Quando intervisti Fiamma ti servono poche parole introduttive: si raccontata così bene e con tale generosità, che il resto sembra di troppo. Le abbiamo chiesto di Nodi, sua prima graphic novel pubblicata con Bao Publishing, di come c’è finita, di dove andrà ora; del suo impegno sociale, di Vanda e Brigitta, personaggi che diventano la voce di parti di sé.
Piazzatevi in poltrona, ascoltate il suggerimento musicale che da Fiamma stessa a inizio intervista, e godetevi il viaggio…

È il 2023, inizi a lavorare a quello che poi diventerà Nodi, e su Instagram lo annunci dicendo “io mo mi sento come il tizio di Samarcanda, di essere andata avanti tutta la vita credendo di allontanarmi da quella cosa là, datemi la bestia più veloce che c’è, e invece gli stavo solo correndo incontro, a rotta de collo. Così. oh-oh-cavallo”.
E invece, che canzone è la tua vita di questi ultimi sei mesi (dall’uscita del fumetto)?
Uh! Domanda difficilissima…forse una canzone come Happy Time di Tim Buckley, sono stati mesi molto felici, finalmente 🙂
L’inizio di Nodi è un meraviglioso flusso di coscienza che parte da Roma e scorre di parola in parola sulla memoria e matasse da dipanare e il mondo virtuale, e si aggroviglia in una poeticissima massa di fili che portano alla CARTELLA. Ecco, qual è il processo creativo che dà l’avvio al flusso?
Avendo cominciato a fare fumetti da relativamente poco, sto ancora scoprendo il funzionamento del mio processo creativo. Al momento ho individuato due modalità valide per me. La prima è quella che io definisco “fuori controllo”: accade qualcosa nella mia vita e istantaneamente la storia, i testi e i disegni mi assalgono e a quel punto l’unica cosa da fare è sedersi al tavolo e buttare giù sulla tavola tutto quello che ho letteralmente stampato in testa.
La seconda è una modalità più “riflessiva” ma che, come la precedente, si attiva quando mi accade qualcosa, anche banale, ma che sento essere un passaggio significativo nella mia vita. Solitamente, in questo caso tutto ruota attorno a una frase, a un concetto, su cui comincio a rimuginare finché non iniziano ad arrivare le immagini, a quel punto corro al tavolo a disegnarle.

La Fiamma che porti nel nome arde sempre anche per le cause di chi viene azzittito: con la tua voce parli di femminismo, di Palestina, di diritti umani, e di tutto quello che ci ruota naturalmente intorno, nel tentativo – come dici anche in Nodi – di partecipare alla costruzione di un mondo nuovo in cui tutti e tutte possano riconoscersi. Racconti che, del resto, è per questo che hai scelto di fare l’architetta. In questo progettare e realizzare, quali sono le maggiori “resistenze” che incontri?
Diciamo che l’inerzia a qualsiasi tipo di cambiamento è propria dell’umanità e del mondo che ha costruito. Piuttosto che cambiare, l’umanità preferisce adattarsi. Ecco, questa capacità di adattamento, al peggio, è anche una delle definizioni che si può dare alla parola “resilienza”, concetto con cui, infatti, ho un rapporto assolutamente conflittuale.
Per quanto riguarda invece la mia esperienza personale, il mio orticello, la principale resistenza che ho trovato a portare avanti i progetti della mia vita è stata senz’altro la paura, che è il sentimento mio e della mia generazione.
Paura della solitudine, paura di provare a realizzare le proprie aspirazioni perché oggi più spesso i sogni si infrangono e quindi meglio non tentare nemmeno e tenersi al caldo una speranza. La paura collettiva è la più grossa delle resistenze che viviamo oggi, credo, ed è il più grosso strumento politico attualmente disponibile per impedire che il mondo cambi davvero.
Nei tuoi disegni ti racconti tanto, ti metti in gioco, ti apri, abbracci la fragilità, ci fai entrare a sbirciare e a volte ci accompagni anche sul divano e ci offri un bel tè caldo. In un tempo in cui il mondo non è sempre amichevole, ti capita mai di sentire il bisogno di proteggerti? Come lo bilanci con la voglia e il bisogno di rompere il silenzio?
Sento costantemente il bisogno di protezione. In realtà, è proprio rompendo il silenzio, parlando, facendo ricerca accademica, scrivendone e disegnando fumetti che ho trovato il mio più grande scudo. Starmene rintanata in qualche maniera mi fa sentire come una preda che aspetta solo di essere trovata. Esporsi – invece – ognuno coi suoi mezzi, i suoi linguaggi e gli spazi che gli sono propri, credo sia l’unico modo di proteggersi davvero. Anche perché è l’unico modo per trovare alleati per le proprie battaglie.
Sei stata senza disegnare per vent’anni, e quando hai ricominciato c’era questo fiume in piena di cose da mettere su carta: ma oltre allo stimolo creativo, com’è la ripartenza, dopo mezza vita lontana dalle matite?
Per me è stato come tornare a respirare, non so spiegarlo molto bene. È successo dall’oggi al domani, poi. Mettermi a fare fumetti dopo 25 anni è stato come tornare a parlare la mia lingua madre, dopo averla taciuta tutta la vita. Fare fumetti mi ha permesso di riconnettermi con delle parti antiche di me e di esercitare l’infanzia nell’età adulta: questa credo sia una caratteristica specifica e unica del fumetto che è davvero un linguaggio pazzesco.

Se Vanda, Brigitta e Fiamma [i tre personaggi di Nodi, ndr] dovessero descriversi ciascuna con un’opera – letteraria, cinematografica, musicale, fumettistica, pittorica, o altro – quali sceglierebbero?
Ah ah ah ah ah! Rido perché Vanda e Brigitta ormai per me sono diventate delle creature realmente esistenti e ogni volta che qualcuno le nomina è come se le vedessi comparire al mio fianco. Direi che Vanda, dato il suo carattere, si identificherebbe nella Cavalcata delle Valchirie di Wagner, un’opera eroica, piena di epica e pathos, un po’ come Vanda affronta la vita.
Brigitta è più difficile da inquadrare: quando disegnavo le sue tavole ascoltavo spesso La parata degli elefanti rosa del Quartetto Cetra, quel brano inquietantissimo e bellissimo della colonna sonora di Dumbo della Disney. Brigitta di fatto è il mio elefante rosa.
Ci sono lavori tuoi ad acquerello, carboncini, pastelli a olio, digitale: cos’è che guida la scelta della tecnica, quando ti metti a disegnare?
Principalmente lo stato d’animo. Ogni medium e tecnica porta con sé anche dei tempi di realizzazione diversi. L’acquerello, per esempio, devi aspettare che asciughi, si procede per lente addizioni di velature, insomma ti “impone” di passare più tempo su una tavola e dunque di rimuginare anche più a lungo sul contenuto rappresentato.
Per questo motivo, per il fumetto preferisco il digitale: se faccio un fumetto è perché ho l’urgenza di farlo il prima possibile, non ho letteralmente tempo e voglia di aspettare che si asciughi l’inchiostro. Quando faccio fumetti, ancora prima del bisogno di godermi l’atto del disegno c’è l’urgenza di dire qualcosa.
Questo volume ha già girato insieme a te per varie manifestazioni dedicate al fumetto, e hai potuto raccogliere i riscontri del pubblico: ce n’è stato qualcuno che ti ha colpito più degli altri o più in profondità?
Ci sono stati tantissimi messaggi che mi sono arrivati che mi hanno toccato moltissimo. In particolare, una mail che ho ricevuto, che mi ha fatto capire tutto ciò che non sapevo dello scrivere un libro, e cioè che si mette nero su bianco molto più di quello che si pensa. La lettura degli altri è in grado di scovare una specie di “testo invisibile” che non sai di aver scritto ma che arriva a chi legge. Quella mail mi ha permesso di leggere cose di me che non conoscevo in maniera consapevole ma che avevo messo in Nodi.
Un altro incontro molto significativo è accaduto dal vivo. Ho dedicato il libro a una ragazza che voleva regalare il mio fumetto a sua sorella che non stava attraversando un bel momento e sperava che potesse trovare una chiave nella mia storia per sentirsi meno sola. Ho riconosciuto nei suoi occhi la preoccupazione che è stata quella di mia sorella per me e mi ha commossa tantissimo.

Con Nodi, possiamo dire che hai aggiunto un mattoncino al progetto di rendere il mondo un posto più accogliente, e prima ancora l’hai fatto col tuo lavoro sui campi profughi, e in generale con i contenuti che porti. Quale sarà il prossimo mattoncino?
Uh, grazie… Non so se i miei fumetti abbiano davvero questa capacità di incidere sul mondo, ma quantomeno spero che la mia voce possa risultare accogliente per chi la sente in mezzo a tutto questo macello da cui siamo circondati.
Dopo Nodi, un po’ di mattoncini penso di averli continuati a seminare nei fumetti che pubblico sul mio profilo Instagram. Facendo autofiction e quindi avendo un mondo narrativo unico con personaggi ricorrenti, di fatto le storie escono dai libri e proseguono un po’ ovunque su tutte le piattaforme di condivisione che uno può trovare.
Al momento, in pentola c’è una nuova storia lunga; vedremo come procede, ma anche qui ho sentito il bisogno di affrontare una questione personale ma decisamente politica nella nostra contemporaneità, incrocio le dita 🙂
E noi le incrociamo insieme a lei – che di Fiamma ce ne servono in abbondanza, nelle nostre vite spigolose – e la ringraziamo per essersi raccontata.
Fiamma

Fiamma è architetta, dottore di ricerca, fumettista. Comincia a disegnare nel 2021 durante la pandemia, un anno dopo inizia a fare i suoi primi fumetti riscrivendo in forma illustrata la sua tesi di dottorato sul dispositivo dei campi profughi e nel 2023 incontra BAO Publishing. Nodi è il suo primo graphic novel.

