Opere come Solo Leveling (di cui puoi leggere il nostro approfondimento proprio qui), arrivano alla loro naturale conclusione lasciando sempre tutti un po’ orfani. Infatti, quando ti ritrovi a leggere l’ultimo capitolo di opere come questa, il mondo resta sospeso in un silenzio particolare, quel tipo di silenzio che nasce non dall’assenza, ma dalla gratitudine.
Sung Jinwoo sembrava aver chiuso il cerchio, l’universo narrativo aveva trovato la sua pace e i lettori avevano accettato che la storia fosse arrivata dove doveva arrivare. Eppure, la narrazione ha un vizio antico, ovvero, quello che quando un mondo funziona davvero, non smette mai di pulsare.

Solo Leveling: Ragnarok esiste proprio per questo motivo. Perché quel mondo non aveva finito di parlare, anzi si apprestava solo ad una successiva evoluzione. Affrontare questo sequel significa, prima di tutto, prendere le misure con una tensione quasi inevitabile: può davvero esistere un “dopo” quando il “prima” aveva già detto tutto?
È qui che Ragnarok mostra la sua natura più interessante. Non si limita a raccogliere l’eredità del suo predecessore, piuttosto la prende e la mette in discussione, la rielabora, e prova a costruire un nuovo centro emotivo attraverso un protagonista diverso, con un peso sulle spalle che nessun personaggio dell’universo creato da Chugong aveva mai dovuto affrontare.
Solo Leveling: Ragnarok – Un nuovo eroe e una vecchia ombra
La presenza di Sung Jinwoo aleggia in ogni vignetta, anche quando non è fisicamente presente. È un’ombra enorme, ma non schiacciante. Piuttosto lo vediamo come un continuo richiamo, una promessa non del tutto mantenuta, un padre narrativo che ha salvato il mondo ma non ha potuto consegnarlo davvero a un futuro stabile.
È qui che Ragnarok trova il suo equilibrio emotivo: non nella potenza, non nel power fantasy puro, ma nei vuoti. Nei silenzi tra le battaglie, negli sguardi dei nuovi personaggi che non hanno mai conosciuto Jinwoo, eppure vivono ancora immersi nel suo retaggio.
Non stiamo assistendo al proseguimento di una leggenda, ma alla crescita in un mondo post-leggendario. È una differenza importante, quasi filosofica. L’eroe assoluto non c’è più, e questo costringe la storia a cambiare pelle.
La nuova però ci conquista e ci convince che forse è meglio del capitolo precedente. Cosa ci spinge a pensarlo? Il fatto che dopo aver visto tutto l’impegno e gli sforzi compiuti da Jinwoo nel corso della prima opera, ora possiamo osservarne anche i frutti e le conseguenze.

Alcune sono positive, altre ci confondono un po’ ma restano tutte scelte coerenti che mai e poi mai potrebbero mettere in crisi il lettore. Abbiamo apprezzato tantissimo il fatto che una vecchia ombra di Jinwoo, suo soldato forse più fedele, è stato scelto per guidare il giovane Suho nel suo percorso.
Parliamo di una figura già introdotta in passato, ma con tutt’altro ruolo. Il suo arrivo sulla scena è stato brusco, quasi scioccante, e molti lettori lo hanno accolto con una buona dose di diffidenza, se non di vero e proprio fastidio.
Nel corso di Solo Leveling: Ragnarok, però, quel passato ingombrante lascia via via spazio a un rapporto completamente nuovo, fatto di dinamiche sorprendenti e spesso anche divertenti. È così che il giovane Monarca e il suo più leale “servitore” finiscono per guidare una serie di avventure che ribaltano ogni aspettativa.
La questione dell’eredità: un racconto che non vuole imitare
Per sua natura, Ragnarok non può replicare Solo Leveling e, per fortuna, non ci prova. L’originale era una scalata verticale, un’ascesa costante. Mentre Solo Leveling: Ragnarok procede in diagonale, saltando ostacoli che non rappresentano più solo mostri, ma anche minacce cosmiche, identità, responsabilità e senso di appartenenza. Il nuovo protagonista non brilla perché è forte, brilla perché è vulnerabile, potremmo dire quasi “uno di noi”.
La narrazione si prende più tempo, respira diversamente, si permette intermezzi emotivi che nel primo ciclo non erano necessari. Alcuni lettori potrebbero leggere questa scelta come una lentezza eccessiva, quasi una deviazione. Ma chi resta sulla lunghezza d’onda del manhwa intuisce che questo ritmo serve a costruire una nuova struttura, non a imitare la vecchia.

Si potrebbe dire che Solo Leveling correva, mentre Ragnarok ascolta e ti racconta. Non a caso i contenuti presentati in questo sequel sono leggermente più profondi. Ogni evento è perfettamente contestualizzato e non mancano adrenalina, stupore e meraviglia.
Abbiamo visto comunque il ritorno di molti personaggi che hanno fortemente influenzato gli eventi del primo capitolo. Nonostante il loro ingresso però, alcuni hanno ruoli differenti e prendono quindi altre posizioni rispetto a quelle impostate in precedenza.
Ma noi è piaciuto lo stesso perché anche in questo l’autore ha saputo avere gusto. Ha scelto semplicemente ciò che secondo lui era più funzionale alla trama, scartando alcuni elementi che forse potevano anche attrarre, ma non avrebbero portato un significato particolarmente incisivo.
Nella sfida del rinnovarsi, il design resta indietro
Dovendo proprio andare a fondo per analizzare ogni minimo dettaglio, ci accorgiamo della presenza di alcune piccole criticità. Una di quelle più evidenti è il design, che resta indietro rispetto a tutti gli aspetti positivi che abbiamo elencato.
Lo stesso design del neo protagonista viene rappresentato in maniera troppo simile a quello del suo predecessore. Eppure gli elementi per poter prendere un po’ di distanza c’erano. Ma si è scelto di andare nella direzione più semplice, rivisitando solo il taglio di capelli e proponendo praticamente la stessa immagine del padre.

D’altrocanto Sung Suho a livello caratteriale è un personaggio abbastanza diverso da quello di Jinwoo. È un vero peccato togliergli la possibilità di impattare ancora di puù, magari grazie a dei capelli biondi (che potevano essere un’eredità genetica della madre..).
Va bene che in linea di massima il design dell’opera non raggiunge livelli particolarmente astrali. È sicuramente attraente, coinvolgente, ma non ricordiamo tavole particolarmente incisive, parlando sempre dell’impatto estetico. Questa forse è una pecca, ma che ci lasciamo scorrere con piacere nel corso della lettura.
Oltre la pagina: il fenomeno e le aspettative del fandom
Parte del fascino, e della pressione, che avvolge Solo Leveling: Ragnarok nasce dal fatto che Solo Leveling non è più soltanto un manhwa di successo. È diventato un fenomeno culturale, rinforzato dall’arrivo dell’anime, dai videogiochi in sviluppo, dai volumi sempre più diffusi in Occidente. Quando una storia si trasforma in un simbolo, ogni seguito viene trattato come un verdetto.
Per questo motivo non mancano encomi, ma anche critiche e frecciatine di diffidenza, nei confronti di un’opera che invece secondo noi sta partendo proprio col piede giusto.
Nel caso di Solo Leveling e del suo sequel il fandom si è diviso in correnti molto nette. C’è chi considera Ragnarok un dono inatteso, una possibilità di tornare in un universo amato senza pretendere la perfezione del passato. E c’è chi invece lo osserva in modo più diffidente, come se ogni pagina dovesse dimostrare di essere all’altezza di Jinwoo.

Entrambe le reazioni sono naturali, quasi inevitabili. La cosa interessante è che Solo Leveling: Ragnarok, consapevole del peso che porta addosso, risponde non con l’esagerazione, ma con l’intimità. Non cerca di stupire il lettore con tonnellate di hype. Cerca di ricostruire il mondo dall’interno, passo dopo passo, lasciando che la forza arrivi più tardi, quando il terreno emotivo è ormai saldo.
Una nuova direzione per un universo che sembrava concluso
Solo Leveling: Ragnarok funziona davvero quando ci si libera dal confronto continuo con il passato e si accetta che questa storia non esiste per replicare un successo, ma per espandere un universo.
Non è un sequel nel senso stretto del termine. È una seconda vita. E ogni seconda vita ha bisogno di tempo per trovare la propria voce. Nel dettaglio, le nuove minacce sono costruite con attenzione, senza bruciare subito le carte più potenti.
Il mondo è più instabile, più fragile, meno netto. Le battaglie ci sono e restano spettacolari, i villain scelti per questo capitolo sono carismatici e dal forte impatto estetico. E in generale potremmo dire che non sono mancati nemmeno in questo caso, numerosi riferimenti ad altre opere. In particolare a Dragon Ball.

Non a caso ci ritroviamo ancora una volta davanti alla storia di un padre che ha salvato il mondo e di un figlio che cresce, si forma e punta a diventare abbastanza forte da camminare al suo fianco.
La differenza, qui, è nel coraggio della scelta: mentre Akira Toriyama non ha mai davvero consegnato l’eredità narrativa a Gohan, Solo Leveling: Ragnarok compie un atto di fiducia molto più radicale, lasciando che il futuro dell’opera passi davvero nelle mani della nuova generazione.
Il manhwa non tradisce mai il proprio DNA visivo. Le tavole sono pulite, attraenti, soprattutto grazie al colore tipico delle opere coreane. Ma non sono più il motore principale della narrazione.
Il vero cuore è la crescita dei personaggi, la scoperta di cosa significhi vivere in un mondo salvato da qualcun altro, e il tentativo di trovare una propria identità al di fuori dell’ombra del Re dei Monarchi.
Conclusioni
In fondo, Solo Leveling: Ragnarok non è soltanto il ritorno in un universo narrativo che pensavamo concluso. È la prova che le storie non vivono mai davvero nel passato. Si trasformano, cambiano forma, trovano nuovi volti a cui affidare le proprie paure e le proprie speranze.
Questo sequel sa bene di camminare su un terreno fragile, ma sceglie comunque di andare avanti, costruendo una nuova identità senza mai rinnegare ciò che è venuto prima. È un ponte tra generazioni, un dialogo silenzioso tra chi ha salvato il mondo e chi ora deve imparare a viverci.

Ed è proprio in questo equilibrio, a metà strada tra retaggio e scoperta, che Solo Leveling: Ragnarok trova il suo senso più profondo. Per chi ha amato Solo Leveling, è un invito a tornare, non per rivivere la stessa storia, ma per assistere alla nascita di un’altra.
E questo, in fondo, è uno dei motivi per cui continuiamo a leggere: per seguire mondi che non smettono di sorprenderci, anche quando credevamo di averli già salutati.

