19.999 leghe sotto i mari è quel tipo di piccola meraviglia che accade se un grandioso romanzo d’avventura incontra i personaggi Disney, e in mezzo, a fare da ponte tra i mondi, ci sono la penna di Francesco Artibani e la matita di Lorenzo Pastrovicchio.
Originariamente apparsa in due puntate su Topolino 3355 e Topolino 3356, la storia è nata come omaggio per festeggiare il 150esimo anniversario della pubblicazione di Ventimila leghe sotto i mari; e siccome non può esserci festa senza regalo, chi all’epoca ha comprato i due numeri ha ricevuto in regalo il modellino del Nautilus.
Se ci riflettete, prima dei crossover tra Marvel e Topolino della collana What If, c’erano queste, le parodie dei grandi classici – che poi parodie fino in fondo non lo sono quasi mai -, che ci hanno accompagnato alla scoperta di grandi opere avvicinadole un po’ alla quotidianità. Ricordo ancora il mio primo contatto con Manzoni attraverso I Promessi Topi: e chi se lo scorda più!
Stevenson, Stoker, Mary Shelley, Shakespeare, Cervantes sono solo alcuni dei grandi autori che hanno visto le proprie storie – e i propri personaggi – topificati o paperificati. E questo solo nell’ambito della letteratura; se ampliassimo il discorso ad altri media, ce ne sarebbe da raccontare per giorni.
Da brava fan, quindi, quando mi sono trovata davanti 19.999 leghe sotto i mari, quel titolo accattivante con una lega in meno del solito doveva necessariamente andare ad arricchire la mia collezione De Luxe delle parodie Disney. Del resto, Verne ha saputo sognare fin dove nessuno era mai arrivato prima: quale posto migliore, per le sue storie, della fabbrica dei sogni?
19.999 leghe sotto i mari in compagnia di Pippo Nemo
A interpretare il ruolo dell’enigmatico Capitano Nemo – che viene dal latino e significa nessuno, in riferimento all’episodio dell’Odissea tra Ulisse e Polifemo – è, quasi per un contrappasso molto disneyano, il simpatico Pippo, qui rappresentato con occhialoni e turbante. Di lui, nelle pagine finali di 19.999 leghe sotto i mari, Lorenzo Pastrovicchio ha scritto:
«[…] è stato il personaggio più bello da disegnare: ha un volto dinamico, è divertente farlo recitare. Gli ho messo occhialoni da studioso (ma che mi ricordano John Lennon!), il turbante ispirato al Nemo de La Laggenda degli Uomini Straordinari, le scarpe all’insù. Ha fascino e mistero».
Un mistero giocoso, ben lontano da quello del Principe Dakkar, vero nome del Nemo originale, oscuro e ribelle nei confronti delle nazioni di superficie, al punto da arrivare ad affondarne spietatamente le navi. Ma “spietato” non è un termine che si abbini a topi e paperi; in 19.999 leghe sotto i mari, di Nemo si sono preservate l’amore per il mare, la curiosità verso le creature che lo popolano e una costante ricerca della libertà.
La parte più oscura, che poi sfocia in crudeltà, è stata stemperata: è anche un po’ inevitabile, se a interpretarlo è Pippo…
Accanto a Pippo Nemo troviamo i “buoni”, lo scienziato Michel De Topolin (Topolino) e il marinaio O’ Quack (Paperino), e i “cattivi”, l’arpionatore Ned Gamb (Gambadilegno) e il Capitano Faraboot (Macchia Nera), che richiamano i personaggi del romanzo originale con abili giochi di parole. Ecco, la truppa a bordo dello stupefacente sottomarino Nautilus è completa. O quasi.
Nemo, infatti, si fa aiutare dai meccanimati, dei robottini che somigliano a degli ovetti Kinder (quelli in copertina, sembrano invece dei Minion a forma di uovo!) che svolgono le faccende a bordo, mentre lui studia, approfondisce ed esplora i fondali marini, rispettandone sempre l’equilibrio. Un Nemo, quello portato in scena da Pippo, che non tradisce l’animo ecologista dell’originale del 1866.
In 19.999 leghe sotto i mari i tratti tipici dei personaggi sono mantenuti – Pippò è goffo, Paperino è incapace, Topolino investiga, con quella sua solita arroganza (scusatemi, ma proprio non mi va giù!), e Gambadilegno e Macchia Nera progettano i loro soliti piani criminali, in cui il primo è il braccio e il secondo la mente. Tanto per cambiare, gli va male anche stavolta, e dal Nautilus vengono buttati fuori.
Altri due viene data la possiiìbilità di scegliere se restare e continuare il viaggio alla scoperta delle bellezze sepolte sul fondo del mare.
In questo, di nuovo 19.999 leghe sotto i mari si distacca dall’opera di Verne e scegli una via più “soft”, che non snaturi i personaggi: se nell’originale, Aronnax, Consiglio e Ned fuggono dal sottomarino in un momento di distrazione, qui De Topolin e O’ Quack scelgono di restare, e continuare l’avventura insieme al Capitano Nemo.
Il Nautilus di 19.999 leghe sotto i mari è libero di continuare i propri viaggi tra i mari del mondo, alla scoperta della vita che li popola; una lega più in là, Nemo e il suo sottomarino erano invece spariti in un vortice al largo della Norvegia, il Maelström, e di loro non si era saputo più nulla – o quasi.
Artibani e Pastrovicchio immaginano qui un What if Nemo fosse meno amareggiato dalla vita, e mosso non dalla rabbia ma solo dall’amore per il mare e per la libertà? What if il mondo in superficie non fosse ingiusto, ma punisse sempre i cattivi? What if questa fosse solo una bella avventura e non l’unica via d’uscita da una società in rovina?
E in una società che in rovina c’è davvero, ben venga poter andare in cerca di capodogli e balene con un bellissimo sottomarino ipertecnologico – gli studi di Pastrovicchio per il Nautilus sono meravigliosi, e li trovate a fine volume – in compagnia di amici, anziché nel silenzio siderali degli abissi. Questo è il motivo principale per cui consiglio 19.999 leghe sotto i mari : il senso di speranza, che nel romanzo di Verne fatica a emergere.
C’è qui un vuoto che si riempie attraverso l’amicizia, la curiosità, il viaggio, la scoperta, mantenendo gli occhi di bambini, che poi sono sempre tra i primi destinatari di Topolino. Sicuramente non i soli: quelle coste gialle in giro per casa sono patrimonio di tutti noi.
Riempire il vuoto è forse, dopotutto, la stessa cosa che Verne immagina per il Capitano Nemo che, nel seguito del romanzo – L’isola misteriosa – mostra anche una certa volontà di redenzione dai suoi peccati, che in Ventimila leghe aveva tentato di giustificare come giustizia:
«Guardatevi dal giudicarmi, signore. (…) Sono stato attaccato, la mia risposta sarà terribile! (…) Io sono il diritto, sono la giustizia! Sono l’oppresso. Ecco l’oppressore! Per sua mano ciò che ho amato adorato e venerato: patria, moglie, figli, mio padre, mia madre, tutto ho visto perire. E tutto quel che io odio è là. Tacete!»
Come al solito – ma stavolta un po’ di più – vi consiglio di leggere prima il romanzo di Verne, di farvi trascinare dalla rabbia di colui che ha perso tutto ed empatizzare con il suo dolore; poi, lasciate andare quel peso e raggiungete Pippo, Topolino e Paperino sul loro Nautilus, alla scoperta di un mondo che ha sicuramente ancora tanto da dare, a partire dalle 19.999 leghe sotto i mari già percorse.
E poi tornate da noi e raccontateci che avete scoperto!
