Good Boy – Come Indy è diventato un attore

In occasione della rassegna “Alice nella Città”, il regista Ben Leonberg e la produttrice Kari Fischer hanno presentato Good Boy, il film che ha inaugurato ufficialmente le proiezioni del festival. I due autori hanno raccontato come è nato questo progetto e in che modo sono riusciti a trasformare il loro cane Indy in un attore protagonista

Mr. Rabbit
copertina speciale good boy

“Good Boy”, un caso cinematografico

Ad aprire la ventitreesima edizione della rassegna cinematografica “Alice nella Città” è stato il film horror “Good Boy“. Concepito inizialmente come un cortometraggio, prodotto a bassissimo costo e diretto da un regista esordiente, “Good Boy” sta diventando un caso cinematografico dopo il suo folgorante esordio al SXSW Film & TV Festival 2025, tanto da aver registrato il 95% di punteggio su Rotten Tomatoes.

indy

“Good Boy” si basa su un concetto abbastanza semplice: un film su una casa stregata, in cui il personaggio principale è il cane di famiglia ed è l’unico che può vedere le forze che perseguitano i suoi occupanti.

Noi di MegaNerd.it abbiamo avuto la possibilità di assistere alla conferenza stampa di presentazione della pellicola. Presenti all’evento c’erano il regista Ben Leonberg e la produttrice Kari Fischer. I due autori ci hanno raccontato la genesi di questa film (durata tre anni) e di come sono riusciti a trasformare Indy, il golden retriever di famiglia, nell’attore protagonista.


La conferenza stampa

indy good boy

Da dove nasce l’idea di “Good Boy” ?

B.L:Chi ha un cane sa bene che è normale chiedersi del perché abbaia nel cuore della notte. Perché si ferma, fisso, a guardare il vuoto? Ogni volta che assistiamo a questi comportamenti, la mente corre alle ipotesi più oscure, che qualcosa di terribile sta per accadere. Proprio questo concetto di base e l’idea di portarlo all’estremo ci ha affascinato. Raccontiamo la storia dal punto di vista del cane, facendo leva sui suoi sensi, sulle sue capacità uniche, ma anche sui suoi limiti.

Kari Fischer, tu hai un duplice ruolo in “Good Boy”: sei produttrice del film insieme al regista Ben Leonberg e sei anche la sua compagna. Inoltre Indy, il golden retriever protagonista, è anche il vostro cane. Insieme a Ben Leonberg avete lavorato tre anni nella realizzazione di  “Good Boy”. Come avete fatto a trasformare questa idea un film ?

K.F.: Con molta lentezza [Ride]. È vero, Indy è il nostro cane, ma non è certo un attore professionista: non ha mai ricevuto un addestramento specifico per lavorare in un film. Abbiamo quindi dovuto inventare metodi alternativi, costruendo un piccolo percorso di allenamento e, soprattutto, adattando l’ambiente attorno a lui. Indy conosce solo i comandi di base (“seduto”, “sdraiato”, “fermo”) perciò abbiamo dovuto fare largo uso dell’immaginazione. La sua curiosità, però, è stata la nostra più grande alleata. Per ottenere quegli sguardi di sorpresa, esitazione o timore, ci siamo ingegnati in ogni modo possibile: ogni giorno Indy imparava qualcosa di nuovo.

Fin da subito ha cominciato a riconoscere i nostri segnali, e questo ci ha permesso di spingerci sempre un po’ oltre. Il primo giorno bastava battere le mani per ottenere una reazione; dopo qualche giorno, un semplice suono con la bocca lo faceva abbaiare a comando; al quattrocentesimo giorno, ci trovavamo a toglierci le scarpe e mettercele in testa pur di ottenere l’effetto desiderato. Ci siamo davvero inventati di tutto per trasformare il nostro cane in un “attore”.

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La produttrice Kari Fischer e il regista Ben Leonberg

“Good Boy” è un film sul paranormale e dentro ci sono tutti gli elementi che piacciono a chi ama i film di genere horror. Tuttavia tratta anche dei temi molto profondi come il rapporto con la malattia e con la solitudine, il distacco e la solitudine. Come avete pensato di introdurre tutti questi elementi in modo così armonico dentro la storia ?

B.L.: Il nostro obiettivo era integrare elementi profondamente realistici con quelli sovrannaturali. Il soprannaturale resta però il fulcro dell’opera: quando il cane reagisce in un modo particolare è perché o è presente un’entità spettrale, oppure percepisce qualcosa che l’essere umano non riesce a cogliere, per esempio i sintomi di una malattia. Abbiamo scelto di preservare questa ambiguità di base.

Indy è il vostro cane e, quindi, immaginiamo questo vi abbia facilitato nell’addestramento. In questa lunga preparazione c’è stato bisogno di un addestratore esterno ? Ci sono state delle cose che non siete riusciti a fargli fare e quindi, per questo motivo, avete dovuto cambiare qualcosa del film ?

B.L.: Fondamentalmente siamo stati noi ad insegnargli le basi. Lo abbiamo preso che era un cucciolo perché oltre all’animale domestico, volevamo un amico. Quando abbiamo cominciato a scrivere la sceneggiatura, lo abbiamo usato per sperimentare idee e capire in che modo potesse emergere il punto di vista di un cane nella storia. Solo dopo abbiamo iniziato a pensare che Indy potesse davvero essere il protagonista del film, e che questa scelta avrebbe potuto funzionare.

Quando poi abbiamo iniziato a scrivere il film, lo abbiamo utilizzato per testare alcune cose e capire come potevamo inserire nella storia il punto di vista di un cane. Solo successivamente abbiamo cominciato a pensare che Indy poteva essere il protagonista della storia e che questa cosa poteva funzionare. Questo ci ha permesso di apportare alcuni cambiamenti nella sceneggiatura per colmare quelle lacune che c’erano tra lo script iniziale e la realizzazione vera e propria del film.

Dal punto di vista della trama non abbiamo modificato tantissimo ma siamo stati molto aperti e flessibili nel valutare e accogliere tante cose che non avevamo programmato e che, invece, Indy ha fatto spontaneamente.

Good Boy (2025) di Ben Leonberg - Recensione • Asbury Movies

Riprendendo il tema della malattia, abbiamo avvertito anche il desiderio di esplorare la difficoltà che provano le persone ad accettare quella dei propri cari, vederli abbandonarsi, lasciarsi andare. Volevate inserire fin dall’inizio di questi lunghi tre anni di lavorazione questo elemento, oppure è emerso in corso d’opera?

B.L.: Sicuramente ci sono tanti temi importanti che volevamo affrontare con questo film. Altri sono venuti fuori durante la lavorazione, sia quando abbiamo iniziato a scrivere sia quando lo stavamo girando. Anche in questo ci ha aiutato molto Indy perché ci ha dato molti spunti mentre studiavamo il suo comportamento e le sue reazioni. Questo film vuole anche raccontare come noi, sin da bambini, apprendiamo e facciamo conoscenza della morte. Tutte le pellicole che trattano di case infestate o di fantasmi non sono altro che una rappresentazione visiva di quelle che sono le nostre ansie e le nostre paure rispetto alla morte.

Molti scoprono la morte attraverso un animale domestico, quando prendono coscienza che un animale non vive a lungo quanto un essere umano. Ci piaceva l’idea di mostrare come Indy rappresentasse la paura e l’ansia della morte che sta colpendo il suo padrone, ossia la persona che più ama al mondo, attraverso la sagome di figure mostruose e terribili. Non c’è alcun dubbio sul fatto che il cane è l’animale più fedele in assoluto l’essere umano, quello che ama in maniera più incondizionata. Non poteva esserci modo migliore per raccontare l’ansia e la paura della morte.

Il vostro cane ha mai avuto, fuori dal set, comportamenti simili a quelli che si vedono nel film? Pensate che siano in grado di percepire qualcosa di sovrannaturale attorno a noi ?

B.L.: Sono fortemente convinto che i cani abbiano dei sensi molto sviluppati rispetto a quelli degli esseri umani. Loro sono in grado di percepire cose che noi umani non siamo in grado di individuare, sia attraverso la vita che con l’udito o l’olfatto. Non penso però siano in grado di percepire qualcosa di sovrannaturale. O meglio, la mia testa dice di NO a questo, ma il cuore dice di SI. Indy non ha fatto nulla di particolare che potesse essere considerato come una percezione del sovrannaturale…fino alla fine delle riprese ! Voglio raccontarvi questo episodio: al termine delle riprese siamo andati a trovare uno zio di Kari che abita in una casa molto antica.

Non appena siamo entrati in questa casa, Indy si è letteralmente ossessionato con un tavolino. Lo guardava eppoi si girava verso di noi, tornava a fissarlo per poi cercare il nostro sguardo. Alla fine, visto questo comportamento impulsivo e ossessivo, ci siamo avvicinati al tavolino e abbiamo scoperto un piccolo cassettino che conteneva parecchie palline da tennis. Possiamo quindi affermare che Indy non è in grado di percepire un fantasma ma, di sicuro, ha un talento innato per scovare palline da tennis!

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Una scelta adoperata nel film che ci ha colpito e che riteniamo particolarmente riuscita è quella di non far vedere in volto il protagonista umano, se non alla fine del film. Inoltre, abbiamo letto che l’idea di questo film è nata durante la pandemia di Codiv-19. Effettivamente possiamo ritrovare nella pellicola alcuni riferimenti a quella situazione di disagio che tutti quanti noi abbiamo vissuto: il chiudersi in casa, l’evitare ogni contatto umano, se non quello di Indy. La condizione imposta dalla pandemia ha influito in qualche modo sulla scrittura di “Good Boy” ?

B.L.: Si, abbiamo scelto di raccontare la storia esclusivamente dal punto di vista di Indy perché abbiamo ritenuto fosse, dal punto di vista creativo, il modo più interessante per farlo. Non c’è un’inquadratura dove o non c’è lui oppure non c’è il suo punto di vista. La macchina da presa è costantemente piantata a terra e questo rende Indy molto più grande di quello che effettivamente è. Questo ci ha dato un grande vantaggio, ossia la possibilità di fare la controfigura del personaggio umano. Quindi gli sguardi affettuosi che Indy dedica al protagonista maschile sono reali perché dietro quel personaggio ci siamo noi.

K.F.: Per quanto riguarda il tema della pandemia e il modo in cui ha contribuito come spunto nel film, posso parlarne io. Produco questo film, ma nella vita faccio tutt’altro: sono una scienziata. Probabilmente l’influenza reciproca fra me e Ben (mio compagno da molti anni) ha fatto sì che la dimensione “scientifica” derivante dai miei studi arrivasse fino a lui e, in ultima istanza, si riflettesse nel film. Posso confermare che il tema della pandemia c’è in “Good Boy: nei mesi di lockdown si parlava spesso della “pandemia della solitudine”. Sono davvero lieta che il legame tra me e Ben abbia permesso che certe idee, nate dalla mia formazione, siano entrate nel progetto.

B.L.: Voglio sottolineare un aspetto importante. A conferma del fatto che Karin mi abbia influenzato attraverso il lavoro che lei fa come scienziata, posso confermare che è molto più facile insegnare ad uno scienziato a fare film che ad un regista fare lo scienziato. Karin ha dato un contributo di idee e ha dimostrato una capacità creativa nella realizzazione del film che è stato veramente eccezionale. Per fare un esempio, uno dei primi jumpscare che si vedono nel film [non vi diciamo quale per non fare spoiler, N.D.R] non sapevo come realizzarlo: lei ha avuto l’intuizione di prendere le varie idee che avevamo e le ha mescolate tutti insieme.

Il risultato è una sequenza che funziona molto bene. Quando non faccio film insegno nelle scuole di cinema e quello che Karin mi ha suggerito di fare è esattamente quello che spiego ai miei allievi.

Good boy", il film horror raccontato con gli occhi di un cane - trailer - la Repubblica

L’ultima domanda riguarda il caso che si è scatenato attorno a questo film per il quale tutti avevano paura che il cane, alla fine della storia, morisse. Potete spiegarci cosa è successo?

B.L.: Generalmente nei film horror con una cane dentro, l’animale a malapena arriva alla fine del primo atto. Abbiamo sfruttato questo concetto cercando di mostrare questa casa che sembra infestata dai fantasmi, dislocata in mezzo ad un bosco e con un ingresso verso la cantina: tutto questo ha fatto pensare il pubblico che il cane non sarebbe sopravvissuto. Indy, però, è il protagonista della storia e sin dall’inizio lo abbiamo considerato tale. Questo perché molto spesso si riesce ad ottenere un’empatia molto più forte con un animale che con un essere umano. Cosa c’è di meglio di avere come protagonista un cane così amorevole e buono ?

 

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Stanco dal 1973. Ma cos'è un Nerd se non un'infanzia perseverante? Amante dei supereroi sin dall'Editoriale Corno, accumula da anni comics in lingua originale e ne è lettore avido. Quando non gioca la Roma
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