio fu un incubo. Marvel aveva un contratto con Hasbro e dovevo disegnare le armi, i veicoli e i personaggi esattamente come i giocattoli. Era un lavoro molto meticoloso e io non avevo molta esperienza su quel tipo di dettagli.

I G.I. Joe di Ron Garney

Nonostante tutto, non avrei mai rinunciato: ero entrato alla Marvel, ed era come essere arrivato a Oz. Per me la Marvel era un luogo mitico, il posto da cui provenivano i fumetti che avevo letto da bambino. Ricordavo ancora Spider-Man negli anni ’70, quando ero piccolo, e trovarmi a lavorare lì era incredibile.

Quindi strinsi i denti, affrontai le difficoltà e andai avanti. Ecco, questa è la mia storia con Mike Zeck. È così che sono entrato. Sono andato un po’ lungo [ride n.d.r.].

Ok, quindi, se da bambino per te la Marvel era come il Mondo di Oz, adesso per te cosa rappresenta?

R. Garney: È un miserabile alveare di feccia e malvagità [ride n.d.r.].
No, scherzi a parte, è diverso ora rispetto a quando ho iniziato. Sai, è strano come le aziende, quando vengono assorbite da grandi conglomerati, come è successo a Marvel con Disney, sembrino diventare possedute da un altro spirito.

Non è più la stessa Marvel di quando sono entrato. All’epoca era più come una famiglia. Andavo sempre alle feste, entravo ogni settimana in redazione, conoscevo tutti, uscivamo a cena insieme. Ora è diventata tutt’altra cosa. Non è più la stessa.

I personaggi sono sempre gli stessi, ma purtroppo il modo in cui vengono gestiti dipende da chi è al comando, e tu non hai controllo su questo. È un posto diverso da quello che era. Ci sono ancora persone con cui vado molto d’accordo e che stimo, ma è da circa cinque anni che non ci lavoro più. In questo lasso di tempo ho collaborato con i Boom! Studios, lavorando a quel titolo. [Ron ha indicato il poster sul muro di BRZRKR, opera che ha disegnato sui testi di  Matt Kindt e Keanu Reeves n.d.r.] .

In passato erano i fumetti a influenzare i film, ora sono i film a influenzare i fumetti?

R. Garney: Già, vero. Hanno decenni e decenni di materiale che possono sfruttare senza nemmeno pagare sceneggiatori: tutto il materiale è già lì, pronto per essere adattato. All’inizio hanno preso la strada giusta, secondo me. I film erano buoni nella parte iniziale. Per esempio, il primo film di Captain America era fatto molto bene, fedele alla storia.

Watch Captain America: The First Avenger | Disney+

Anche il primo Thor era buono, molto fedele. Iniziano sempre bene, e poi… quando qualcuno prende il controllo non riesce a fermarsi, finisce per considerarsi il padrone assoluto e allora tutto si rovina. Non tutto, ma buona parte di ciò che producono, no?

Sì, siamo assolutamente d’accordo. All’inizio della tua carriera hai lavorato su diversi personaggi “maledetti” della Marvel, come Moon Knight e Ghost Rider, per poi passare alle avventure del Simbolo della Libertà, Captain America. Dal punto di vista grafico, hai dovuto gestire un cambiamento di stile passando da personaggi più oscuri a Capitan America?

R. Garney: Oh, sì, sicuramente. Tendo a modulare il mio stile a seconda del personaggio su cui lavoro. Ecco perché non mi piacciono molto i fumetti corali: non puoi imprimere nulla di unico artisticamente.

Quindi, decisamente, passando da Ghost Rider e Nightstalkers a Captain America ho modulato il mio tratto.

Ron Garney
Nightstalkers (1992) #3 – matite di Ron Garney

Inizialmente, quando sono entrato in Marvel, le pagine di prova che avevo inviato erano proprio di Captain America. Ma all’epoca dovevo prendere qualsiasi lavoro mi capitasse e fare esperienza prima di avere l’opportunità di lavorare sul titolo di punta. All’inizio quindi lavoravo su personaggi molto oscuri. Nightstalkers era molto simile a American Vampire.

Non che non mi piacesse quel tipo di materiale, anzi, mi piaceva, ma non era ciò che volevo disegnare a lungo termine. Il lavoro dei miei sogni sarebbe stato fare Superman come serie regolare, ma non ne ho mai avuto la possibilità. È uno dei pochi personaggi che mi è sfuggito, insieme a Batman. E Batman era in realtà il mio personaggio preferito da bambino.

Dal punto di vista artistico, con Captain America sono passato da linee molto dure e neri pesanti ad uno stile più aperto, con meno ombre. Cap è un personaggio di luce, speranza, patriottismo, tutte queste cose. Volevo quindi meno atmosfere cupe e più azione e avventura.

Quando mi hanno contattato per il personaggio, Mark Waid mi ha chiesto cosa avrei voluto fare con Cap. Io ho detto che mi sarebbe piaciuto trasformarlo in una specie di agente segreto, che va in missione all’estero, così da mostrare l’influenza di Captain America nel resto del mondo. Ecco come è nata l’idea di Man Without a Country. Non sto cercando di prendermi tutto il merito, ma è da lì che è partito tutto.

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Captain America #445, l’inizio della prima, storica run di Mark Waid e Ron Garney su Cap

 

Abbiamo anche semplificato un po’ il suo costume: niente maschera con simboli, solo un look semplice, tipo Zorro, senza tutti gli accessori extra.

Ed è stato molto divertente. Quando disegno mi piace sentirmi parte dell’avventura dentro il fumetto. Quindi vedere Cap viaggiare in diversi paesi e affrontare nuove avventure era entusiasmante, perché potevo inserirmi direttamente in quelle storie.

La tua run di Captain America su testi  di Mark Waid è stata divisa in due ere: pre–Heroes Reborn e post–Heroes Reborn. Lo sapevi già, quando hai iniziato a lavorare alle prime storie di Cap, che ci sarebbe stato questo evento e che saresti poi tornato sul titolo dopo Heroes Reborn?

R. Garney: – No, no, no, non lo sapevamo. Io non lo sapevo e credo non lo sapesse nemmeno Mark. Quindi fu uno shock quando lo scoprii. Non ricordo dopo quanti numeri, forse 10 o 11. È stato così tanto tempo fa…

Quando me lo dissero, pensai: Cosa? Lo state dando a chi? A Rob Liefeld e Jeph Loeb? E stanno facendo questa cosa completamente diversa?

intervista a ron garney
Il controverso Cap di Heroes Reborn di Rob Liefeld

 

Dal punto di vista del business, potevo capirlo. Devi pensare come un imprenditore se vuoi restare in questo campo per vivere. E lo capivo, perché avevano visto Jim Lee vendere sette milioni e mezzo di copie di X-Men #1, e nessun altro fumetto vendeva neanche lontanamente quelle cifre.

Ma il problema era che le menti commerciali della Marvel non si erano rese conto che quelle vendite erano trainate dal mercato speculativo: dieci copertine diverse, ologrammi, gimmick. Non era perché i fumetti fossero improvvisamente diventati la cosa più ‘bollente’ del mondo, ma perché persone che nemmeno li leggevano pensavano di guadagnarci. Un po’ come le figurine di baseball: un mercato speculativo.

Così, quando la bolla esplose e la gente capì che albi come La morte di Superman non erano affatto rari o preziosi, tutto crollò. Ma la Marvel, non comprendendolo appieno, pensò: Beh, affidiamoci a quelli che hanno venduto milioni di copie. E così offrirono i titoli a Jim, Rob e agli altri ragazzi della Image.

Fu un grande rilancio, e inizialmente, a livello di vendite, andò bene, semplicemente perché era qualcosa di diverso. Alla fine, mi chiesero di tornare. A quel punto ero combattuto tra lasciare la Marvel del tutto o restare, perché avevo un grosso contratto con loro. Decisi di restare e onorarlo, per professionalità.

 

Ron Garney Captain America
Il primo numero di Captain America dopo il ciclo “La Rinascita degli Eroi”: la serie tornava nelle mani di Mark Waid e Ron Garney

 

Ricordo Bob Harras, che allora era editor-in-chief, dirmi che il fumetto mi veniva tolto. Io risposi che mi sarei cercato un’altra serie altrove e lui mi disse: “Oh, quindi vuoi punire la Marvel per questo?”

Pensai: Come sto punendo la Marvel? Siete voi che mi togliete la serie che volevo più di tutte, il personaggio che ho sempre sognato di disegnare, e lo date a qualcun altro. In che modo sarei io a punirvi?

Così mi offrirono qualsiasi cosa volessi. Avevo sempre voluto disegnare Silver Surfer, e mi diedero Silver Surfer.

Due mesi fa abbiamo avuto il piacere di intervistare Mark Waid. Non era molto felice di ricordare l’arrivo di Heroes Reborn durante la vostra run su Captain America.

Ron Garney – Già. In realtà Rob Liefeld propose a Mark di scrivere Captain America dopo Heroes Reborn, ma lui rifiutò. Poi la Marvel lo riassegnò a noi. Ma subito dopo mi buttarono fuori di nuovo ed è lì che iniziò la vera porcata.

Quella volta mi arrabbiai davvero. Avevo accettato di tornare, e mi ero spaccato la schiena su quel primo numero, ambientato in Giappone. Era un grande evento il mio ritorno. Ma i fumetti, allora, erano un’industria piena di pugnalate alle spalle. Wizard Magazine ne era un grande esempio.

Wizard aveva le sue classifiche dei “Top 10 artisti” e dei “Top 10 sceneggiatori,” e quelle liste divennero quasi più importanti dei fumetti stessi. Tutti volevano entrarci perché pensavano che avrebbe fatto esplodere la loro carriera e portato i soldi di Jim Lee. Gli ego erano enormi, e la gente era pronta a gettare gli altri sotto il tram.

Così, quando mi tolsero dal titolo per la seconda volta, fui furioso. La prima volta potevo capirla da un punto di vista commerciale, ma la seconda fu pura politica.

Andy Kubert era un artista più popolare in quel momento; Wizard lo adorava, era nella loro Top 10. Mark lavorava con lui su Ka-Zar, che era appena stato cancellato, e credo che volessero continuare quella collaborazione.

Così Andy ebbe Captain America mentre a me diedero Sentinel of Liberty come una sorta di premio di consolazione, ma non era la testata principale. Non ero contento, però lo feci lo stesso, perché avevo un contratto e poche alternative.

Sentinel of Liberty, la testata regolare che venne affiancata a quella principale di Captain America, riuniva Waid & Garney per la terza volta su Cap
Sentinel of Liberty, la testata regolare che venne affiancata a quella principale di Captain America, riuniva Waid & Garney per la terza volta su una serie di Cap

 

Voglio dire, è buon senso pensare che sia andata così, capisci? Quando vedo Mark lo saluto, e lo stesso con gli altri, ma dal mio punto di vista, le cose sono andate così. Se incontrassi Andy, saluterei anche lui. Sono molto amico di Adam [Kubert], e non porto rancore verso nessuno.

Ma in quel periodo ero davvero stanco di tutto questo. Ero stanco della cattiva stampa. La rivista Wizard mi chiamava la “pallavolo umana”, dicendo che la Marvel non sapeva cosa fare di me. Non era una buona cosa per la mia carriera.

Dal punto di vista del pubblico, sembrava che venissi sempre scaricato per qualcun altro. Prima era Liefeld, poi Andy Kubert. C’era sempre qualcosa che non andava.

Poi arrivò Hulk, e anche quello divenne un problema. Quindi la prima parte della mia carriera è stata segnata da un sacco di sciocchezze che rendevano molto difficile godermi il mio lavoro.

Il ciclo con Paul Jenkins?

Sì, ci lavorai con Paul, ma dopo. Adoravo disegnare Hulk. Era un enorme mostro verde, e io volevo solo divertirmi. Amavo il lavoro di John Byrne degli anni ’80 e dei primi anni ’90. Ho sempre voluto lavorare con lui, abitava qui in Connecticut, credo ci abiti ancora.

Quando mi chiesero con chi volessi lavorare, dissi: “Che ne dite di John Byrne?” Perché aveva fatto solo otto numeri della sua run originale di Hulk. Lo chiamai e gli dissi: “Ehi John, mi hanno appena offerto Hulk. Ti interesserebbe scriverlo?

Hulk di John Byrne e Ron Garney

In realtà all’inizio gli chiesi se voleva scrivere Silver Surfer, ma disse di no. Non era un personaggio che lo interessava, perché non gli veniva in mente nulla da farci. Ma quando gli parlai di Hulk, si mostrò davvero interessato e accettò.

E poi… venne cacciato dalla serie. Fu licenziato dopo un disaccordo con l’editor. Io rimasi  tra due fuochi, perché Tom Brevoort, l’editor, cercava di parlare con John al telefono sulla direzione della serie. John non rispondeva alle chiamate e non gli piaceva la proposta di Tom riguardo alla sua interpretazione delle origini di Hulk e tutto il resto.

Così John fu licenziato. E io non parlai con lui per molto tempo, perché pensava che c’entrassi qualcosa. Ma non era colpa mia. Non avevo niente a che fare con quella decisione. Provai a chiamarlo, ma niente. Alla fine parlammo anni dopo, quando capì che non avevo avuto alcun ruolo nella vicenda.

Quindi questo è quello che è successo. So che sto rispondendo a tutte le tue domande prima che voi le facciate. [ride n.d.r.]

Parliamo di Captain America, nello specifico di Ultimate Captain America, perché abbiamo letto che questa è la tua storia preferita su cui hai lavorato con il personaggio. È un eroe molto diverso, più pragmatico e cinico rispetto al Cap originale. Cosa ti piaceva di quella storia e quanto è stato diverso lavorare sullo Steve Rogers di Jason Aaron rispetto a quello di Mark Waid?

Ron Garney – Mi sono divertito un sacco. È uno dei miei lavori preferiti. Aveva una sorta di sottotesto da Apocalypse Now, e più ho la possibilità di fare cose dal taglio cinematografico, più sono felice.

Quella storia affondava le sue radici in uno dei più grandi film di sempre, Apocalypse Now di Francis Ford Coppola. E ho trovato l’interpretazione di Cap dell’universo Ultimate davvero interessante, mi piaceva la sua durezza.

Era un’interpretazione particolare. Era più tosto, meno un tipo da boy scout. In realtà, non c’era molta differenza tra lui e Nuke, a parte il fatto che Cap aveva comunque un senso morale più forte e non era pazzo.

Ma questo Steve Rogers era un duro, uno veramente cazzuto, e a me piaceva. Era divertente calarsi in quella versione del personaggio. In un certo senso era più vicino ai miei gusti, visto che amo disegnare Wolverine e quei personaggi più grintosi.

Naturalmente adoro disegnare Cap per il lato avventuroso, ma la combinazione tra Captain America e quella componente più ruvida mi piaceva moltissimo. Non era il vecchio Captain America che vedi nei film, ma era comunque una versione molto interessante da disegnare, un tipo tosto, ecco.

silver surfer moebius intervista ron garney
Il Silver Surfer di Moebius al cospetto di Galactus nella graphic novel “Parabola”, scritta da Stan Lee

 

Passando a Silver Surfer, Per il tuo surfista d’argento, hai preso ispirazione dall’interpretazione di Moebius?

[Ron prima di rispondere ci mostra un’action figure dietro di lui del Silver Surfer di Moebius n.d.r.]

Ron Garney – Sì, Moebius, è stata una scelta molto deliberata da parte mia.

Di solito non cerco di emulare qualcun altro, ma da ragazzo ero un fan sfegatato di Moebius. Il suo stile, per me, è la cosa più vicina alla perfezione: le prospettive, le composizioni, è tutto perfetto. Era una forza creativa che lavorava su un livello artistico completamente diverso.

Quando ha realizzato Silver Surfer con Stan Lee, l’ho amato subito. Quello che aveva creato era così bello che, di proposito, solo per divertimento, ho voluto provare a fare qualcosa di simile, anche se ho scelto un approccio diverso.

Ero sicuramente molto influenzato da lui. Non è una cosa che faccio di solito: normalmente evito di imitare chiunque, perché non è una strada giusta da seguire. Ma in quel caso lo amavo così tanto che volevo provare, solo per vedere cosa sarei riuscito a fare. E in effetti è stata una cosa positiva, mi ha aiutato a evolvermi parecchio.

silver surfer moebius intervista ron garney 2

L’unica differenza tra quello che ha fatto Moebius e quello che ho fatto io stava nel modo in cui disegnavo il Surfer. Ogni volta che lo disegnavo, non staccavo mai la matita dal foglio. Usavo linee di contorno per tracciare tutta la figura in un unico movimento, senza mai sollevare la matita. È così che ho sviluppato il tratto sul suo corpo.

È stato un approccio divertente, usare la tecnica del contorno, ma allo stesso tempo inserire una sensibilità alla Moebius. Specialmente nel modo in cui fluttuava sulla tavola. Quello che amavo nella versione di Moebius era che, quando il Surfer volava, teneva i piedi vicini, e si percepiva che poteva inclinarsi e muovere la tavola senza sforzo.

Adam Kubert una volta mi disse che nel mio modo di disegnarlo sembrava che il Surfer volasse in giro su una moneta, ‘un quarto’, invece che su una tavola, perché lo rappresentavo spesso visto frontalmente, piatto. E questo gli dava una vibrazione davvero particolare, come se fosse in antigravità, in grado di andare in qualsiasi direzione, di lato, roteando, qualunque cosa. L’ho trovato molto interessante.

Quello che mi colpiva della versione di Moebius era la grazia, la qualità aliena. Diversamente dal Surfer di Buscema, uno dei più grandi di sempre, che sembrava sempre in equilibrio su un’onda. Onestamente penso che Buscema non riceva abbastanza riconoscimento postumo.

Ma quando Moebius lo disegnava, non sembrava che stesse surfando. Sembrava che fosse semplicemente in piedi sulla tavola, totalmente connesso a essa, molto alieno. Era quella la sensazione che volevo trasmettere nella mia versione.

Il Silver Surfer di Ron Garney
Il Silver Surfer di Ron Garney

 

Ho spinto ancora di più l’aspetto alieno, usando la tecnica del contorno e soprattutto attraverso gli occhi. Non volevo che sembrasse umano. Anche se aveva un volto umano, due occhi, un naso, una bocca, volevo che ci fosse qualcosa di ultraterreno, quasi come l’aspetto di un “grigio alieno” con grandi occhi e una bocca piccola.

Pensavo che sarebbe stato davvero audace se qualcuno avesse ridisegnato il Surfer per renderlo più alieno, non necessariamente con un corpo minuto e una testa enorme, ma in quella direzione.

Ho anche giocato con l’idea che, essendo così unito alla sua tavola, avrebbe potuto fonderla con il proprio corpo. Lui controlla le molecole, giusto? Quindi perché no? In una scena che ho disegnato, lo si vede fluttuare in basso, scendere dalla tavola e farla fondere nel fianco fino a scomparire.

Hanno persino esplorato quell’idea nel film dei Fantastici Quattro: Gli Inizi, quando la tavola si fonde con Johnny Storm. Sono piuttosto sicuro che l’abbiano presa da me, o almeno la sensazione era simile.

In ogni caso, penso che Silver Surfer sia uno dei personaggi più belli di sempre.

Spider-Man di Ron Garney
Spider-Man di Ron Garney

 

Hai iniziato a lavorare su Spider-Man in un momento molto particolare: Civil War, con Peter Parker che rivela la sua identità segreta, la Spider-Armor, Back in Black… così tanti cambiamenti in così poco tempo. Ti sei sentito a tuo agio con un Peter Parker più cupo e con due costumi diversi, oppure avresti preferito un ciclo più classico con il leggendario costume rosso e blu?

Okay. Beh, è interessante, perché penso che… mi piace l’originale Spider-Man. Probabilmente è il mio preferito.

Penso che se tutto diventa più cupo, come con Capitan America, non c’è più nulla con cui relazionarsi, non c’è contrapposizione o equilibrio nell’universo Marvel.

Spider-Man deve rimanere old school, allo stesso modo in cui alla fine deve esserlo Cap. Mi piaceva disegnare l’Ultimate Captain America, non fraintendetemi, non voglio sembrare contraddittorio. Però credo che quei personaggi funzionassero per un motivo.

E va bene ogni tanto scendere in territori più cupi, come quando zia May fu colpita e Peter se la prese con Kingpin. In realtà sono io che ho avuto l’idea della storia in cui lo pesta in prigione. Quando Peter impazzisce e riempie di botte Kingpin, quella era una mia idea.

Perché ho sempre pensato: se Peter volesse davvero lasciarsi andare, potrebbe distruggere sul serio questi personaggi. Sarebbe un’entità superpotente difficilissima da fermare. Potrebbe fare danni seri e uccidere Kingpin all’istante.

Spidey vs. Kingpin in Back in Black

 

Nella mia mente, Kingpin non potrebbe mai reggere il confronto con Spider-Man. Lo so che si sono affrontati, e che combatte anche con Daredevil, ma non potrebbe mai essere all’altezza di Spider-Man.

Detto questo, io adoro l’innocenza di Spider-Man. Il fatto che fosse solo un ragazzo nerd, mingherlino, preso in giro dagli altri, questo faceva davvero la differenza. È ciò che ha toccato il cuore di tante persone: la sua origin story.

E penso che non dovrebbe mai allontanarsene. Una volta che diventa troppo muscoloso e cupo, non è più davvero lui. E si perde anche il nucleo del personaggio: lo zio Ben che gli dice: ‘Da grandi poteri derivano grandi responsabilità’. Quelle lezioni rischiano di andare perse troppo facilmente se imbocchi una strada troppo oscura.

È quello che rendeva la Marvel così grande allora: aveva queste lezioni morali. Trasmetteva alle persone messaggi positivi, lo stesso con Capitan America.

Secondo me, visto l’impatto che ha avuto Frank Miller, molti si sono spostati in quella direzione più cupa. Certo, c’è spazio per entrambe le cose.

Ma una cosa che ho notato nei film Marvel è che tutti hanno iniziato a parlare come Peter Parker dei fumetti. Thor fa continuamente battute ironiche, esattamente come Spider-Man faceva sempre. Ma quella era una caratteristica di Spider-Man: era un ragazzino, un tipo sveglio che non smetteva di fare battute, facendo impazzire i cattivi e perfino altri eroi.

Adesso, nei film Marvel, lo fa Iron Man, lo fa Cap, lo fa Thor, tutti hanno la personalità di Spider-Man. Hanno preso il suo modo di fare e lo hanno applicato a ogni personaggio, ed è lì che secondo me hanno sbagliato.

Thor non dovrebbe mai fare battute così: è assurdo. Nel primo film lo avevano reso meglio, ma con il passare dei film è diventato ridicolo. La sua personalità non era quella che doveva avere, secondo me.

Quindi sì: preferisco l’originale Spider-Man.

Il Daredevil di Ron Garney
Il Daredevil di Ron Garney

 

La run che hai realizzato con Charles Soule su Daredevil può essere paragonata a un buon vino: più il tempo passa, più i lettori e i fan ne riconoscono la qualità. È senza dubbio una delle run più importanti degli ultimi anni. Cosa pensi del tuo lavoro su Diavolo di Hell’s Kitchen?

Ron Garney – È molto gentile da parte tua dirlo, e la penso allo stesso modo. È la mia run insieme a Charles [Soule], e credo che, creativamente parlando, sia una delle migliori mai fatte. Charles ha avuto delle ottime idee. So che Mark Waid aveva portato il personaggio in una direzione diversa, rendendolo una sorta di “dandy”, con la catena e tutto il resto. Non credo che la maggior parte dei lettori abbia reagito bene a quella versione. Alcuni sì, ma non tutti. Io no. Mi pare che tutti avessero dimenticato chi fosse o qualcosa del genere… non ricordo bene la storia.

Comunque, quando siamo arrivati noi, lo abbiamo riportato un po’ alle sue radici, ma Charles ha anche introdotto idee nuove.

Per me, è stato uno dei punti più alti artisticamente della mia carriera. Venivo da Men of Wrath, dove avevo deciso: “Al diavolo, inchiostrerò tutto da solo.” Mi sentivo limitato artisticamente, perché c’erano sempre inchiostratori che dovevano fare il loro lavoro per la Marvel, e andava bene, ma non potevo mai fare esattamente ciò che volevo.

Dovevo adattare il mio disegno a chi inchiostrava. Ho lavorato con grandi artisti, come Sal Buscema e Klaus Janson; Klaus era forse quello più vicino alla mia sensibilità, insieme a Bill Sienkiewicz. Ma volevo fare qualcosa di completamente mio.

Il Daredevil di Ron Garney

Quando ho lavorato su Men of Wrath, mi sono liberato e arrivando su Daredevil, avevo tutto chiaro nella testa: sapevo esattamente come volevo che apparisse. Ho parlato con il colorista per rendere i colori come li immaginavo, volevo che il lettore vedesse il mondo un po’ attraverso gli occhi di Matt Murdock. Ho ridotto molte linee nere, usato motivi a puntini e colori monocromatici con spruzzi di rosso intenso, per dare la sensazione del senso radar di Matt affinché fosse non psichedelica, ma evocativa. Ho lavorato moltissimo con il colorista su questo, soprattutto nel primo numero, per rendere visivamente quella percezione.

Il mondo di Matt è quello: non vede in 4K come noi, ma attraverso una sorta di nebbia. Ho cercato di rappresentarlo al meglio. Artisticamente è stato un successo, e direi che è il mio lavoro preferito di tutta la carriera.

Ho adorato il tuo stile su Daredevil.

Ron Garney – Grazie. È interessante che tu dica che la gente lo sta rivalutando: lo penso anch’io. Avrei voluto che la reazione fosse stata più positiva all’epoca, ma col tempo sempre più persone lo riguardano e dicono: “Aspetta un attimo, era meglio di quanto pensassimo.” Mi fa piacere sentirtelo dire.

Qual è stata la tua fonte d’ispirazione per il villain Muse?

Ron Garney – È uscito dal mio sketchbook [risata n.d.r.]. Avevo un taccuino della metà degli anni ’90 dove avevo disegnato un tipo con gli occhi che sanguinavano.

Quando Charles ha parlato di creare questo personaggio, ho pensato: “So già che aspetto deve avere.” In quel vecchio disegno c’era questo artista dal cuore sanguinante, con il sangue che colava dal petto… e mi è sembrata una perfetta interpretazione per Muse.

Sono stato influenzato anche da Rorschach, volevo che il suo volto fosse sempre in movimento come il suo. Charles poi ha aggiunto l’idea degli stivali, e tutto ha preso forma. Era una specie di artista misterioso, un po’ come Banksy: nessuno sa davvero che aspetto abbia, e si può immaginare che sembri così.

Muse, uno dei più intriganti villain di DareDevil degli ultimi anni

 

Sei stato coinvolto o invitato sul set della produzione di Daredevil: Born Again, per gli episodi già usciti su Disney+ o per quelli futuri? Com’è stata l’esperienza, considerando anche che nel prossimo costume c’è un tuo design?

Ron Garney – Il costume nero sarà nella prossima stagione? Avevo sentito qualcosa, ma non ero sicuro. Essere invitato sul set è stato fantastico, mi sentivo come un bambino in un negozio di caramelle. Ero forse troppo entusiasta, non riuscivo a trattenermi. Mi stavo divertendo tantissimo, ero con Klaus Janson e credo di averlo imbarazzato, ma non mi importava.
Vedere qualcosa che hai disegnato prendere vita in tre dimensioni è pazzesco: dalla mia mente, alla carta, al mondo reale.

Come il covo di Muse, nei tunnel: vederlo costruito dal vivo è stato incredibile. E il costume era identico a quello che avevo disegnato. Hanno avuto anche un’idea geniale: il tessuto era fatto con vera tela da pittore, quella su cui si dipinge. Una trovata davvero brillante.

Nel complesso, è stato molto fedele al fumetto visivamente. Avrei solo voluto che restassero più fedeli anche al personaggio, perché nella serie non è lo stesso. Non ero contento di quella parte, ma non è roba mia, non ne ho il controllo. Dal punto di vista visivo però mi ha reso davvero felice, è stato fantastico.

Ho anche incontrato gli attori: Jon Bernthal, Charlie Cox, Vincent D’Onofrio… Poi sono stato invitato alla première a New York, sul red carpet.

Garney con Bernthal e Janson
Garney con Bernthal e Janson

Nel teatro, Charlie e Vincent sono venuti a chiacchierare con me e mio figlio per mezz’ora. È stato bellissimo. Sono momenti per cui vale la pena di fare questo lavoro.

La cosa più strana è che ora siamo pure amici, è assurdo. È pazzesco.

Per la DC hai illustrato una bellissima run della JLA scritta da un altro gigante del fumetto americano, Kurt Busiek. Che ricordi hai di quel periodo e di quella run?

Ron Garney – Che ricordi ho della JLA? Il primo è che mi spostarono perché mi avevano offerto Superman. Mi dissero: “Perché non vieni da noi, Ron?” Stavo già per lasciare la Marvel, poi mi chiamarono e dissero: “Perché non vieni a fare Superman?” Io risposi: “Certo, mi piacerebbe molto!

Ma quando arrivai, dissero: “In realtà stavamo pensando che potresti iniziare con JLA.” Quindi in realtà volevano che facessi JLA perché sapevano che ero bravo con le scadenze.

Così iniziai. Lì cominciai anche a inchiostrare da solo: inchiostrai i primi sei numeri. Furono accolti molto male. Erano scritti da Chuck Austen, e la maggior parte dei lettori li odiò. Io invece pensavo che non fossero così male.

A volte i fan, se odiano qualcosa, la odiano a prescindere, anche senza darle una possibilità. Credo che un po’ di quell’odio fosse un residuo del rancore che molti avevano verso Chuck per ciò che aveva scritto sugli X-Men. Quando passò alla JLA, la gente era già pronta a odiarlo. Non sto dicendo che fosse perfetto, ma non era così terribile come dicevano.

La Justice League of America disegnata da Ron Garney
La Justice League of America disegnata da Ron Garney

 

Quella reazione spinse Chuck a lasciare il settore: lui stesso ha detto che si ritirò dai fumetti per tutto l’odio ricevuto.

Io proposi l’idea di realizzare ogni numero come una storia singola incentrata su un membro della JLA. Come ho detto, preferisco concentrarmi su singoli personaggi. Quindi dissi: “Perché non facciamo sei numeri, ognuno dedicato a uno dei membri, con una vicenda specifica?

Ma la cosa prese una piega più drammatica, con storie di perdita e dolore. Per esempio, c’era un episodio in cui Flash cercava di salvare dei bambini da un incendio e non ci riusciva, e questo lo distruggeva interiormente. Era una storia molto emotiva, e non c’era niente di sbagliato in essa, anche se non era come l’avrei scritta io.

Alla fine ogni numero poteva essere letto come una storia indipendente, quasi un’antologia. In generale, penso che fosse un lavoro valido: molto emotivo, cupo e intenso.

Ricordo che ne parlai con Chuck e Mike Carlin: volevamo esplorare quanto potesse essere pesante il fardello per questi eroi quando non riescono a salvare tutti. Era un bel concetto.

Artisticamente, però, non mi piaceva la carta. Usavano ancora la carta da giornale, e i colori non rendevano bene. Il colorista faceva solo colori piatti, senza particolari sfumature, e il risultato sembrava spento. Quando passammo alla carta lucida, tutto cambiò: il disegno prese vita.

jla ron garney

A quel punto arrivò Kurt (Busiek) e lavorai con un nuovo inchiostratore, Dan Green. Amavo gli inchiostri di Dan: pieni di energia e ritmo. Purtroppo è scomparso, ma aveva davvero uno stile vitale.

Con la carta migliore e Dan Green ai pennelli, la serie prese vita. Poi arrivammo alla storia del Crime Syndicate, che adorai. Mi divertii molto a dare vita alle loro controparti dell’universo alternativo. Fu una run molto divertente, e ho sempre amato Frank Quitely, quindi fu fantastico lavorare su qualcosa nato da una sua idea.

Nello stesso periodo hai anche disegnato alcuni numeri di Green Arrow scritti da Judd Winick. Rispetto ad altri personaggi che avevi illustrato, questo era qualcosa di nuovo per te, il risultato fu ottimo. Perché non hai continuato sulla serie?

Ron Garney – Non ricordo bene, credo mi chiesero solo tre numeri. Mi piace provare personaggi diversi per divertimento, e non avevo mai fatto nulla di simile prima.

Anche lì tornarono a usare la carta da giornale, e non ero felice della resa visiva. Però lavorai con Bill Reinhold, con cui poi feci anche Spider-Man. Credo di averlo chiesto io stesso per quel progetto. Fu solo una miniserie di tre numeri: divertente, ma niente di cui avessi voglia di fare di più.

Green Arrow ron garney

Il mio contratto con la DC finì, e poco dopo mi chiamò la Marvel. Mi fissarono un incontro e mi proposero Spider-Man. E cosa potevo fare? Spider-Man o Green Arrow? Ovviamente Spider-Man. [risata n.d.r.]
Feci il primo numero e non ero ancora sotto contratto, ma uscì nei tempi, piacque molto, e conteneva la prima apparizione del costume dell’Iron Spider. Lì mi offrirono subito un nuovo contratto, e non tornai più alla DC.

Sono sempre stato un uomo Marvel. È da lì che ho iniziato. Se la DC mi avesse offerto Superman o Batman, forse sarebbe stato diverso. Ma non me li hanno mai offerti. È andata così.

C’è qualche progetto o serie che avresti voluto disegnare ma non hai potuto per varie ragioni?

Ron Garney – Intendi oltre Superman? [risata n.d.r.] Sai, ho sempre pensato che avrei disegnato un ottimo Thor, e credo di averlo fatto bene, ma non ha avuto l’impatto che pensavo. C’era un artista eccezionale che lo disegnava prima di me, mi sfugge il nome ora, e io adoravo i suoi colori. Abbiamo lavorato insieme su una copertina ed è venuta benissimo.

A volte mi chiedo se sarebbe successa la stessa cosa con Superman. Con Captain America avevo subito una visione chiara: il volto, la mascella, tutto. Ho perfino ridisegnato il logo, con lo scudo che attraversava la scritta “Captain America”. Era tutto chiaro nella mia testa.

Con Superman, invece, vorrei disegnarlo solo perché… è Superman. Da bambino guardavo George Reeves, poi la serie di Batman degli anni ’60 con Adam West. Da piccolo non capivo che fosse più una commedia, ma era comunque Batman.

George Reeves, uno dei primi Superman televisivi

 

Ricordo i titoli di testa con i disegni di Bob Kane, Batman e Robin che correvano con i mantelli svolazzanti, e le scritte “Bam! Pow!”. Amavo quella serie.

È buffo, perché Superman e Batman sono stati i primi due personaggi che ho disegnato da bambino. Ho ancora i miei disegni di quando avevo tre anni: Superman con le “S” al contrario e Batman. Ma non ho mai potuto disegnarli professionalmente. Sono sempre rimasti fuori dalla mia carriera.

Per quanto riguarda la Marvel, credo di aver disegnato tutto, tranne il Punisher come serie regolare. Ma non sono un grande fan di tutta quella violenza armata. Non ho nulla contro chi possiede un’arma, ma non voglio che la mia mente stia in quel mondo costantemente. In ogni numero ci sono sparatorie e massacri, e non è un tipo di atmosfera in cui voglio stare.

Tra due settimane Gianluca incontrerà Jim Lee al San Diego Comic-Con Malaga, in Spagna. Vuoi che gli dica di assumerti su Superman?

Ron Garney – [risata n.d.r.] Non credo che lo farà. Quando la gente pensa a Superman o Batman, pensa automaticamente allo stile di Jim. È difficile staccarsene. Il suo stile è diventato la firma della DC. Dio lo benedica: è un fenomeno come nessun altro nel settore. Tutto il marchio DC è diventato sinonimo del suo stile, persino i film si ispirano alla sua estetica.

Potrebbe anche essere che il mio stile non si adatti bene a quel mondo. Non lo so, ma mi piacerebbe moltissimo provarci. Anche se non credo che Jim me lo offrirà presto. Digli solo “ciao” da parte mia. [risata n.d.r.]

sadjlasuperman2 ron garney

Hai disegnato supereroi in ogni tipo di ambientazione: nello spazio, in battaglie epiche, ma anche in contesti urbani. Pensa a Spider-Man, o Green Arrow. Tra questi ambienti così diversi, quale ti piace di più disegnare? Preferisci gli spazi urbani o quelli naturali, fisici?

Ron Garney – Beh, lo spazio è facile. Quindi, per motivi di tempo, mi piace disegnare ambientazioni spaziali, ma preferisco le ambientazioni urbane, perché offrono sempre tante opportunità per creare composizioni interessanti, per come si ritagliano gli spazi negativi e si gioca con la prospettiva. Ci sono sempre composizioni stimolanti, e io amo lavorare sulla composizione.

Sono un grande fan dei pittori e degli artisti classici come i Wyeth, J.C. Leyendecker e Ansel Adams. Le loro fotografie e opere hanno sempre una composizione perfetta. Ci sono tanti grandi fotografi di ambienti urbani, e le loro immagini sono costruite benissimo. Mi piace molto mettere gli eroi dentro a quel tipo di composizione.

Mi piace anche disegnare paesaggi naturali, forse è una delle cose che amo di più. Quando lavoro su BRZRKR, che sto disegnando di nuovo, tra l’altro, mi capita di ambientare scene nel passato, 50.000 anni fa, quindi montagne, laghi, ruscelli, alberi. Mi piace ispirarmi ad Ansel Adams per comporre quelle tavole.

E poi adoro i western. Ho avuto la possibilità di disegnarne qualcuno, come nel mio lavoro su Wolverine. Quindi sì, direi che amo sia lo spazio che gli ambienti naturali e urbani, ma con un’attenzione particolare alla composizione visiva.

Ho sempre pensato che il tuo stile sarebbe perfetto per un film o una serie animata. Hai mai pensato a un progetto del genere?

Ron Garney – Intendi scrivere una miniserie o un film? Sì, mi piacerebbe moltissimo. Ho un sacco di idee. Ne ho una, si chiama The Four Corners, ma non entrerò nei dettagli. Non ha niente a che fare con i supereroi, è un dramma umano. Amo questo tipo di storie. È anche il motivo per cui ho fatto Men of Wrath. Non so se lo conoscete.

Sì, certo.

Ron Garney – L’idea era proprio quella: creare qualcosa che potesse essere adattato per la televisione o il cinema. In effetti, il progetto era stato opzionato per diventare una serie TV, ma poi è saltato tutto per via dello scandalo Weinstein e del movimento #MeToo, che ha bloccato tutto a causa della politica americana del momento.
Mi piace creare drammi che non abbiano necessariamente a che fare con i supereroi. Men of Wrath non ne aveva.

Amo storie come Road to Perdition, pubblicata dalla DC e poi diventata un film con Tom Hanks e Daniel Craig. È uno dei miei preferiti.
Ho sempre voluto allontanarmi un po’ dai supereroi per raccontare storie più umane, più drammatiche.

Mi piacciono anche i racconti ambientati in epoche passate: mi piacerebbe fare qualcosa ambientato negli anni ’40 o ’50, un gangster movie, o nei ruggenti anni ’20, con tutto lo stile art déco.

Amo i period piece, perché ogni decennio ha un’estetica tutta sua: abiti, auto, architettura e mi diverto a studiarla e riprodurla.
Di recente, ho lavorato a BRZRKR: The Lost Book of B, una storia ambientata ai tempi di Gengis Khan. Mi è piaciuto moltissimo, perché ho potuto documentarmi su Gengis Khan, disegnare le armature, i cavalli, e rendere tutto il più autentico possibile. È questo che mi diverte.

Quindi sì, mi piacerebbe tantissimo creare una serie o un film ambientato in un periodo storico o magari nel Sud degli Stati Uniti.
In realtà, Men of Wrath è ancora in trattativa per essere trasformato in un film, e stiamo valutando Josh Brolin come protagonista. Quindi sì, assolutamente, mi piacerebbe molto.

Ora parliamo di BRZRKR. Hai lavorato con Keanu Reeves e Matt Kindt. Com’è stato incontrare per la prima volta Keanu Reeves, e qual è stata la tua prima impressione?

Ron Garney – L’incontro con Keanu? Sì, è stato molto surreale. Anche con Matt Kindt, naturalmente, ma l’esperienza con Keanu è stata davvero particolare.

Ho ricevuto una telefonata da Boom! Studios: mi hanno chiesto se fossi disponibile, e ho risposto che avevo appena lasciato la Marvel dopo circa 35 anni e volevo fare qualcosa di nuovo, magari una serie TV come quella di cui parlavamo.

Mi hanno detto: “Abbiamo un progetto con Keanu Reeves, e lui ama molto il tuo lavoro.” Io sono rimasto tipo: “Cosa? Davvero quel Keanu Reeves?” Pensavo fosse solo un progetto a cui prestava il nome, senza essere troppo coinvolto, quindi inizialmente ho rifiutato. Non volevo passare da una pentola bollente all’altra.

Ma loro hanno insistito: “Possiamo almeno fare una chiamata su Zoom?” Ho accettato, anche se ero scettico.

Ho detto: “Non l’ho sentito da lui che è un mio fan…” Poi è arrivato il giorno della videochiamata, premo il tasto e… eccolo lì davanti a me. Mi guarda e dice: “Ron.” E io: “Keanu, lo so chi sei.”
Abbiamo parlato per circa mezz’ora. È stato simpatico, molto concentrato, cercava di capire il mio modo di lavorare, il mio carattere.

Mi ha chiesto se avrebbe potuto proporre modifiche artistiche, spostare un personaggio o cambiare una scena. Io ho risposto scherzando: “O lo fai, o muori.” [risata n.d.r.] Lui non sapeva se lo stessi dicendo sul serio, ma poi ha capito che stavo scherzando.

Gli ho detto: “Sì, certo, puoi suggerire, ma entro certi limiti. Non posso ridisegnare intere pagine, ho delle scadenze.”
Da lì ci siamo trovati subito bene. È un tipo divertente quando vuole, molto gentile e rispettoso. È appassionato del suo lavoro, dell’arte, ma odia essere adulato. Non sopporta quando qualcuno lo riempie di complimenti, si imbarazza, proprio come succede a me a volte.

Lo considero come un fratello. Lavoriamo insieme da cinque anni, e continueremo per altri cinque con il prossimo BRZRKR. È un grande, e lo adoro. È davvero come tutti immaginano che sia.

BRZRKR è stato pensato come un fumetto che potesse poi diventare un progetto cinematografico. Anche le tavole e le sequenze d’azione sembrano quasi degli storyboard di un film. Ti è stato difficile trovare lo stile giusto per dargli quella sensazione “cinematografica”?

Ron Garney – Più simile a uno show? No, per niente. È proprio ciò che faccio. Mi piace considerarmi come un regista, in un certo senso. È lì che si trova la mia passione. Non mi considero tanto un artista di ‘stile’, ma più un narratore visivo.
Certo, posso aggiungere stile alle cose, e l’ho fatto, ma il mio vero interesse è nella composizione e nel racconto.

Voglio che chi legge si senta dentro quel mondo, che ci si immerga completamente, che sembri reale. Persino le inquadrature che scelgo devono far sembrare che quel luogo esista davvero. Quindi no, non è difficile per me, perché è proprio ciò che amo fare. A un certo punto diventa naturale.

BRZRKR, Keanu Reeves debutta nel fumetto con un comics iper-violento e dark

Tu, Matt e Keanu Reeves tornerete insieme per un’altra storia di BRZRKR?

Ron Garney – Sì, come ho detto prima, stiamo già lavorando al secondo volume. Il sequel è in lavorazione e ho appena finito otto pagine. Si chiamerà BRZRKR 2: The Vengeance.

Sei anche un musicista, giusto? La musica ti aiuta in qualche modo nel tuo lavoro sui fumetti?

Ron Garney – Mi ispira, sì. Non direi che mi rilassa, ma mi dà energia. Dipende da cosa sto ascoltando e se si adatta al tono o al concetto della storia su cui lavoro. Ascolto musica classica, rock, country, di tutto.

Mi serve per entrare nell’atmosfera del racconto. Per esempio, la colonna sonora del film Kingdom of Heaven mi ha aiutato molto mentre lavoravo a BRZRKR, così come altre colonne sonore, tipo Il Signore degli Anelli. Quelle musiche mi ispirano davvero.

Ultima domanda: dove vedremo Ron Garney la prossima volta? Solo su BRZRKR 2 o anche in altri lavori futuri? Superman, magari?

Ron Garney – Dì a Jim Lee, che mi chiami! [risata n.d.r.] Non posso dire nulla di certo. Probabilmente continuerò con BRZRKR, a meno che non arrivi qualcos’altro.

L'eroe che Garney sogna da sempre di disegnare: Superman!
L’eroe che Garney sogna da sempre di disegnare: Superman!

 

Devo anche realizzare alcune copertine per Iron Spider e Spider-Man per la Marvel. Quindi farò quello, ma sempre mentre lavoro su BRZRKR. Dopo di che, probabilmente andrò in pensione. Ho 62 anni, ne compirò 63 il mese prossimo. Voglio restare attivo, non restare seduto tutto il tempo dopo così tanti anni.

Ma sei ancora un adolescente!

Ron Garney – Magari! [risata n.d.r.] Le mie articolazioni dicono il contrario, ma cerco comunque di restare in forma.

Ron, per noi è stato un grandissimo piacere parlare con te. Grazie davvero, speriamo di vederti presto in Italia.

Ron Garney – Mi piacerebbe tantissimo. Non so bene come fare per arrivarci, ma dovreste parlarne con qualche organizzatore di convention.

Sembra bellissima. Mi piacerebbe molto partecipare. Ero stato invitato anni fa a una fiera, ma non potei andare, e poi non mi hanno più invitato.

È sempre stato difficile per me viaggiare in Europa: ho quattro figli, e per molti anni li ho dovuti crescere. Ora che mio figlio è partito per il college, me ne restano due a casa. In passato era complicato allontanarmi per così tanto, avevo troppe responsabilità come padre.

Grazie, Ron, è stato un vero piacere.

Ron Garney – Grazie. Abbiate cura di voi. Ciao!

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Appassionato di fumetti, curioso per natura, attratto irrimediabilmente da cose che il resto del mondo considera inutili o senza senso. Sono il direttore di MegaNerd e me ne vanto.
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Il mio nome e' Doc. G , torinese di 36 anni lettore compulsivo di fumetti di quasi ogni genere (manga, italiano, comics) ma che ha una passione irrefrenabile per Spider-Man! Chi è il miglior Spider-Man per me? Chiunque ne indossi il costume.
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