Non capita tutti i giorni di avere l’opportunità di poter intervistare una vera e propria leggenda.
Ti prepari, sai che il momento si avvicina, ripassi mentalmente le domande e provi ad aggiustare fino all’ultimo secondo la scaletta che ti sei fatto mentalmente.
Provi a tagliare le domande che ti sembrano più banali, quelle che gli hanno già fatto altre mille volte… ma alla fine ci caschi anche tu, quella cosa che gli hanno già chiesto tanti altri prima di te, alla fine, gliela chiedi pure tu. Ma d’altra parte come fai a non chiedere nulla su Crisi sulle Terre Infinite? Una saga talmente importante da aver cambiato per sempre non solo la continuity DC, ma anche tutti gli altri universi di supereroi.
Se di fronte a te – anche se virtualmente – hai un gigante dei comics come Marv Wolfman, come fai a non chiedergli dei suoi Teen Titans? Oppure di Blade?
Non puoi, ci caschi anche tu. Anche se ti prepari, anche se inizi a pensare che stai per parlare con l’unica persona al mondo (insieme al leggendario George Pérez, ovviamente) che ha sfidato gli X-Men di Chris Claremont con un gruppo di ragazzini su cui nessuno avrebbe scommesso. Le “spalle”, gli aiutanti, la nuova generazione, quelli cresciuti all’ombra del mito.
Ecco, lui e il già citato George Pérez li hanno presi e consegnati alla storia. Hanno cambiato le regole del gioco, hanno distrutto un multiverso e ricreato una sola Terra.
Insieme a Gene Colan, altro talento cristallino, ha scoperchiato la Tomba di Dracula donando al mondo un cacciatore di vampiri unico (e per uno che si chiama letteralmente “Uomo Lupo” non è male), lasciando un’impronta indelebile anche in Marvel.
Ma è in DC che ha fatto la rivoluzione. Ed è stato un grande onore poterne parlare direttamente con lui.
Quando di fronte a te non hai solo un Maestro, ma qualcuno che la storia l’ha scritta e consegnata per sempre alla memoria collettiva… beh, il minimo che puoi fare è sederti e ascoltare. O leggere, come in questo caso.
Signore e signori, su MegaNerd c’è Mr. Marv Wolfman, la leggenda.
Siete pronti a ripassare la storia?
Marv Wolfman
I primi passi nel mondo dei comics
I primi passi nel mondo dei comics
Benvenuto su MegaNerd, Mr. Wolfman, grazie per averci concesso un po’ del suo tempo. Ricorda il momento esatto in cui haa capito che scrivere fumetti poteva diventare una vera carriera, e non solo una passione?
A dire il vero no. Non avevo un “piano B”, quindi ho continuato a insistere finché, quasi senza rendermene conto, è diventato un lavoro vero e proprio. È stata una questione di tenacia e del rifiuto di accettare un “no” come risposta. Io pensavo solo a fare del mio meglio, senza considerare la scrittura di fumetti come una “carriera” in senso stretto.
Quali autori o storie l’hanno influenzata maggiormente nei suoi primi anni, e in che modo queste influenze si sono riflesse nei suoi primi lavori?
Sono davvero tantissimi, impossibile citarli tutti. Ma sicuramente John Broome, Stan Lee, Harvey Kurtzman, Robert Kanigher e molti altri. Tutti scrittori capaci di raccontare emozioni, ed è proprio questo che ho cercato di portare anche nelle mie storie.
Ha lavorato in un periodo in cui il fumetto americano stava passando da una fase più “innocente” a una più “matura”: com’è stato vivere quella transizione in prima persona?
Io ero già su Tomb of Dracula alla Marvel, quindi facevo parte di quelli che stavano spingendo oltre i confini. Ho sempre creduto che i fumetti dovessero essere per tutti: bambini, adolescenti, adulti, uomini e donne. In fondo, i fumetti sono semplicemente l’incontro tra storie e immagini, e non dovrebbero avere limiti di età.

Ha scritto sia per Marvel che per DC nei tuoi primi anni. Dal suo punto di vista, quali erano le differenze culturali e narrative tra le due case editrici in quel periodo?
All’inizio la DC parlava soprattutto ai lettori più giovani, ed era una cosa positiva: offriva un punto d’ingresso per avvicinarsi ai fumetti. La Marvel invece puntava a un pubblico leggermente più grande, ragazzi e adolescenti. Così, chi era partito leggendo DC, poteva continuare a leggere fumetti spostandosi verso Marvel senza abbandonarli. Per me la cosa migliore è stata quando entrambe hanno iniziato a produrre storie adatte a tutte le età. Oggi, fortunatamente, si trovano fumetti per qualsiasi tipo di lettore.
Blade è diventato nel tempo una figura cult del fumetto e un pioniere dei supereroi afroamericani nei media mainstream. Quando lei e Gene Colan lo avete creato per Tomb of Dracula, avevate già in mente di rompere certi stereotipi o è nato più come esigenza narrativa del contesto horror?
No, non stavo cercando di sfidare niente. Quando ho immaginato Blade, l’ho visto subito come un personaggio nero. Non penso mai a “fare una dichiarazione”: per me conta solo quello che funziona meglio per la storia. Non mi sono reso conto che avere un cacciatore di vampiri nero potesse risultare unico, era semplicemente così che lo vedevo e così l’ho scritto.

Crisi sulle Terre Infinite, la saga che ha cambiato tutto
Passiamo ora a uno dei capitoli professionali più importanti della sua carriera: Crisis on Infinite Earths. Un evento unico, mai visto prima, che ancora oggi segna uno spartiacque incredibile nella storia dei comics. Ci racconta come nacque quell’evento, dalle prime idee sino alla stesura finale?
Questa è una domanda che mi fanno spesso (ride). In realtà ho già raccontato il “come e perché” di Crisi nella prefazione del numero 1, e quel testo è sempre stato ripubblicato nelle varie ristampe. Non credo di poter aggiungere molto altro: basta andare a rileggere quella pagina introduttiva.
Qual è stata la sfida più grande nel bilanciare una storia così epica con la necessità di mantenerla accessibile ai lettori?
Questa è una preoccupazione che ho sempre, in qualsiasi storia. Con Crisi ho passato anni a rielaborare la trama, ancora e ancora, per renderla chiara sia ai fan DC che ai lettori Marvel che magari non avevano mai preso un fumetto DC. Volevo attirare nuovi lettori, quindi era fondamentale che fosse facile da seguire, pur restando complessa e stratificata. Il mio motto era: ogni fumetto potrebbe essere il “primo fumetto” di qualcuno. Dovevo assicurarmi che fosse comprensibile a chiunque, non scrivevo per me stesso ma per chi magari non aveva mai letto DC.
Quanta libertà ha avuto per gestire una storia di questa portata, che avrebbe cambiato per sempre il Multiverso, facendolo diventare un solo Universo? Ha avuto delle indicazioni particolari dall’editore?
Le decisioni più grosse – tipo chi doveva vivere e chi doveva morire – dovevano essere approvate da Jenette Khan, che a quei tempi era l’editor-in-chief di DC. Ma per il resto avevo grande libertà. A volte altri editor della casa editrice intervenivano su qualche dettaglio, ma non accadeva spesso.
Quanto lavoro di ricerca c’è stato dietro un progetto di questa portata?
Ci sono voluti anni di studio e pianificazione. Non è il tipo di storia che scrivi in una sola bozza. Abbiamo anche coinvolto Peter Sanderson, un ricercatore di fumetti, per analizzare l’intera biblioteca DC. Alla fine, però, mi resi conto che non avevo bisogno di quel livello di dettaglio perché conoscevo già molto del materiale: da giovane, quando lavoravo alla DC, passavo le pause pranzo leggendo i volumi rilegati nell’archivio. Così abbiamo spostato il lavoro di Sanderson su Who’s Who, dove era davvero utile.

In quella saga sono morti dei personaggi iconici per DC: in primis Barry Allen, che ha sacrificato la sua vita nell’ormai iconica corsa sul tapis roulant, inoltre c’è stata anche la dipartita di Supergirl, altro personaggio molto amato dai fan. Come mai si scelse di non “portare” Barry e Kara nel nuovo Universo (almeno in un primo momento)?
Supergirl fu uccisa perché volevamo ridefinire Superman come l’ultimo figlio di Krypton. Doveva essere unico, non uno tra i tanti kryptoniani. Ho sempre pensato che Kara sarebbe tornata, ma per alcuni anni era importante che Superman restasse l’unico sopravvissuto.
Qual è il suo ricordo più vivido legato a quella saga?
Crisi è stata durissima da scrivere. Era un’opera complessa e sapevamo di avere solo un’occasione per far funzionare tutto l’universo DC. Non ci sono stati molti “bei momenti”, ma tanta fatica. Però, una volta finito, la soddisfazione è stata immensa: il lavoro aveva funzionato.
L’era dei New Teen Titans, una rivoluzione firmata con l’amico George Pérez
Crisis on Infinite Earths è stato senza dubbio un evento epocale (che ha ripercussioni ancora oggi sulla continuity), ma lei in DC ha lasciato un’impronta indelebile anche grazie alla straordinaria serie The New Teen Titans, realizzata con l’immenso George Pérez. Qual era il messaggio o il tema centrale che volevate comunicare attraverso quelle storie?
In quel periodo la DC non aveva molti successi e temevamo che la serie sarebbe stata cancellata dopo pochi numeri. Così io e George decidemmo di farla al 100% come la volevamo noi. Se fosse morta, almeno saremmo stati fieri di ciò che avevamo fatto. Non pensavamo a mandare messaggi: volevamo solo creare personaggi forti e buone storie.
Personaggi come Raven, Cyborg e Starfire sono diventati figure iconiche. Come ha costruito le loro personalità e conflitti interiori, in un’epoca in cui il fumetto supereroistico era ancora legato a stereotipi più rigidi?
Ho passato mesi a ragionare su cosa volevo fare con i Titans. Analizzavo emozioni e poteri di ogni personaggio, per bilanciare il gruppo al meglio. Ho speso sei mesi solo per lavorare sui personaggi e sull’approccio alle storie, prima ancora di proporre la serie a DC. Poi, quando George accettò, tutto salì di livello.
I Teen Titans riflettevano molto i drammi dell’adolescenza e le tematiche della crescita. Quanto c’è di personale in quelle storie?
Non mi piace inserirmi direttamente nei personaggi, ma certo, attingo alle esperienze della vita reale. Non puoi scrivere di un solo punto di vista: deve essere universale. Quindi c’è un po’ di me in diversi personaggi, ma sempre al servizio della storia.
C’è un momento in particolare — una scena, una tavola, una conversazione — che ricorda come particolarmente significativo nella sua collaborazione con Pérez?
È stato tutto bellissimo, quindi al momento non mi viene in mente nulla di preciso.
Pérez era famoso per la sua incredibile attenzione al dettaglio visivo. In che modo il suo stile si combinava con la sua scrittura e viceversa?
George era molto più che “solo” il disegnatore dei Titans. Col tempo abbiamo iniziato a pianificare le storie insieme, per assicurarci che trama e immagini funzionassero in perfetta armonia. Inoltre, entrambi eravamo molto attenti ai dettagli: sia su chi fossero i personaggi, sia su come renderli al meglio sulla pagina.
George Pérez riusciva a mettere in una sola tavola tutti i personaggi del mondo, trattandoli tutti con la stessa, impressionante cura. Sapendo questa cosa, quanto si divertiva lei come scrittore a mettere sempre più personaggi in una sola storia?
Era divertente sfidarci a vicenda in quel modo. Ci costringeva entrambi a dare il massimo, per ottenere il miglior fumetto possibile.
Se dovesse individuare un solo punto i forza nella sua gestione dei Teen Titans (sia con Pérez che negli anni successivi con altri artisti, come il bravissimo Tom Grummett), quale pensa possa essere?
In poche parole: lo sviluppo dei personaggi. Se i tuoi personaggi non sono interessanti, nessuno si interesserà alle storie. I personaggi vengono sempre prima di tutto.

Cosa rendeva il lavoro con Pérez così unico e stimolante dal punto di vista creativo?
Eravamo amici e avevamo la stessa idea di cosa fosse un buon fumetto. In tutti quegli anni non abbiamo mai litigato. Ci rispettavamo e, se qualcosa non convinceva, la buttavamo via e trovavamo insieme un’idea migliore. Nessun ego, solo la voglia di fare il miglior fumetto possibile.
Guardando alla sua carriera, quali sono i progetti meno noti di cui è particolarmente orgoglioso e che pensa meritino maggiore attenzione?
Sì, Night Force. È uno dei lavori a cui sono più legato.
Il rilancio di Superman negli anni 80
Il 2025 è stato definito “l’anno di Superman”, grazie al nuovo film di James Gunn che ha riportato i riflettori sul personaggio. Cosa ne pensa di questa nuova versione cinematografica dell’Uomo d’Acciaio?
Mi è piaciuto molto il film. Gunn e il suo team hanno capito davvero chi è Superman e credo che lo abbiano reso perfettamente.
Lei è stato una delle voci fondamentali nel rilancio di Superman dopo Crisis on Infinite Earths. Da un lato c’era John Byrne con Superman e dall’altro lei con The Adventures of Superman, inizialmente disegnata da Jerry Ordway. Come ha affrontato la sfida di riscrivere la storia di un eroe così iconico? E quanto lavoro richiede un rilancio di questa portata?
Alcuni autori vedono solo il “Super” in Superman, io invece ho sempre visto prima di tutto l’uomo. Le primissime storie di Superman, negli anni ’30 e ’40, lo mettevano alle prese con problemi molto umani: politici corrotti, gangster, mariti violenti, calamità naturali e così via. Io volevo tornare a quel tipo di approccio, cercando al tempo stesso di rendere le storie più realistiche, non soltanto incentrate sullo scontro con i super-cattivi.
Uno degli aspetti più apprezzati della sua gestione, almeno dal mio punto di vista, è il modo in cui ha messo in risalto l’umanità di Superman. Anche i personaggi che ruotavano intorno a Clark Kent avevano un ruolo chiaro, voci distinte e personalità riconoscibili. Quanto lavoro c’è stato dietro la costruzione di questo mondo più ampio attorno a lui?
Già prima che John iniziasse a scrivere le sue serie, io stavo lavorando su Superman e mi piaceva esplorare nuove aggiunte al cast, ampliando la sua vita oltre lo scontro con i nemici. Superman ha sempre avuto un ottimo cast di supporto che lo mantiene con i piedi per terra, e io volevo aggiungere nuovi elementi a quel mondo.
Lei e John Byrne avete lavorato in parallelo, ridisegnando Superman per una nuova generazione. Quanto dialogo c’è stato tra voi? Viste le uscite in contemporanea, sembrava quasi inevitabile che ci fosse un confronto costante, anche se affrontavate temi diversi.
In realtà non ricordo se abbiamo parlato molto. I miei contatti erano soprattutto con i miei editor, Mike Carlin e Andy Helfer. Io sapevo esattamente come volevo scrivere Superman, e per fortuna eravamo tutti d’accordo su come rendere le mie storie e quelle di John diverse, ma allo stesso tempo coerenti.
Gli anni ’80 sono stati un momento di svolta per i fumetti supereroistici. Dopo Crisis on Infinite Earths, i personaggi DC sono stati riletti con sfumature più mature e consapevoli. In questo contesto, lei ha portato Superman ad affrontare la nazione fittizia di Qurac in Adventures of Superman #427, una storia che mescola tensioni geopolitiche, conflitti interiori e riflessioni sul ruolo dell’eroe. Temi decisamente innovativi per l’epoca. Come sono nate quelle storie?
Vorrei avere una risposta precisa, ma la verità è che io consegnavo le mie storie ad Andy e Mike. Se avevano delle osservazioni, me le davano e poi scrivevo la sceneggiatura definitiva. Io ero interessato a storie più “terrene”, mentre John preferiva grandi saghe epiche tra eroi e villain. Credo che offrire ai lettori due approcci diversi abbia reso le due testate fresche e interessanti, permettendo di esplorare aspetti differenti della vita di Superman.
Facciamo un salto al 2006, quando la DC le chiese di scrivere una storia per Superman: Confidential, una serie antologica che raccontava momenti diversi della vita dell’Uomo d’Acciaio. Quella storia, disegnata magnificamente da Claudio Castellini, rimase inedita per oltre dieci anni. Quando ho letto Man and Superman sono rimasto colpito dalla sua profondità: racconta le origini dell’eroe da un punto di vista del tutto inedito. Com’è nata quell’idea?
Come sempre, mi piace raccontare storie di persone “reali”. Non volevo scrivere un racconto basato solo sui combattimenti. Il giovane Clark Kent è cresciuto nella fattoria dei Kent: Ma Kent faceva la spesa e cucinava, Pa Kent pagava le bollette e lavorava i campi. Clark andava a scuola. Ma, come per tutti nella vita reale, c’è una grande differenza tra imparare qualcosa a scuola e trasferirsi in una grande città come Metropolis: affittare un appartamento, comprare il cibo e cucinarlo, rendersi conto che serve un lavoro per pagare l’affitto, e così via. Io volevo raccontare la storia di un giovane Clark che impara cosa significa cavarsela da solo per la prima volta.
I suoi poteri non potevano insegnargli a cucinare o a gestire le spese, non potevano garantirgli un lavoro. Ed è proprio questo che mi interessava mostrare.
Ieri, oggi e domani
Nel tempo, il medium del fumetto è cambiato radicalmente: come si è adattato al cambiamento e cosa pensa dell’evoluzione della narrazione grafica?
Se non evolvi, ristagni. I tempi cambiano, i lettori cambiano: bisogna restare al passo.
Ha scritto anche per videogiochi, serie animate e romanzi. Come cambia il suo approccio creativo passando da un medium all’altro?
Metto sempre i personaggi al primo posto, qualunque sia il mezzo. Poi devo solo capire come funziona quello specifico linguaggio e adattarmi.
Se potesse parlare con il “giovane Marv” degli anni ’70, cosa gli direbbe – sia come autore che come persona?
Di avere più pazienza.
Legge ancora fumetti oggi?
Non quanto prima. Ma se qualcosa mi viene molto consigliato, lo leggo. E penso che oggi ci siano alcuni dei migliori sceneggiatori di sempre.
Qual è l’eredità che spera di lasciare nel mondo del fumetto, al di là dei personaggi e delle storie?
Che ho amato profondamente scrivere fumetti. E che, riuscissi o meno, ho sempre dato il massimo.
L’ha fatto eccome, Mr. Wolfman. Perché se oggi amiamo così tanto i fumetti, è anche grazie a lei.
A nome di tutta la redazione di MegaNerd un sentito ringraziamento per questa intervista, che ha accettato di fare con grande entusiasmo e di cui le saremo sempre grati.