Alpha – Un film duro come la pietra

Dopo il trionfo di "Titane" al Festival di Cannes 2021, la regista francese Julia Ducournau torna sul grande schermo con "Alpha", un dramma familiare ambientato in un mondo flagellato da un virus capace di trasformare gli esseri umani in pietra. Questa volta, però, a restare pietrificati sono gli spettatori. Scoprite il perché nella nostra recensione, rigorosamente senza spoiler

Mr. Rabbit
copertina recensione alpha film 2025

Lo stile estremo di Julia Ducournau

Se c’è una regista che negli ultimi dieci anni è riuscita a imporsi con forza come una delle voci più interessanti e innovative del panorama cinematografico internazionale, quella è senza dubbio Julia Ducournau. La regista parigina vanta una filmografia ancora esigua, composta da sole tre lungometraggi, ma già sufficiente a consacrarla tra i nomi più importanti del cinema contemporaneo.

Il suo folgorante esordio arriva nel 2016 con “Raw, storia di una giovane studentessa di veterinaria che, dopo un rito di iniziazione, scopre un’insaziabile attrazione per la carne umana. Il film, capace di scioccare e affascinare allo stesso tempo, ha conquistato critica e pubblico diventando un cult immediato. La consacrazione internazionale giunge nel 2021 con “Titane, opera con cui Ducournau ottiene la Palma d’Oro al Festival di Cannes diventando la seconda donna nella storia del cinema a ricevere questo riconoscimento dopo Jane Campion che trionfò per “Lezioni di Piano” nel 1993.

Con il suo mix di fantascienza e body horror, “Titane porta alle estreme conseguenze lo stile radicale della regista. Si tratta di una pellicola disturbante e visionaria che ha diviso la critica, tra chi lo considera un capolavoro assoluto e chi, invece, un’esperienza insostenibile. Chi vi scrive fa parte della seconda categoria di spettatori, ma questo non ci dispensa di certo dal riconoscere alla giovane regista parigina i giusti meriti.

La rivincita del genere horror

Alpha

Crediamo si possa amare o meno il cinema estremo di Julia Ducournau  – così come quello di Coralie Fargeat, altra regista francese di genere che intrapreso un percorso simile e che, anche lei, è stata premiata con riconoscimenti internazionali prestigiosi come l’Oscar e il Golden Globe per un film horror (il bellissimo “The Substance” del 2024) – ma è innegabile rendere merito alla loro audacia e la loro visione così radicale. Ducournau e Fargeat hanno dimostrato che si può fare cinema d’autore di altissimo livello anche attraverso l’horror.

Un messaggio che il mercato italiano fatica ancora a recepire, nonostante una tradizione gloriosa arenatasi negli anni ’90. Fanno eccezione pochi casi isolati  – come Paolo Strippoli e Federico Zampaglione – che, tra diffidenze e ostacoli, cercano di restituire nuova linfa vitale al genere.

È con queste premesse che siamo entrati in sala per l’anteprima stampa di “Alpha“, pellicola scritta e diretta da Julia Ducournau che arriva quattro anni dopo il fenomeno “Titane”. Il film è stato presentato al 78º Festival di Cannes senza lasciare una traccia indelebile, sebbene la trama non tradisce la cifra stilistica della sua regista.

Una misteriosa epidemia sullo sfondo di un dramma familiare

Alpha

Alpha è ambientato negli anni ’80, in una Francia devastata da un’epidemia misteriosa che trasforma lentamente gli infetti in pietra. La protagonista è Alpha (Mélissa Boros), una tredicenne che vive con la madre (Golshifteh Farahani), impegnata come infermiera nei reparti dedicati ai contagiati. Una sera, dopo una festa, la ragazza torna a casa con un tatuaggio a forma di “A” sul braccio: un segno apparentemente innocuo che si rivela invece presagio della malattia.

Da quel momento prende forma un intenso dramma familiare che coinvolge anche Amin (Tahar Rahim), lo zio della ragazza, un tossicodipendente già infettato e ormai vicino alla fine. Rassegnato al proprio destino, l’uomo si rifugia in alcol e droga, ma la sua presenza diventa per Alpha un inatteso punto di riferimento: attraverso di lui, la giovane inizia a intravedere una prospettiva diversa sulla malattia, meno legata al controllo e più orientata all’accettazione e all’abbandono.

Purtroppo “Alpha” segue lo stesso destino degli infetti protagonisti del  film: una promessa di solidità come la roccia che si sgretola man mano, fino a diventare polvere che si disperde nel vento.

Due linee narrative che non si incontrano

Alpha

Il film è costituito da due storie separate che si sviluppano all’interno della stesso contesto narrativo. Da un lato troviamo la sotto trama legata al contagio che, a nostro avviso, risulta la componente più affascinante e coinvolgente e che avrebbe meritato maggiore approfondimento. Qui ritroviamo lo stile visionario che ci aspettiamo di vedere in un’opera della Ducournau. In tal senso dobbiamo evidenziare la cura estrema del makeup.

La resa dei corpi che si trasformano in marmo è assolutamente straordinaria, grazie all’ottimo lavoro di trucco prostetico adoperato da Stéphanie Guillon e Olivier Afonso. Dall’altro si sviluppa il dramma che coinvolge la famiglia disfunzionale di Alpha, che però appare scollegato dalle dinamiche derivanti dall’epidemia, come se due sentieri narrativi procedessero in parallelo senza mai incontrarsi.

Dobbiamo ammettere che la vicenda di Alpha, di sua madre e dello zio Amir l’abbiamo trovata lenta e noiosa, nonostante la convincente performance attoriale di Tahar Rahim che cerca, almeno lui, di restituire un minimo di empatia e vigore alla storia.

Anche sul piano registico emergono alcune criticità che, pur riconoscendo la distanza tra il nostro sguardo e quello di Ducournau, ci appaiono come vere e proprie lacune. La regista parigina ricorre frequentemente a flashback e flashforward, alternando e mescolando sogno e realtà all’interno delle stesse sequenze. Purtroppo questa scelta finisce per risultare confusa: l’insistenza nel voler sovraccaricare le immagini diventa un ostacolo, soprattutto nel finale, rendendo più difficile seguire e comprendere la trama.

La ricerca ossessiva di uno stile visivo sacrifica la storia

Alpha

Alpha, come ha dichiarato la stessa Julia Ducournau, non è affatto un “Titane 2,” sebbene l’idea del film fosse già nata prima della realizzazione dell’opera che le valse la Palma d’Oro. A ben vedere, non si tratta nemmeno di un film horror. “Alpha è un film cupo e malinconico, in cui la pietrificazione degli esseri umani diventa metafora del nostro attuale senso di impotenza di fronte alle calamità che segnano la nostra contemporaneità.

La sensazione che lascia è quella di un film estremamente ambizioso, ma che finisce per essere schiacciato dalla propria ambizione. Ducournau sembra essersi concentrata ossessivamente sulla potenza visiva, cercando immagini forti e d’impatto, ma trascurando una linea narrativa chiara e coerente. Il risultato finale è una pellicola di oltre due ore appesantita da un ritmo incostante che risulta di difficile fruizione.

Al termine della proiezione, quando le luci si sono accese in sala, ci siamo ritrovati tutti a fissarci increduli senza riuscire a pronunciare una parola. Sembravamo quei personaggi non giocanti dei videogiochi di ruolo, quelli con il punto interrogativo sospeso che compare sulla testa. Di sicuro, per osmosi con i protagonisti del film, anche noi siamo rimasti di sasso.

Julia Ducournau ha dichiarato di aver immaginato “Alpha” come il suo ultimo film da regista. Noi, al contrario, le auguriamo che in futuro possa regalarci molte altre opere. Possibilmente più riuscite di questa.

“Alpha” è al cinema a partire dal 18 settembre, distribuito da I Wonder Pictures.

Alpha

Alpha

Paese: Francia, Belgio
Anno: 2025
Durata: 128 minuti
Regia e sceneggiatura: Julia Ducournau
Casa di produzione: Mandarin & Compagnie, Kallouche Cinéma, Frakas Productions, France 3 Cinéma, RTBF, Proximus, BeTV, Orange
Interpreti e personaggi:
Mélissa Boros: Alpha
Tahar Rahim: Amin
Golshifteh Farahani: mamma di Alpha
Emma Mackey: infermiera
Finnegan Oldfield: professore di inglese
Louaï El Amrousy: Adrien
Marc Riso: Benny
Doppiatori italiani:
Ilaria Pellicone: Alpha
Francesco Venditti: Amin
Stella Musy: mamma di Alpha
Jessica Bologna: infermiera
Davide Albano: professore di inglese
Tito Marteddu: Adrien
Carlo Petruccetti: Benny
Voto:
Condividi l'articolo
Follow:
Stanco dal 1973. Ma cos'è un Nerd se non un'infanzia perseverante? Amante dei supereroi sin dall'Editoriale Corno, accumula da anni comics in lingua originale e ne è lettore avido. Quando non gioca la Roma
Nessun commento

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *