È esercizio piuttosto ironico, nonché di un retrogusto “meta”, approcciarsi a scrivere la recensione di una serie TV capace – e a ragion veduta – di prendersi un posto di primo piano nel panorama di genere degli ultimi anni, grazie ad una narrazione impetuosa, realistica, drammatica, proprio quando il suo racconto si è interrotto… su una recensione!
Stiamo parlando di The Bear, serie TV FX creata da Christopher Storter, la cui quarta stagione è da noi arrivata praticamente in contemporanea USA su Disney+ lo scorso 26 giugno. Il precedente filotto di episodi, infatti, si era concluso – a mo’ di cliffhanger – con la pubblicazione della prima recensione gastronomica del The Bear, il ristorante di Carm, Sydney, Richie e tutta la non-tanto-allegra-ma-tanto-stressata brigata che abbiamo imparato a conoscere nel corso delle precedenti tre stagioni.
Dai momenti immediatamente successivi alla lettura dell’articolo, The Bear – la serie TV – riparte. L’Orso – il ristorante – riapre. Ma come?
The Bear 4 – Ogni secondo conta… fino alla fine
La recensione del Chicago Tribune ha lasciato il segno, anche se lo staff (e spettatori) in fondo in fondo non può non essere d’accordo: il cibo è buono, l’atmosfera caotica. Questi aspetti caratteristici del The Bear si ripercuotono sugli affari, tanto da spingere gli zii Cicero e Computer a chiudere i rubinetti: Carm ha solo due mesi di tempo per far sì che il ristorante possa invertire il trend e non rischiare la chiusura. Due mesi di tempo scanditi da un orologio digitale installato nella cucina, sotto gli occhi di tutti. Un conto alla rovescia di due mesi durante i quali la vita di Carm, Sydney, l’Orso e tutti gli altri potrebbe cambiare per sempre.
I due chef protagonisti – in attesa di definire la trattativa per la comproprietà del locale che occuperà tutto l’arco della stagione – ripensano il menù, proponendo dei piatti fissi e delle modifiche agli stessi per evitare una spesa ormai insostenibile in termini di ingredienti; Richie assume i tre ex colleghi dell’Ever per la gestione del servizio e della sala; Tina e Marcus provano costantemente a migliorarsi per contribuire alla ripresa. E anche Abraham, un po’ dimenticato al The Beef, la cui gestione dell’asporto è stata elogiata dalla recensione, si rivolge ad un consulente per «creare delle nuove opportunità».
Tutti si mettono in discussione, muovendosi come possono tra la vita privata e il lavoro. Con la solita frenesia, quel caos che regna al The Bear – il ristorante -, e il solito nevroticismo (pure narrativo) che caratterizza The Bear – la serie TV.
Il fulcro della trama di questa nuova stagione di The Bear è piuttosto chiaro, ai limiti del didascalico: il countdown imposto da Cicero non riguarda solo il ristorante, solo il lavoro ma sta scandendo il tempo che passa e avvicina tutti i protagonisti verso un inevitabile confronto con se stessi.
Se volessimo cavalcare l’onda di metafore alimentari, quell’orologio sta chiaramente dicendo a tutti che le loro decisioni, il loro impegno, i loro sogni, miglioramenti, cambiamenti devono “consumarsi preferibilmente entro…” due mesi.
Cercare di sistemare le cose al The Bear – e, di conseguenza, nelle proprie vite – diventa una missione certamente condivisa ma che non può prescindere dalle ambizioni e dalle volontà del singolo. In questo modo, ogni personaggio è instradato su binari narrativi condivisi che, allo stesso tempo, ognuno percorre alla propria velocità, tagliando dei piccoli, personali traguardi che possono avere un peso specifico molto, molto importante per il futuro e la sopravvivenza del locale.
E quindi, il motto del locale – ogni secondo conta – va, ora più che mai, vissuto a pieno. Perché dopo, di secondi, potrebbero non essercene più.
In cucina, si sa, il tempo è tutto. Ancora di più, la qualità di quel tempo è tutto: come lo si sfrutta, come lo si riempie, l’attenzione sequenziale agli ingredienti, ai procedimenti, ai piatti come risultato finale determinano il successo o l’insuccesso del lavoro di un’intera serata. E, ancor di più, di un’intera carriera.
E se la preparazione dei piatti può essere questione di 3 minuti, l’orologio installato da zio Computer è una spada di Damocle che influenza in maniera recondita non solo il lavoro dei nostri protagonisti ma le loro vite intere, segnate da una prossima scadenza che potrebbe portarle verso esiti mai pensati prima. O che aspettavano soltanto di affiorare in superficie.
In The Bear, il tempo è stata sempre una componente importante, imprescindibile dello show, sia da un punto di vista prettamente narrativo, sia da quello registico: per questa quarta stagione, il creatore della serie TV Christopher Storter ha pensato (bene, per chi vi scrive) di ripensare l’equilibrio tra questi due contributi caricando il tempo di un significato differente.
Se nelle precedenti stagioni il diktat che è diventata anche la cifra stilistica di tutta The Bear era quello di “correre” per raggiungere il traguardo superiore, nella quarta il tempo, simbolicamente rappresentato da quell’orologio, deve essere sfruttato per ripensare, per decomprimere, per lasciar passare. Quasi a sfruttare il fenomeno della dilatazione dei tempi della teoria della relatività ristretta, tutti devono rallentare: fare meno per fare meglio.
D’altronde, anche less is more è uno dei diktat della cucina.
Così Syd, parlando di un pigiama party, può decidere se andare o partire; Richie – che si conferma il personaggio migliore, almeno in termini di sviluppo, di tutta la serie TV – può finalmente riflettere sulla propria genitorialità, al netto della distanza da Eve; Carm può conoscere la nipotina e provare a riallacciare i rapporti con le persone che aveva allontanato.
L’interpretazione sempre molto coinvolta e coinvolgente di Jeremy Allen White – che è circondato da prove attoriali di altrettanto altissimo livello – non può non farci connettere con Carm: non lo difendiamo sempre ma non riusciamo a non allontanarci da lui, dalle sue decisioni, dalla sua ostinazione. Forse più di ogni altro personaggio, Carm ha avuto bisogno di quel countdown: due mesi di tempo per rimettersi in discussione, per aprire gli occhi, per capire, finalmente, cosa vuole nella propria vita, da se stesso.
E capire – mostrare, forse suggerirci – che anche le scelte che ci sembrano innaturali e controintuitive forse possono rivelarsi come le soluzioni migliori ai nostri problemi.
Senza rinunciare ad una regia intensa, ricercata – e per certi versi, pure autoreferenziale – The Bear si conferma come uno dei prodotti migliori dell’industria di genere degli ultimi anni. Non sarebbe onesto negare che, con l’avanzare delle stagioni, la serie TV abbia perso almeno in parte la propria carica innovativa, una narrazione intrinsecamente entropica per trasformarsi in un'(auto)analisi più pesata e ponderata.
Ma d’altronde, con un’interpretazione meta, potremmo dire che la stessa Cucina non può fare a meno di trasformarsi con l’avanzare del tempo.
E se il finale di stagione, in questo senso, con qualche accortezza in più avrebbe potuto addirittura funzionare come finale di serie TV, il già annunciato rinnovo per una quinta stagione ci dice che ancora non si è raggiunta la data di scadenza.
Perché non è ancora tempo di chiudere il The Bear. Perché ogni secondo continua a contare.

The Bear - Stagione 4
Jeremy Allen White: Carmy Berzatto
Ebon Moss-Bachrach: Richie Jerimovich
Ayo Edebiri: Sydney Adamu
Lionel Boyce: Marcus Brooks
Liza Colón-Zayas: Tina Marrero
Abby Elliott: Natalie Berzatto
Matty Matheson: Neil Fak
Joel McHale: Chef David
Sacha Pilara: Carmy Berzatto
Ruggero Andreozzi: Richie Jerimovich
Veronica Benassi: Sydney Adamu
Matteo Liofredi: Marcus Brooks
Gianna Gesualdo: Tina Marrero
Lavinia Paladino: Natalie Berzatto
Emanuele Durante: Neil Fak
Fabio Gervasi: Chef David