Quando siamo usciti dalla sala cinematografica al termine della proiezione in anteprima di “Good Boy“, il pensiero è corso inevitabilmente a Philip K. Dick. Nella sterminata produzione di racconti del celebre autore di fantascienza americano ce n’è uno – il primo venduto ad una rivista di genere, la Magazine of Fantasy & Science Fiction di Anthony Boucher – dal titolo “Roog”.
“Roog” descrive la storia di un cane che ogni venerdì mattina all’alba abbaia in maniera sconsiderata e molesta all’indirizzo dei netturbini, rei di rubare, nell’atto delle loro mansioni, il prezioso cibo contenuto nei bidoni della spazzatura dei suoi padroni. I netturbini vengono visti come creature mostruose e il cane come ultimo baluardo di quel violento attacco perpetrato da queste malvagie entità.
L’ispirazione per questo racconto arrivò nella mente di Dick osservando un vero cane , chiamato “Snooper”, che lo faceva impazzire tutte i venerdì mattina con i suoi latrati all’indirizzo degli operatori ecologici. Dick provò ad entrare nella mente di Snooper e a vedere le cose dal suo punto di vista. Capii che la realtà di Snooper era molto differente da quella che percepiamo noi e che questa era altrettanto comprensibile e lecita: per Snooper gli spazzini erano creature orribili e il mondo tutto era insensibile ed inerme di fronte a tanta malvagità.
Con questo racconto che sarebbe diventato il primo di una lunga serie, Philip K. Dick capii che padroneggiare il punto di vista di qualsiasi essere vivente gli apriva la possibilità di esplorare infinite realtà diverse e distanti dalla nostra. Molti anni dopo “Roog” fu incluso nei testi di alcune antologie per le scuole superiori e trattato nelle scuole di scrittura creativa come un illuminante lezione sull’utilizzo del punto di vista in un racconto.
Ben Leonberg, giovane cineasta americano, può essere alle prime armi come regista di lungometraggi, ma certo non è un principiante. Con una carriera che spazia dalla narrativa, alla pubblicità, fino alla produzione in VR, Ben non è estraneo a set complessi e a consegnare risultati nonostante ostacoli assurdi. Leonberg conosce senz’altro l’arte del narrare una storia e siamo convinti che anche per lui sia arrivata la chiamata giusta con “Good Boy”.
L’esperimento che Leonberg compie in questo film, suo debutto alla regia di un lungometraggio, è esattamente quello che, quasi ottant’anni fa, ha attuato lo scrittore Philip K. Dick con “Roog”: immaginare una storia horror raccontandola non dal canonico punto di vista di un essere umano (meglio se una donna, la classica “final girl“) ma da quello di un animale, nello specifico un bellissimo e amorevole golden retriever.
Il punto di vista di Indy apre nuove e inquietanti possibilità
La trama di “Good Boy” è tanto lineare quanto semplice: Todd (Shane Jensen), un giovane affetto da una malattia polmonare cronica, si trasferisce con il suo cane Indy nella casa isolata del nonno recentemente deceduto. L’abitazione sembra tutto tranne un luogo tranquillo con il quale staccare la mente dai problemi della quotidianità. Mentre Todd spera di trovare pace e sollievo, Indy percepisce presenze inquietanti nell’abitazione, tra cui ombre oscure e una figura scheletrica fangosa. Man mano che la salute di Todd peggiora, Indy cerca disperatamente di proteggerlo da forze oscure, affrontando una minaccia oscura e misteriosa che solo lui può vedere.
La scelta di raccontare la vicenda dal punto di vista di Indy conferisce alla pellicola un’atmosfera carica di tensione. Mentre Todd non percepisce il pericolo imminente, il cane ne è terrorizzato anche perché è incapace di avvertire o proteggere il suo padrone. Questo espediente narrativo diventa così uno strumento efficace per esplorare quelle “infinite possibilità” a cui facevamo riferimento parlando del racconto di Philip K. Dick.
Utilizzare la prospettiva del cane permette non solo di esplorare nuovi sentireri narrativi, ma anche di offrire una visione inedita e personale della realtà. Se per noi spettatori la malattia di Todd si manifesta attraverso colpi di tosse convulsi e sanguinolenti, per Indy assume la forma di un’entità oscura e fangosa che incombe sulla casa. Ben Leonberg gioca con questa ambiguità, lasciando al pubblico il compito di decidere: le figure mostruose viste attraverso gli occhi del cane sono realmente fantasmi degli ex abitanti della casa, oppure rappresentano una personale e simbolica interpretazione della sofferenza del padrone ?
Tre anni di addestramento hanno reso Indy un attore
Nei 73 minuti di “Good Boy“, una durata poco superiore a quella di un cortometraggio tradizionale, Ben Leonberg realizza un concentrato di tensione grazie a una regia attenta e sapiente. Le inquadrature privilegiano angolazioni basse sui primi piani espressivi di Indy, in modo da condividere con lo spettatore l’esperienza sensoriale del cane protagonista. In questo modo Indy appare molto più grande di quanto sia in realtà, come hanno spiegato lo stesso Leonberg e la produttrice Kari Fischer (sua compagna nella vita) durante la conferenza stampa di presentazione del film.
La sfida principale per i coniugi Leonberg è stata l’addestramento del cane, un processo lungo e complesso durato tre anni e portato a termine senza il supporto di addestratori professionisti. Il risultato finale è sorprendentemente convincente: le reazioni di Indy sono efficaci perché autentiche, grazie anche all’utilizzo di controfigure per i personaggi umani che nascondevano la presenza dei padroni. Questo espediente spiega perché spesso il volto di Todd non appare inquadrato in maniera nitida.
Le soluzioni semplici sono sempre le migliori
“Good Boy” è come un piatto di spaghetti al dente condito con il pomodoro fresco: una ricetta semplice, fatta con pochi ingredienti ma che restituisce un piatto saporito e appagante. Non siamo di fronte ad un capolavoro e nemmeno al “miglior film horror dell’anno” (quante volte abbiamo letto questo giudizio negli ultimi mesi?). Se non fosse per l’intuizione di rendere protagonista un cane, assisteremmo a un horror che più canonico non si può: una casa infestata dai fantasmi in un bosco lontano dalla civiltà, un passaggio che conduce verso una cantina buia, qualche jumpscare bene assestato. Tutta roba già vista e destinata ad essere dimenticata appena usciti dalla sala.
“Good Boy”è una produzione indipendente e a basso budget che nasce come un cortometraggio sperimentale. È una pellicola che non vuole essere un pretenziosa ma raggiunge agevolmente l’obbiettivo di essere un buonissimo intrattenimento. Per questo motivo sorprende il battage pubblicitario e il passaparola di cui ha beneficiato (95% su Rotten Tomatoes è un risultato notevole), tanto ad arrivare a diventare il film che ha aperto ufficialmente la manifestazione cinefila “Alice nella Città” che si svolge ogni anno a Roma in concomitanza con la Festa del Cinema, una cosa per nulla scontata per un film di genere. Di sicuro, “Good Boy” rappresenterà un trampolino di lancio notevole per la carriera di Ben Leonberg, cosa di cui non possiamo che essere felici.
“Good Boy” arriverà presto sulle principali piattaforme streaming , distribuito da Midnight Factory.

Good Boy
Indy: Indy
Shane Jensen: Todd
Arielle Friedman: Vera
Larry Fessenden: nonno di Todd
Stuart Rudin:
Anya Krawcheck: