Il tocco gentile del racconto illustrato: Alberto Madrigal e le storie che restano dentro

Durante le giornate di Lucca Comics & Games 2025 abbiamo avuto il piacere di scambiare quattro chiacchiere con Alberto Madrigal: siamo partiti dal suo lavoro più recente, la graphic novel "Dovevo dirti una cosa" e siamo finiti a parlare di comunicazione, colore e creatività

Claire Bender
copertina intervista alberto madrigal

Sembra non esserne mai pienamente consapevole, ma Alberto Madrigal è un incantevole impasto creativo a lenta lievitazione, che “in cottura” profuma come il pane casereccio appena sfornato.

Racconta vite vicine alla sua, in cui ritroviamo anche le nostre, e ci si poggia in modo delicato; si prende il tempo di usare gli acquerelli; riscopre la scrittura attraverso le macchine da scrivere.

C’è una lentezza serena, in Alberto, che gli permette di narrare storie con la grazia di una farfalla; e anche quando non sta raccontando nulla – penso ai suoi Taccuini – quella grazia continua ad accompagnarlo.

Abbiamo avuto la possibilità di parlare delle sue graphic novel – l’ultima, pubblicata con Bao Publishing, è Dovevo Dirti Una Cosa – del blog nato per gioco, delle colorazioni fatte per i volumi di Zerocalcare. Soprattutto, abbiamo potuto ficcare un po’ il naso, in punta di piedi, nel processo creativo di Alberto Madrigal, il tocco gentile del racconto illustrato.

Dovevo Dirti una Cosa di Alberto Madrigal

Ciao Alberto, grazie per aver accettato di essere con noi. Iniziamo subito parlando del tuo ultimo lavoro, Dovevo Dirti Una Cosa, pubblicato in Italia con Bao Publishing lo scorso maggio, in cui racconti la storia di una coppia che si sta sfaldando perché non riesce a comunicare. Da osservatore di vite – e anche, se ti va, per esperienza personale – quali sono le maggiori sfide comunicative che riscontri oggi?

Ci sono molte risposte possibili. Nel caso specifico dei protagonisti di Dovevo dirti una cosa, Angela ha smesso di dire davvero ciò che pensa a Roberto, per evitare lo scontro. Stanno insieme da anni, ma lei sa che con lui non può “vincere” una discussione, anche quando ha ragione. Così finisce per chiudersi, accumulando dentro tutto quello che non riesce più a dire.

Le tue graphic novel descrivono situazioni in cui ci si possa rivedere facilmente, quotidiane, in alcuni casi anche autobiografiche. Ti sei mai sentito attratto da un genere diverso, con tendenze più fantasy?

Quando ero ragazzo amavo molto il fantasy, soprattutto Il Signore degli Anelli. Poi ho perso un po’ l’interesse. Quando scrivo, mi piace raccontare vite vicine alla mia, non so bene perché. Però sono sicuro che, se trovassi una storia fantasy in cui mi rispecchio, mi piacerebbe lo stesso. Alla fine, il genere è solo una cornice: quello che conta è la storia.

Come tu stesso hai detto, in te convivono tre anime, confluiscono tre vite: quella a Berlino, quella in Spagna e quella in Italia. In che modo s’intrecciano? Ci sono dei momenti in cui una prende il sopravvento sulle altre? Come si sta con dentro questo meraviglioso affollamento culturale?

Per me è del tutto normale, non lo vivo come qualcosa di strano. È un po’ come abitare in una città ma viaggiare spesso per lavoro o amicizie. Non mi sento pienamente spagnolo, né italiano, né tedesco: semplicemente un misto di tutti e tre. Come qualcuno nato a Roma, che ha studiato a Bologna e poi si è trasferito a Milano. Forse gli unici momenti in cui mi sento “fuori posto” sono quando mancano i riferimenti culturali, o quando mi accorgo che ormai non parlo perfettamente nessuna delle tre lingue.

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“Dovevo Dirti Una Cosa”, l’ultimo lavoro (in ordine di tempo) di Alberto Madrigal, uscito in Italia per Bao Publishing

In un’intervista hai detto che quando in Pigiama Computer Biscotti parli di preventivi, soldi e simili, ti riferisci al tuo lavoro di illustratore, perché l’ansia del risultato economico ti stava in qualche modo allontanando dal motivo per cui fai i fumetti, che è la passione. Ecco, credi che lavoro e passione possano davvero coincidere senza danni, come dicono alcuni? O, inevitabilmente, trasformare ciò che ami in lavoro ti priva di qualcosa?

Credo possano convivere, ma è raro. Servono circostanze particolari. Se una persona può permettersi di seguire la propria passione per anni senza preoccuparsi troppo del denaro, quella passione può diventare un lavoro retribuito. Però, onestamente, non conosco nessuno che abbia trovato un equilibrio perfetto. Chissà, forse quando raggiungi un equilibrio perfetto non senti più il bisogno di creare, perché stai bene. E a quel punto, magari, smetteresti di farlo.

Blog, graphic novel, la colorazione di fumetti di altri, copertine, illustrazioni, anche dei taccuini pieni di spunti e schizzi. Hai tra queste una forma che senti più tua?

Più che la forma, conta come mi sento in quel momento. Forse il mio preferito è scrivere e disegnare una graphic novel, perché amo creare una storia che vorrei leggere io per primo. Ma anche il blog mi piace molto: mi sento libero di disegnare senza preoccuparmi di essere “bravo”, visto che è qualcosa che la gente legge gratis online.

I taccuini ad acquerello hanno lo stesso spirito: posso sperimentare senza paura di sbagliare, e spesso è lì che vengono fuori le cose migliori. La colorazione e le copertine possono essere più ripetitive, ma quando lavoro con Zerocalcare, per esempio, mi diverto molto: mi lascia libertà totale, quindi è sempre un piacere collaborare.

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“Quando Muori Resta a Me” di Zerocalcare (2024, Bao Publishing) è solo una delle tante collaborazioni di Madrigal con l’Autore romano


Il modo in cui usi il colore è spesso considerato il tuo marchio di fabbrica. Zerocalcare dice che riesci a trasformare tutto in poesia, e in effetti ci riesci anche con i grigi (penso a Quando muori resta a me, che hai colorato per lui). Mi chiedo: davanti a un panorama, tu cosa vedi? Cosa succede dietro gli occhi e nella testa di Madrigal, quando osserva i colori del mondo?

Spero di vedere quello che vedono tutti 😉

Quando lavoro, cerco di fare ciò che piacerebbe a me come lettore, e lo stesso vale per i colori. Non conta tanto la scelta della palette in sé, ma l’effetto emotivo che mi trasmette. Non mi considero un colorista, e forse è proprio per questo che i miei colori vengono apprezzati: mi sento libero di sperimentare e andare nella direzione che sento sia giusta in quel momento. Se a qualcuno non piacciono, posso sempre dire: “Certo, mica sono un colorista”.

C’è una frase, in una delle puntate del tuo blog, che ho adorato: “Non c’è modo migliore per trovare degli interessi in comune che sbirciare i libri che leggono. I poster che hanno sulle pareti. L’interno del loro frigorifero.” Ecco, questo lo possiamo applicare anche al mestiere di narratore? Bisogna essere un po’ “guardoni” per raccontare storie, secondo te?

Forse non è indispensabile, ma sicuramente aiuta. Mi viene naturale inserire nelle mie storie le cose che vedo negli altri e che mi restano dentro, o mi fanno riflettere. Non sono cose che puoi pianificare: escono da sole mentre scrivi o disegni, ed è la parte più bella del raccontare. Io non riesco a scrivere storie completamente lontane dalla realtà che vivo, dalle persone che ho intorno o da me stesso. Altri autori lo fanno benissimo, ma per me non funziona così.

Pigiama Computer Biscotti di Alberto Madrigal

Del blog – che in parte è confluito poi in Pigiama Computer Biscotti – hai detto più volte che è nato su suggerimento di Zero, come una sorta di valvola di sfogo. Ti ha aiutato effettivamente a sperimentare e sbloccare? Pensi di ritornarci, di tanto in tanto?

Ogni volta che ci torno, mi aiuta tantissimo. Vorrei farlo più spesso, ma non riesco ancora a scrivere e disegnare con la velocità necessaria per gestirlo insieme agli altri progetti. Proprio in questi giorni stavo lavorando a una nuova puntata per il blog, ad acquerello e a colori, su alcuni aneddoti successi a Torino durante Portici di Carta.

Mi piacevano i disegni, ma la storia non funzionava: parlavo di cose importanti per me, ma comunque banali, e penso che avrebbero annoiato i lettori. Così l’ho lasciata lì. Però mi piacerebbe trovare un modo per farne di più, e magari raccoglierle in un libro, ogni tanto.

A Lucca Comics & Games 2025, complice la presenza del cast, è stato dato grande spazio al finale di Stranger Things, una serie che ha riportato noi Millennials alla nostra infanzia e adolescenza, ricordandoci tante cose dimenticate. A volte ne parli anche tu nelle tue tavole – penso per esempio ai cartoni e al Colacao; cosa ti manca di allora? C’è qualcosa che ti faccia dire “Mi spiace che i miei figli non possano viverlo come l’ho vissuto io”.

Non c’è niente in particolare che mi manchi davvero, ma certe piccole cose accendono ricordi a cui tengo. Come il Colacao. Molte di quelle cose le rivivo attraverso i miei figli, che giocano con i miei vecchi giocattoli. Un oggetto che invece ho scoperto solo da adulto sono le macchine da scrivere: da bambino mi sembravano una cosa da vecchi, inutile. Ora invece mi fanno venire voglia di scrivere, forse proprio in contrasto con la velocità di oggi.

La tenerezza che riesci a mettere nelle tue pagine è davvero un dono: arriva dal tratto, dalle parole, da quei piccoli difetti e sbavature che scegli di lasciare come sono. C’è una sensibilità davvero unica nei tuoi lavori. Ti è mai capitato di ammirare il lavoro di altri artisti e dire “Uh, quello avrei voluto farlo io”?

Grazie per le tue parole, davvero. Io non vedo queste cose nel mio lavoro, ma mi fa piacere sapere che si percepiscono da fuori.

Sì, mi capita spesso. Non tanto di desiderare di averlo fatto io, quanto di pensare che mi piacerebbe usare quelle linee, quella sensibilità, quei colori in qualcosa di mio. Quando leggo un fumetto, cerco proprio questo: qualcosa che mi resti dentro, non la perfezione tecnica, ma quell’emozione unica che solo quell’autore sa dare.


Alberto Madrigal – Le opere

foto di Alberto Madrigal con opera

Nato in Spagna e residente a Berlino dal 2007, dopo alcune storie brevi e lavori da illustratore freelance, Alberto Madrigal fa il suo esordio nel mondo del fumetto con la sua prima opera lunga nel 2013, quando pubblica Un lavoro vero (BAO Publishing), di cui è autore completo.

Nel 2015, per la stessa Casa editrice, pubblica Va tutto bene, in cui ritrova i temi dello smarrimento e i sogni di una generazione che lotta per affermare la propria identità.

Nel 2015 realizza le illustrazioni de L’albero delle storie, romanzo per ragazzi scritto da Gabriele Clima e pubblicato nella collana “Il battello a Vapore” (Edizioni Piemme).

Nel 2017 realizza i disegni di Berlino 2.0, graphic novel scritto da Mathilde Ramadier edito dalla Casa editrice francese Futuropolis e pubblicato in Italia da BAO Publishing.

Nel 2019, sempre per i tipi di BAO, realizza Pigiama Computer Biscotti, un’attenta riflessione sulla paternità. Nel 2025 esce il suo nuovo graphic novel, Dovevo dirti una cosa, in cui i temi dell’incomunicabilità tornano prepotenti all’interno della sua narrazione.

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Vive con un dodo immaginario e un Jack Russell reale, che di recente si è scoperto essere Sith. Grifondoro suo malgrado, non è mai guarita dagli anni '80. Accumula libri che non riesce a leggere, compra ancora i dvd e non guarda horror perché c'ha paura. MacGyver e Nonna Papera sono i suoi maestri di vita.
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