Ci sono incontri che, anche solo per pochi istanti, riescono a riaccendere l’emozione che da bambini provavamo sfogliando le pagine dei nostri fumetti preferiti. Parlare con Mark Bagley è stato esattamente questo: un tuffo nel cuore pulsante della Marvel, tra le linee decise dei suoi disegni e il sorriso sincero di chi ha fatto del proprio talento una vera missione artistica.
Con una simpatia contagiosa e una passione che sembra non essersi affievolita nemmeno per un istante, Bagley ci ha guidati in un viaggio attraverso la sua carriera, dagli esordi fino alla consacrazione come uno dei più iconici disegnatori di Spider-Man. E non solo: ci ha parlato delle sfide, delle svolte impreviste, dell’amore per il suo lavoro e, soprattutto, dell’incredibile legame che lo unisce al giovane eroe mascherato di New York.
Un’intervista ricca di aneddoti, riflessioni e momenti sinceri – in cui ha confessato una certa frustrazione nel periodo passato in DC – che siamo felici di condividere con voi. Perché dietro ogni grande supereroe, c’è sempre una grande matita… e quella di Mark Bagley ha lasciato un segno indelebile.
Signore e signori, è con grande orgoglio che vi presentiamo l’intervista a un vero e proprio gigante dei comics.
Intervista a Mark Bagley
Benvenuto a Mark Bagley su MegaNerd! È un vero onore avere con noi uno tra i tre più grandi e prolifici disegnatori di Spider-Man di tutti i tempi! E la cosa più straordinaria è che il tuo cognome non è… Romita!
[Risata n.d.r.] E non sono nemmeno bello come loro!
Hai passato una vita vera e propria in Marvel, casa editrice per cui stai lavorando ancora oggi. Il tuo sogno è sempre stato quello di essere un disegnatore, ci pare di capire. Ti va di raccontarci come sei approdato alla Casa delle Idee?
Ci provavo da molto tempo, senza successo. Avevo 27 anni e stavo per mollare—avevo una moglie, un figlio, una casa, e lavoravo alla Lockheed Martin [azienda leader nel settore tecnologie aerospaziali e uno dei principali fornitori del Dipartimento della Difesa degli U.S.A. n.d.r.] facendo disegno tecnico.
Poi Marvel pubblicò il Marvel Try-Out Book [iniziativa a fumetti creata dal compianto Jim Shooter, che aveva la forma di un concorso per incoraggiare i fumettisti emergenti a provare a trovare un lavoro con Marvel n.d.r.], che costava 12,99 dollari. Non volevo comprarlo; sembrava caro e una trovata pubblicitaria. Ma il proprietario del negozio mi disse: “Devi provarci, altrimenti te ne pentirai.” Così l’ho fatto—e ho vinto il primo posto su 19.000 partecipanti.
Beh, erano quasi tutti dodicenni, quindi avevo un certo vantaggio. Questo mi portò a New York, dove feci il mio primo lavoro per la Marvel, un numero singolo per un titolo del New Universe, perché avevano urgente bisogno di talenti. Ho lavorato ancora per un anno e mezzo alla Lockheed, disegnando fumetti la sera e dormendo solo quattro ore a notte, finché ho avuto abbastanza lavoro da poterlo fare a tempo pieno.
Il primo grande incarico arriva con i New Warriors, gruppo di adolescenti creato da Tom DeFalco e Ron Frenz, un po’ figlio di quegli anni ‘90. Che esperienza fu per un giovane Mark Bagley diventare il disegnatore di una serie regolare?
È stato davvero emozionante. Avevo già fatto Strikeforce: Morituri ed ero nel settore da circa un anno e mezzo, ma avere il mio ‘primo’ numero 1… era incredibile.
E fu un ottimo fumetto su cui iniziare, perché nessuno si interessava davvero a quei personaggi. Nessuno sapeva se sarebbe stato un buon fumetto. Pochissimi sapevano chi fosse all’epoca Fabian Nicieza [importante scrittore di comics e co-creatore di Deadpool n.d.r.]. Quindi fu molto liberatorio. Non fu come iniziare su Spider-Man; i New Warriors erano personaggi sconosciuti di cui nessuno si curava. Le storie erano ottime, le chine anche, ed è stata una grande esperienza di crescita. Un sogno che si avverava.
Quale personaggio hai amato di più disegnare sui New Warriors? A mio parere ti sei divertito molto con Speedball!
Oh, mi sono divertito molto con Speedball. Anatomicamente è simile a Spider-Man, si muove allo stesso modo, ed è un ragazzino magro, ed era divertente da disegnare, così come mi sono divertito a disegnare anche Namorita. L’elmetto di Nova, invece, era veramente fastidioso da far sembrare bello.
Il tuo arrivo su Amazing Spider-Man avviene in concomitanza con l’abbandono di un gigante come Erik Larsen. Ti è pesato emotivamente all’inizio prendere il suo posto?
Veramente no, davvero. Il mio stile era molto diverso da quello di Todd McFarlane o Erik Larsen. Ero più legato ai fondamentali dello storytelling, forse anche troppo. Ho dovuto rompere alcune mie regole personali.
Ho imparato molto guardando Erik e Todd, e le reazioni dei fan al loro lavoro. Voglio dire che ho sempre cercato di imparare, e penso sia per questo che il mio stile ha continuato a crescere e migliorare. Su Amazing Spider-Man è stato come infilare un paio di pantofole. Sul mio primo numero di Spider-Man ero molto nervoso e la mia prima splash page fu uno schifo! Ero troppo teso, ma sono migliorato in fretta. Avevo circa 29 anni, lavoravo tante ore, e quando sei giovane e spingi così tanto, cresci molto velocemente.
Tra le tue più importanti creazioni c’è Carnage, uno dei più letali e folli nemici di Spider-Man. Come si crea un personaggio come del genere, senza il rischio di incorrere nel pericolo di realizzare una copia di Venom?
Fu quella la sfida: doveva somigliare a Venom, ma non essere Venom. L’idea era di renderlo più folle e pericoloso: Cletus Kasady è male puro. Eddie Brock lo era all’inizio, ma poi l’hanno ammorbidito, fino a renderlo quasi un eroe. Quando lessi la sceneggiatura, decisi subito che doveva essere rosso, perché lo avrebbe reso diverso da Venom.
All’inizio doveva chiamarsi “Chaos”. Il primo design vedeva partire dal petto delle venature rosse che si espandevano sulle gambe, ma sembrava una ferita da fucile. Così lo cambiai, riempiendolo di tentacoli ovunque, per renderlo incontrollabile. Non avevo idea che sarebbe diventato così popolare. Lo avevo fatto così per semplificarlo e disegnarlo più facilmente.
Ti sei ispirato anche al Joker?
Non direi. Sì, sono entrambi pazzi, ma ogni eroe ha un nemico folle. L’ispirazione principale per Carnage era davvero Venom: denti affilati, occhi bianchi… quel genere di look.
Hai disegnato Spider-Man per quattro decenni e continui a farlo. Cosa rappresenta a livello affettivo per te Spider-Man?
A seconda di chi lo scrive, è sempre stato il mio personaggio preferito. Ricordo i fumetti di Steve Ditko da bambino, poi arrivò John Romita, e subito dopo Gil Kane, che adoravo. Spider-Man è un personaggio fantastico. È una persona semplice, un bravo ragazzo che cerca solo di fare la cosa giusta, e ha un sacco di problemi. Ho sempre odiato che avesse sposato una super-modella come Mary Jane. Che vita difficile può avere uno così?
Quando ho lasciato Amazing Spider-Man, ero pronto per andarmene. Ero stanco e c’erano quattro serie su Spider-Man, tutte intrecciate. Non potevi proporre una tua storia, dovevi solo fare una parte di essa. Ecco perché ho lasciato.
Poi, anni dopo—otto, dieci anni forse—mi hanno offerto Ultimate Spider-Man... Ed è stato fantastico, perché era solo nostro [suo e di Brian M. Bendis, sceneggiatore della serie n.d.r.]. Niente crossover, nessuna sovrapposizione con altri artisti, solo la splendida scrittura di Brian e i miei disegni ‘mediocri’, che però, col tempo, penso siano migliorati.
Capitolo Thunderbolts: accetti di affiancare Kurt Busiek in questo singolare progetto. Gli Avengers non ci sono più. I Fantastici Quattro neanche. Serve un nuovo team, ed ecco i personaggi che non ti aspetti, il cui segreto viene rivelato fin dall’inizio: criminali che si fingono eroi. Credi che il successo della testata sia stato dato dal fatto di aver subito detto ai lettori come stanno le cose? Per me a livello affettivo, costituisce uno dei più grandi colpi di scena di quegli anni in Marvel!
Sì, penso che il modo in cui è stato gestito sia stato davvero intelligente. Lui [Kurt Busiek n.d.r.] è stato semplicemente geniale, perché ha davvero sconvolto il pubblico. Dovete sapere che, in realtà, ai tempi, prima di internet quando le cose non si diffondevano così rapidamente, mi è capitato di lasciarmi sfuggire il segreto mentre parlavo con un tizio, e lui finì per pubblicare un articolo su una rivista. Mi sono preso qualche rimprovero per questo…
Ma sì, ha davvero scioccato tutti. Wizard Magazine lo definì addirittura il momento più importante dell’anno nel mondo dei fumetti.
E a me piace molto lavorare sui fumetti con protagonisti team di supereroi. Sono impegnativi, richiedono molto lavoro, ma ti costringono davvero a migliorare come narratore e a dare il massimo. E penso di essermela cavata piuttosto bene. Quindi sì, era il fumetto giusto al momento giusto, assolutamente.
Con il ritorno dei Fantastici 4 e gli Avengers, c’era un po’ il timore da parte tua e di Busiek, che il progetto Thunderbolts potesse naufragare o essere accantonato con il ritorno dei grossi calibri nell’universo classico?
È passato tanto tempo, quindi non ricordo se ne abbiamo mai parlato, ma il fumetto andava davvero bene. Eravamo tra i primi 20 titoli nelle vendite, forse anche più sù. Non avrebbero mai cancellato una serie con quei numeri. C’erano tanti altri fumetti che vendevano molto meno.
In quel periodo la Marvel aveva lanciato quattro o cinque titoli — tipo Hercules, Thunderbolts e altri che non ricordo — e ora sono tutti spariti. Ma Thunderbolts? Ora ci hanno realizzato un film, quindi direi che qualcosa di giusto l’abbiamo fatto. Quindi no, non ero preoccupato che lo cancellassero. Ai fan piaceva. Era semplicemente un bel fumetto.
Cosa pensi del film dei Thunderbolts? I personaggi sono molto diversi da quelli originali. Sei deluso o curioso?
Oh per me non è un problema, va bene così. Quelli sono i film, noi facciamo i fumetti. Sarebbe bello se usassero i nostri personaggi e le nostre storie, certo, ma non ci perdo il sonno.
Quando fecero Venom: Lethal Protector, non mi hanno nemmeno menzionato nei titoli di coda — niente di niente. Quindi ormai non ci faccio più caso.
Spero solo che il film sia bello. I trailer sembrano davvero fighi, ed è tutto quello che so. I personaggi sembrano interessanti, quindi vedremo. Incrociamo le dita.

Esce questo weekend [l’intervista è stata realizzata in concomitanza con l’uscita del film nelle sale n.d.r.] mi avevano invitato alla première mondiale a Los Angeles, ma non sono potuto andare perché ho una convention in un paesino sperduto del Texas. Mi rode un po’.
Ti sei divertito sui Thunderbolts a studiare e creare i costumi ‘alternativi da eroi’ di questo cast ampio e variegato di villain? C’è un personaggio che hai sentito particolarmente tuo?
Sì, progettare i personaggi è stato molto divertente. Kurt aveva mandato uno schizzo per Citizen V, e sono rimasto abbastanza fedele, anche se, a dirla tutta, Kurt non è un grande disegnatore, quindi ho dovuto lavorarci su [risata n.d.r.].
Il volto di Songbird era ispirato a una mia nipote, la figlia di mio cognato che all’epoca aveva circa 16 anni. Quindi quel personaggio mi è sempre rimasto nel cuore.
Ecco una cosa divertente che vi posso raccontare. Se leggete il fumetto, noterete che Moonstone sembra sempre mezza nuda. Non l’avrei mai fatto con Songbird, proprio per quel legame personale.
Penso che tutti i design fossero abbastanza riusciti. All’inizio non ero molto convinto del mio Mach-V, quello che vola e che prima era Beetle, ma poi ho modificato il costume qua e là e alla fine mi è piaciuto.
Dopo tanti anni a disegnare le storie del più grande eroe Marvel, sei tornato su un team di personaggi da gestire. L’esperienza maturata sui New Warriors ti è tornata utile per il lavoro sui Thunderbolts?
Assolutamente sì. Ho lavorato su diversi team book [serie a fumetti con protagonisti un team di personaggi n.d.r.]. Il mio primo fumetto pubblicato fu Visionaries, un fumetto legato a una linea di giocattoli; puro marketing. C’erano 9 o 10 personaggi con armature, e dovevo trovare un modo per raccontare quelle storie visivamente, anche se le sceneggiature non erano granché.
Poi ho lavorato su Strikeforce: Morituri, anche quello un team book. Quindi con Thunderbolts avevo già imparato molto sulla narrazione visiva, su come non dover disegnare tutti i personaggi in ogni vignetta, ma far sì che la scena risultasse comunque chiara e coesa.
Quando spiego cosa faccio, dico che sono come un regista: ricevo una sceneggiatura e “giro il film” — racconto la storia visivamente. I team book sono un po’ la mia specialità e credo di cavarmela bene. Ora che sono semi-pensionato lavoro molto meno. Erano impegnativi, ma è stato molto divertente.
Anno 2001. Esordisce il primo Universo Ultimate con (a mio parere) la più grande testata di sempre di quell’universo: Ultimate Spider-Man. Ai testi un giovane ma promettente autore come Brian M. Bendis e alle matite proprio te, un artista veterano del mondo del Tessiragnatele. Ci puoi raccontare un ‘dietro le quinte’ di come è nato il progetto Ultimate Spider-Man e come sei stato coinvolto in questa serie?
Certo! Il progetto era già praticamente definito quando mi contattarono; c’entravano Bill Jemas e Brian M. Bendis. Credo avessero già chiesto a qualcun altro, perché i primi schizzi di Peter Parker, con quei capelli strani, erano di Adam Pollina, un gran talento, ma che è rimasto poco nei fumetti. Penso si sia spostato nel mondo della moda.
Bill Jemas mi voleva fortemente, ma io rifiutai tre volte. Ero ancora stanco di Spider-Man, e non conoscevo Bendis. In più, mi fu presentato come una miniserie da sei numeri, e quella di John Byrne [dovrebbe riferirsi a Spider-Man: Chapter One n.d.r.] era andata male, quindi ero scettico.
Alla terza volta, Jemas mi fece capire che dovevo accettare o ne avrei pagato le conseguenze… quindi accettai.
Non avevo idea che sarebbe stato così bello. Ci sono voluti tre o quattro numeri per entrare in sintonia con Brian. Quando il fumetto uscì e vidi i dialoghi con i miei disegni, mi resi conto di quanto fosse bravo, Ci incastravamo alla perfezione.
I fan lo adoravano, la carta era ottima, i colori fantastici — tutto funzionava.
Ci sono rimasto a lungo. Non andai via perché lo volevo, ma perché sentivo fosse il momento giusto quando cominciai a guardare altri progetti e pensare: “Magari potessi disegnare quello…” E così capii che era ora di chiudere.
Possiamo dire che Kurt Busiek e Brian Bendis sono stati gli scrittori più importanti con cui hai lavorato?
Oh, lavorare con Brian [Bendis] è stata un’esperienza fantastica.
Anche Kurt [Busiek] — è uno sceneggiatore straordinario. Ho lavorato con lui su Thunderbolts, e poi di nuovo alla DC su Trinity. Verso la fine di Trinity, volevo quasi strangolarlo… ma quella è un’altra storia. Sto scherzando, ovviamente! [ride n.d.r.]
Ho lavorato molto anche con Fabian Nicieza, e con J.M. DeMatteis.
Onestamente, finché la sceneggiatura è buona e lo scrittore non è uno stronzo, mi diverto a lavorare. Mi sono trovato bene con quasi tutti quelli con cui ho collaborato.
All’epoca avreste mai immaginato che quelle avventure avrebbero raggiunto una popolarità enorme e che avrebbero avuto un impatto tale da rendere Ultimate Spider-Man simbolicamente l’icona del personaggio del nuovo millennio che ha ispirato sia serie animate che lo Spider-Man del MCU?
No, non lo puoi mai sapere. Come ho detto, l’avevo rifiutato tre volte perché pensavo non avrebbe portato a nulla.
Ma se metti insieme le persone giuste e i fan lo accolgono bene, a volte hai fortuna.
Per un periodo abbiamo venduto più copie di Amazing Spider-Man almeno fino all’arrivo di J. Michael Straczynski, credo.
E la Marvel ha usato i miei disegni di Ultimate Spider-Man come immagine ufficiale di Spider-Man per circa sei o sette anni. È stata un’enorme gratificazione. Non mi hanno pagato di più per questo, ma è stato comunque un grande onore.
Ancora oggi sento fan che mi dicono che Ultimate Spider-Man è stato il fumetto che li ha fatti appassionare ai comics, o che li ha fatti tornare a leggerli.
Ricevo spesso messaggi da ragazze che mi dicono che era l’unico fumetto che leggevano, e che poi le ha spinte a scoprirne altri. È qualcosa che mi colpisce davvero. Disegno da così tanto tempo che ora i fan sono cresciuti.
Una volta, a una convention, un ragazzo di 14 anni quasi scoppiò in lacrime incontrandomi. Mi disse: “Sono troppo nervoso… devo andare via o mi metto a piangere.” E io pensavo: “Ma io sono solo un disegnatore… uno qualunque!” Fa sempre effetto ricevere reazioni così.
Quando ho iniziato, il mondo del fumetto non era così. Era una cosa marginale, non certo mainstream. Le serie TV erano poche, e pure brutte. I cartoni facevano pena. Ora le convention sono fantastiche, e gli autori vengono trattati come celebrità. È pazzesco, ma anche bellissimo.
Qual’è il personaggio che più ti sei divertito a ‘reinventare’ per la serie di Ultimate Spider-Man?
Mi sono davvero divertito a ridisegnare l’Avvoltoio. Brian lo descrisse come un tipo giovane che somigliava a Jason Statham. All’epoca non sapevo nemmeno chi fosse Jason Statham. Ho dovuto cercarlo!

Ma credo che il design sia venuto davvero bene. Mi sono anche divertito un sacco a disegnare Kingpin. Non avevo mai disegnato un personaggio così grosso, e fu una bella sfida; l’anatomia è diversa, la mascella, il collo, tutto.
Nel primo arco narrativo in cui compare, l’avevo disegnato troppo grande. Le sue mani erano grandi quanto il mio busto!
Ma verso la fine penso di averlo davvero “azzeccato”.
È un personaggio molto dinamico da disegnare, e sorprende perché di solito pensi che sia Capitan America il più dinamico, ma la fisicità di Kingpin è talmente imponente che diventa davvero stimolante e disegnarlo è stato un vero piacere.
Una voce che circola sul web riguarda il fatto che dopo pochi numeri stavi per lasciare Ultimate Spider-Man. Cosa c’è di vero in questo?
Non sapevo nemmeno quanto quella serie fosse già attesa, quando ho iniziato. Dovevano essere solo sei numeri, quando me l’avevano proposta e, come ho detto, ci ho messo qualche numero per iniziare a divertirmi.
Credo stessi disegnando il numero cinque o sei quando è uscito il primo, e mi hanno chiesto: “Ehi, ti andrebbe di restare sulla serie?” Anzi, me lo chiesero uno o due giorni prima che uscisse il primo numero. E io dissi: “No, penso che farò qualcos’altro.” Stavo già lavorando su Thunderbolts, quindi pensai che sarei rimasto lì.
Poi uscì il primo Ultimate Spider-Man: ed era bellissimo. I colori erano fantastici, i fan lo adoravano. Un amico mio, di cui mi fido molto, mi disse: “Devi assolutamente restare su questa serie.”
Così chiamai in redazione e dissi: “Ehi, se non è troppo tardi, vorrei restare.” E loro: “Oh, grazie a Dio! Bill Jemas pensava che ti avessimo licenziato, ed era furioso!”
Quindi sì, stavo per mollare, perché non sono proprio un genio. [ride n.d.r.] E a quanto pare, nel frattempo avevano già offerto la serie a qualcun altro… per poi togliergliela.
Anni dopo ho incontrato Leonard Kirk, il disegnatore a cui avevano offerto la serie, e poi, due giorni dopo, l’avevano richiamato per dirgli: “In realtà Bagley rimane.” Lui era molto seccato con me… scherzava dicendo che voleva pestarmi. E visto quanto è grosso… spero davvero che stesse scherzando! [ride, n.d.r.]
La tua collaborazione con Brian Michael Bendis su Ultimate Spider-Man è diventata leggendaria. Avete stabilito un record impressionante per la coppia più longeva su una testata Marvel senza interruzioni: 110 (e mezzo, in quanto parte del 111 è stato disegnato ancora da te). Cosa rendeva così efficace il vostro sodalizio creativo e cosa vi ha spinto a battere il record detenuto da Stan Lee e Steve Ditko?
In realtà il record era di Stan Lee e Jack Kirby [spero ci scusi da lassù il Re per questa gaffe! n.d.r.] e Jack disegnava tre serie e tutte le copertine!
Ma con Brian ci siamo trovati subito. Ama quello che fa, ed è una persona molto concreta.
All’epoca si parlava davvero, non c’erano solo email. Ci sentivamo spesso, c’era sintonia. E poi le storie erano talmente belle che restare su quella serie è stato facile.
Intorno al numero 45 o 46, ricordo che Brian mi disse: “Sai, la gente ha iniziato a parlare di un record.” E io: “Che record?”
Me lo spiegò, ma all’inizio non gli diedi peso, non mi sembrava importante.
Poi arrivammo al numero 60, 70, e Brian ne parlò di nuovo. E iniziai a pensare: “Sai che sarebbe bello batterlo?”
Quando eravamo intorno al n. 85 o 90, ero ormai nei miei 40 anni, e cominciavo a pensare: “Potrei ammalarmi, può succedere di tutto…”
Così ho davvero voluto battere quel record, e ce l’abbiamo fatta. È stato incredibile.
E poi me ne andai, perché mi sembrava il momento giusto. Volevo provare qualcosa di nuovo — “giocare in un altro stagno”, diciamo così.
Sono andato alla DC per qualche anno, per vedere com’era lavorare con persone diverse.
Sei tornato sulla serie per disegnare un arco narrativo molto drammatico: quello che vede la morte dell’Ultimate Peter Parker. Come è stato ‘uccidere’ il personaggio a cui ha dedicato tanto tempo della tua carriera?
Beh… qualcuno doveva farlo… e sono contento che sia toccato a me.
È stata una storia fantastica. La sceneggiatura di Brian era incredibile, le chine erano ottime, i colori perfetti.
È stata una storia molto emotiva — i Sinistri Sei, Spider-Man ferito a colpi d’arma da fuoco… L’ho riletta di recente, era da almeno dieci anni che non la leggevo.
All’epoca, mia moglie era fuori città, e io avevo appena ricevuto la sceneggiatura dell’ultimo numero.
Peter è a terra, sta morendo, e dice: “Ce l’ho fatta. Non sono riuscito a salvare zio Ben, ma posso salvare te.”
Le stavo leggendo quella scena al telefono, e mi sono quasi commosso. Era scritta così bene, così intensa… Se Peter doveva morire, sono contento di essere stato io a disegnarlo. Certo, ora è di nuovo vivo perché, si sa, nei fumetti nessuno resta morto per sempre, ma sì, è stato un grande ritorno alla Marvel molto visibile, molto sentito dal pubblico.
E poi hanno introdotto Miles Morales, e io pensavo: “Cavolo, vorrei tanto disegnare quel ragazzino.” Miles è davvero un personaggio meraviglioso.
Cos’è stato più emozionante per te: la morte di Zia May in Amazing Spider-Man #400 o quella di Peter Parker in Ultimate Spider-Man?
Sono davvero orgoglioso della scena della morte di Zia May. Mi riferisco alla splash page in cui Peter è seduto sul letto con lei, Mary Jane si copre il volto con le mani, e fuori, sul tetto, c’è il clone, Ben Reilly, in lacrime, perché non può essere lì con lei.
Era scritta benissimo da J.M. DeMatteis, e sono davvero fiero di come è venuta. E poi l’hanno riportata in vita… dicendo che quella morta era un’attrice che aveva preso il suo posto. Io ho detto: “Cosa?!” Mi ha fatto arrabbiare parecchio.
Ma credo che la morte di Peter in Ultimate Spider-Man sia stata ancora più emotiva, per me.
Zia May è una signora anziana, ok… ma Peter è solo un ragazzo, che ottiene dei poteri e da quel momento in poi la sua vita è un inferno. Una tragedia dopo l’altra.
Viene colpito, perde lo zio Ben, lo S.H.I.E.L.D. gli sta sempre addosso… è un continuo strazio. E Brian [Bendis] ha scritto quella scena in modo splendido. Ci ha messo tutto sé stesso. E quando dai tutto, più di così non puoi fare. Quindi siamo usciti di scena nel miglior modo possibile.
Hai dovuto rappresentare Spider-Man e Peter Parker in tre versioni diverse: quella classica su Amazing, quella adolescente nella serie Ultimate e, infine, quella più vicina alla realtà nella miniserie Spider-Man: La Storia della mia vita con un Peter che invecchia. Come si rinnova e si reinventa lo stesso personaggio a seconda della storia senza distaccarsi dal significato originale, ma altresì facendo in modo che non appaia uguale alle altre versioni?
Beh, tra Amazing e Ultimate, la differenza principale è l’età.
In Ultimate, Peter è un adolescente: è più magro, più allampanato, ha le mani troppo grandi per il suo corpo. All’epoca il mio stile era molto più cartoonesco di adesso, quindi ho esagerato questi tratti.
In Amazing Spider-Man, invece, l’ho disegnato con un corpo adulto: muscoloso, atletico. È così che ho differenziato visivamente le due versioni.
Quando sono passato a Life Story, si trattava più di disegnare “dal vero”. I miei personaggi sono come attori che porto sul set, quindi mi viene naturale disegnarli in modo diverso a seconda della storia.
Se è una storia horror, il tratto si fa più cupo e d’atmosfera… è istintivo. Quando Peter invecchia, mi basta guardarmi allo specchio — eccomi lì!
Chip Zdarsky voleva che lo disegnassi un po’ ingrassato, man mano che invecchiava e lì ho fatto fatica. È pur sempre Spider-Man! Salta ancora da un palazzo all’altro! Quando ho disegnato Life Story avevo più di 50 anni. Ora ne ho 67 anni.
Sto ancora abbastanza bene — sono più pesante di quando avevo 16 anni, certo, ma mi difendo. Quindi non l’ho fatto ingrassare quanto avrebbe voluto Chip.
Se guardi le copertine (che ha disegnato lui), verso la fine Peter è bello panciuto. Invecchiare i volti, invece, è stato più facile.
C’è una scena in cui Norman Osborn è nel suo covo, vecchio decrepito, e poi si trasforma, diventa malvagio.
Quel primo piano del suo volto? Era di mio padre.
Quando mio padre si arrabbiava, gli veniva questa piega qui… questo sguardo intenso. Aveva 85-86 anni all’epoca. Non era cattivo, era un brav’uomo, ma non volevi farlo arrabbiare!
Così ho disegnato le sue rughe, le pieghe del viso… è così che disegno.
E lo faccio con tutti i miei personaggi. Se disegno Supergirl e Power Girl, sono la stessa persona di dimensioni diverse, ma le disegno completamente diverse.
Molti artisti disegnano tutte le donne allo stesso modo. Non farò nomi, ma c’è chi le fa sempre super formose, e chi sempre sottili e slanciate. Io cerco di dare a ogni personaggio una fisicità coerente con la sua personalità. È così che affronto la narrazione nei fumetti.
Prima hai menzionato Power Girl e Super Girl. Hai disegnato sia personaggi Marvel che DC: qual è la differenza tra disegnare un eroe urbano come Spider-Man e icone come Superman, Batman e Wonder Woman, insomma la Trinità?
In realtà, il processo non cambia molto; è sempre disegno. Ma a livello fisico, passare da personaggi come Spider-Man a Superman o Batman ha richiesto un po’ di adattamento. In rete ci sono alcuni schizzi che feci all’epoca, proprio per capire come disegnarli. Ci vuole tempo per abituarsi a personaggi nuovi. Per dire, ci ho messo un’eternità a capire come disegnare la Cosa o Hulk. Quella è stata la differenza più grande. Ma una volta che ci prendo la mano, vado avanti.
Superman e Batman hanno fisicità simili. Wonder Woman l’ho disegnata come forte e imponente. In JLA c’era una velocista donna: era magra e scattante. Quindi il processo è sempre lo stesso, cambia solo il tono se la storia è horror, fantascienza o altro. Quella è l’unica vera variazione.
Che ricordo hai del periodo passato alla DC?
È stato frustrante, ma non per colpa di qualcuno, è solo come sono andate le cose. Ho fatto qualche numero di Batman e mi sono divertito, soprattutto a disegnare Clayface, il Pinguino e altri. Ma non era Bruce Wayne, era Dick Grayson nei panni di Batman. Poi mi hanno assegnato Trinity, che doveva parlare di Superman e Wonder Woman, ma alla fine parlava di tutto tranne che di loro. Batman quasi non c’era.
È diventato un lavoro pesante. Non incolpo Kurt [Busiek], è andata così. Anche JLA con James Robinson è stata una delusione, perché non ci facevano usare i personaggi che volevamo. Continuavano a imporci collegamenti con Blackest Night e altri eventi. James era frustratissimo, e io non ero contento. Volevo disegnare Martian Manhunter, Superman, Batman, Wonder Woman… invece mi sono ritrovato con Supergirl, un gorilla gigante e un tizio blu con una gemma nel petto.
Ho fatto del mio meglio e ho disegnato cose anche belle, ma nel complesso non è stata una grande esperienza. Ripeto, nessuna colpa—è andata così. John Romita Jr è arrivato poco dopo, ha avuto un gran bel periodo di 5 o 6 anni e gli facevano disegnare di tutto. A volte è solo questione di fortuna.
C’è ancora Spider-Man nei prossimi impegni di Mark Bagley o ci sono altri progetti?
In realtà no. Mi sono praticamente semi-ritirato. Ho lasciato la serie di Spider-Man su cui stavo lavorando. Disegnare gli interni è diventato troppo faticoso. Ora faccio solo copertine e commission. Ho appena finito una storia di Conan di 48 pagine per Titan Comics, che è sempre stato un sogno per me. Non è il mio genere solito, quindi è stata una bella sfida. Ma dopo 48 pagine, ho capito definitivamente che con gli interni ho chiuso. È troppo, alla mia età. Amo ancora questo lavoro, ma voglio fare altro. E poi ho qualche problema alla mano. Niente di grave, ma disegnare comincia a diventare doloroso.
Hai mai contato quante storie di Spider-Man hai disegnato?
No, non ricordo i numeri esatti. So che ho fatto 110 numeri di Ultimate Spider-Man. Per Amazing non saprei dirti. Mi dicono che sono quello che ha disegnato più storie di Spider-Man in assoluto. Forse!
Anche Humberto Ramos e altri ne hanno fatte tante. Ma ne sono fiero. La cosa bella di Spider-Man è che anche chi non legge fumetti lo conosce. Sei in aereo o parli con qualcuno: “Che lavoro fai?” “Disegno fumetti.” “Ah, interessante. Quali?” “Daredevil.” “Ok.” “Lanterna Verde.” “Bello.” “Spider-Man.” “Wow”. Tutti lo conoscono e lo amano. E il fatto che l’ho disegnato io? Ancora non mi sembra vero.
Hai ragione, la fama di Spider-Man non conosce confini. Pensa che quando il film Spider-Man: Un Nuovo Universo è uscito in Italia, la “nostra” Sara Pichelli, che creato graficamente Miles Morales e disegnato per anni le sue avventure, è stata invitata anche in TV. Tutti amano Spidey!
L’ho incontrata un paio di volte. Mi piace il suo lavoro ed è molto talentuosa. Ma ormai non esco quasi più dagli Stati Uniti. Faccio solo qualche fiera. C’è un gruppo in Spagna che mi invita da cinque anni, ma ormai non viaggio più tanto. Sto bene a casa.
Possiamo però sperare di vederti in Italia?
L’Italia mi piace molto. Mia moglie e io ci siamo stati più volte. Ma come dicevo, adesso non viaggio molto. Magari un giorno, chissà. Ma per ora no.
Mark, è stato un grande onore parlare con te. Siamo cresciuti con i tuoi fumetti. L’unica parola che mi viene è: straordinario.
Grazie! Mi ha fatto davvero piacere parlare con voi!