Downton Abbey: il Gran Finale – Un addio elegante e commovente

Downton Abbey: The Grand Finale segna l’ultimo capitolo della celebre saga di Julian Fellowes. Un film raffinato, nostalgico ma pieno di speranza, che regala ai fan un commiato emozionante e degno di una delle serie più amate del XXI secolo

Alberica Sveva Simeone
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Julian Fellowes ha sempre avuto un talento particolare nel mescolare l’evasione con l’osservazione sociale, e Downton Abbey, sin dal suo debutto televisivo nel 2010, ha incarnato al meglio questo equilibrio. Più che un semplice period drama, la serie è stata una forma di nostalgia lucidamente costruita: una celebrazione affettuosa e idealizzata dell’aristocrazia inglese del primo Novecento, in cui i conflitti di classe venivano elegantemente attenuati da un senso condiviso di dovere, appartenenza e reciproco rispetto. A Downton, nobili e servitori vivevano non tanto in conflitto quanto in simbiosi, come due facce della stessa medaglia in un mondo che iniziava lentamente a sgretolarsi sotto i colpi della modernità.

In questo universo narrativo, anche i grandi sconvolgimenti – la Prima Guerra Mondiale, la morte, il cambiamento dei costumi – venivano filtrati attraverso una lente di grazia e misura. Niente era mai troppo brutale, nulla veniva lasciato al caos. Tutto accadeva con dignità. Downton Abbey offriva agli spettatori un rifugio ordinato e squisitamente costruito, e in questo senso, è stata una delle forme più raffinate di escapismo televisivo del XXI secolo.

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I primi due film che hanno seguito la conclusione della serie cercavano, forse con troppa ambizione, di trasformare quella formula televisiva in un’esperienza cinematografica a tutti gli effetti, aggiungendo scenari più spettacolari e trame dai toni quasi epici. Ma il cuore di Downton non ha mai risieduto nei colpi di scena o nelle svolte drammatiche, bensì nelle sfumature della vita quotidiana, nelle conversazioni a mezza voce tra le mura della tenuta, negli sguardi silenziosi tra un tè del pomeriggio e una cena di gala.

Ecco perché Downton Abbey: The Grand Finale funziona molto meglio dei suoi predecessori: invece di cercare di stupire, accoglie i suoi spettatori come vecchi amici, offrendo un ultimo, affettuoso sguardo su un mondo che sta per scomparire.

Downton Abbey: The Grand Finale – La storia

La trama si svolge nell’estate del 1930, un’epoca di grandi trasformazioni sociali e culturali. Al centro della storia troviamo Lady Mary Crawley (una sempre raffinata Michelle Dockery), ora divorziata e alle prese con lo stigma sociale che questa condizione ancora comporta nell’Inghilterra dell’epoca. Il suo divorzio non è soltanto un affare privato, ma una ferita che mina la posizione dell’intera famiglia nella buona società.

La rigida aristocrazia provinciale la considera ormai una donna caduta in disgrazia e i salotti che un tempo le erano aperti ora le chiudono la porta in faccia.
Nel frattempo, le finanze dei Crawley sono nuovamente a rischio. Lo zio Harold (Paul Giamatti), ha dilapidato l’eredità materna e si presenta a Londra in compagnia di un socio d’affari ambiguo, Gus Sambrook (Alessandro Nivola). Con la tenuta di Downton che richiede costose opere di modernizzazione, la possibilità che i Crawley debbano vendere la loro residenza londinese aleggia come un’ombra sul futuro della famiglia.

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Il film alterna, come sempre, momenti alti e bassi: i saloni eleganti e i sotterranei brulicanti della servitù, ma lo fa con maggiore sobrietà rispetto ai precedenti capitoli cinematografici. Il regista Simon Curtis orchestra tutto con mano sicura, consapevole di non dover reinventare la ruota, ma di dover piuttosto offrire un’ultima, ben bilanciata sinfonia. Il risultato è un racconto coeso, mai frenetico, che accoglie con affetto i suoi personaggi e li lascia respirare.

Un romanzo d’altri tempi

Uno degli aspetti più riusciti del film è proprio il modo in cui lascia spazio all’atmosfera. Gli eventi si dipanano lentamente, come in un romanzo d’altri tempi. Il passato aleggia sul presente, il fantasma di Violet, la Contessa vedova (la mai dimenticata Maggie Smith), è ovunque, evocato con dolcezza e senza mai cadere nella retorica. Lady Mary, pur ferita, sembra destinata a guidare Downton in una nuova era.

Tom Branson, con la sua posizione a cavallo tra le classi, rappresenta una moderna forma di nobiltà, meno rigida e più aperta. Anche tra la servitù, piccoli cambiamenti cominciano a farsi sentire: alcuni personaggi parlano di pensionamento, altri guardano alle opportunità offerte dalla città.

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La forza di The Grand Finale sta anche nel suo equilibrio narrativo. Dopo gli sforzi quasi acrobatici dei film precedenti di dare spazio a ogni personaggio della nutrita compagnia, Fellowes qui sembra aver accettato la necessità di fare delle scelte. Non tutti sono sempre presenti e alcuni assumono ruoli marginali, ma questa selezione rende la narrazione più agile e centrata. I momenti migliori sono proprio quelli più intimi: un dialogo teso tra Mary e il padre, la malinconia nei gesti misurati di Carson (Jim Carter), ancora ostinatamente legato ai valori di un’epoca che sta finendo, o il sorriso fugace di Lady Edith (Laura Carmichael), finalmente serena nel suo ruolo.

C’è un senso di dolce addio che pervade l’intero film. Ma non si tratta di un addio amaro o nostalgico nel senso negativo del termine. Downton Abbey: The Grand Finale non è un funerale in abiti eleganti, ma un commiato pieno di speranza e gratitudine. Il film non si limita a ricordare il passato, ma suggerisce che, pur con tutte le incertezze, c’è ancora vita nel futuro. E se la tenuta, con i suoi giardini impeccabili e le sue stanze affrescate, dovesse cambiare, forse non è un male: dopotutto, cambiare non significa dimenticare.

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Sì, è stato proprio un Gran Finale

Downton Abbey: The Grand Finale è un ultimo atto degno di una saga che ha saputo conquistare il cuore di milioni di spettatori. Non tenta di essere qualcosa che non è, e proprio per questo riesce a colpire nel segno. È un film pensato per i fan, certo, ma non esclusivo. Anche lo spettatore occasionale potrà apprezzarne l’eleganza, la scrittura raffinata, il ritmo misurato. Ma per chi ha seguito Downton sin dall’inizio, questo è un ritorno a casa. Un saluto composto, affettuoso, e perché no, anche un po’ commovente.

Fellowes e Curtis ci invitano a immaginare cosa accadrà dopo, senza bisogno di mostrarcelo. Lasciando la porta socchiusa, ci permettono di sognare che, da qualche parte, tra le colline dello Yorkshire, qualcuno stia ancora preparando il tè delle cinque.

Downton Abbey: il Gran Finale

Downton Abbey: il Gran Finale

Titolo originale: Downton Abbey: The Grand Finale
Paese: Regno Unito, Stati Uniti d'America
Anno: 2025
Durata: 123 minuti
Regia: Simon Curtis
Soggetto e sceneggiatura: Julian Fellowes
Casa di produzione: Carnival Film, Focus Features
Distribuzione italiana: Universal Pictures
Interpreti e personaggi:
Hugh Bonneville: Robert Crawley, Conte di Grantham
Laura Carmichael: Edith Pelham, Marchesa di Hexham
Jim Carter: Charles Carson
Paul Copley: Albert Mason
Raquel Cassidy: Phyllis Baxter
Brendan Coyle: John Bates
Michelle Dockery: Lady Mary Talbot
Kevin Doyle: Joseph Molesley
Michael C. Fox: Andy Parker
Joanne Froggatt: Anna Bates
Paul Giamatti: Harold Levinson
Harry Hadden-Paton: Herbert Pelham, Marchese di Hexham
Robert James-Collier: Thomas Barrow
Allen Leech: Tom Branson
Phyllis Logan: Elsie Hughes
Elizabeth McGovern: Cora Crawley, Contessa di Grantham
Sophie McShera: Daisy Mason
Lesley Nicol: Beryl Patmore
Douglas Reith: Richard Grey, Barone Merton
Dominic West: Guy Dexter
Penelope Wilton: Isobel Grey, Baronessa Merton
Simon Russell Beale: Sir Hector Moreland
Arty Froushan: Noël Coward
Alessandro Nivola: Gus Sambrook
Joely Richardson: Lady Petersfield
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Classe '78, romana. Coltiva sin da piccola l'interesse per il genere horror e il cinema. Appassionata di cultura pop, film anni '80, amante della città di New York e dei viaggi in generale. È autrice, podcaster e youtuber. Ha pubblicato numerosi racconti e romanzi e scritto diversi soggetti cinematografici e televisivi. È sceneggiatrice di Dylan Dog per Sergio Bonelli Editore e saggista per Odoya Edizioni.
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