Quando lavori con i migliori, sei destinato a diventare uno di loro. E l’artista che abbiamo avuto l’onore e il privilegio di intervistare lo è sicuramente.
David Marquez è un autore dal talento ineccepibile e lo dimostrano gli innumerevoli lavori che hanno caratterizzato sino ad oggi la sua carriera nel campo dei comics. Con il suo tratto ha contribuito a rendere iconico uno dei personaggi Marvel più apprezzati creati negli ultimi vent’anni: quel Miles Morales/Spider-Man dal successo eclatante, che ha dato la possibilità di identificarsi a chi prima non si sentiva abbastanza rappresentato.
Ha disegnato, tra l’altro, letteralmente tutto l’universo della Casa delle Idee nella seconda Guerra Civile dei supereroi Marvel. Ma anche in DC, David è stato protagonista su alcune delle serie più importanti: non si disegna Batman/Superman, Justice League e Batman: Killing Time se non si ha l’assoluta fiducia da parte della casa editrice.
Ora David è tornato in Marvel e, complice una considerevole maturazione artistica raggiunta, sta dando un contributo ancora più significativo all’interno del mondo mutante insieme a Gail Simone su Uncanny X-Men, tra le serie migliori dell’era Post- Krakoa, creando personaggi che stanno entrando letteralmente nei cuori degli X-fan.
Ma come abbiamo detto poco sopra, quando lavori con gente del calibro di Brian Bendis, Tom King, Gail Simone, ecc.. diventa difficile non far propri gli insegnamenti di alcuni tra i migliori scrittori che il mondo dei comics può offrire al giorno d’oggi.
E per questo oltre ad aver chiacchierato con David di quella che è stata ed è tutt’ora la sua carriera da artista, abbiamo anche parlato del suo esordio come autore unico nel suo progetto ‘stand alone’ (o più correttamente creator owned) dove ha potuto finalmente mettere giù quell’idea che gli ronza in testa da 10 anni e che per Image Comics ha visto finalmente la luce negli Stati Uniti a luglio: The Unchosen.
Oltre alla classe, voglio ringraziare personalmente David Marquez per l’entusiasmo e la passione con cui ha raccontato tantissimo della sua carriera e dei suoi progetti ai microfoni di MegaNerd.
Beh, come potete vedere anche questa volta di carne al fuoco ce n’è davvero tanta. E allora lasciamo spazio alle parole di uno dei più importanti autori degli ultimi anni del fumetto internazionale: signore e signori su MegaNerd, Mr. David Marquez!
Intervista a David Marquez
Amiche e amici di MegaNerd, è con noi un grande artista del panorama internazionale dei comics: David Marquez. Grazie mille David, è un onore averti ospite su MegaNerd. Da oltre 15 anni sei uno dei disegnatori più apprezzati del panorama fumettistico statunitense ma la tua carriera ha avuto inizio nel campo dell’animazione con A Scanner Darkly. Cosa ti ha portato a lasciare l’animazione per concentrarti sul fumetto?
David Marquez: Prima di tutto, grazie per aver trovato il tempo di parlare con me. Quindi… i fumetti sono sempre stati il mio primo amore e la mia priorità. Ho accettato il lavoro nell’animazione perché è stata un’opportunità lavorativa. In quel momento non lavoravo affatto nei fumetti.
Andavo all’università e avevo altri amici che erano artisti ad Austin, in Texas, dove vivevo allora e dove vivo ancora oggi. È stato grazie a loro che ho saputo di questo film in lavorazione, e molti dei miei amici stavano facendo i provini. Ho pensato, “Beh perché non provarci?”.
Non studiavo arte, ma storia e scienze politiche. Forse sarei diventato insegnante, ma per hobby era tutta la vita che disegnavo. Ho fatto il provino e ho ottenuto il lavoro.
E sono stato animatore solo per quel progetto. Non avevo una formazione in animazione. La maggior parte degli animatori di A Scanner Darkly, non erano animatori tradizionali, ma artisti che avevano imparato ad animare usando il software sviluppato appositamente per quel progetto.

Terminata quell’esperienza, sono tornato subito a cercare di lavorare nei fumetti. Ci sono voluti anni prima che diventassi un professionista, ma sia prima che dopo A Scanner Darkly, il mio obiettivo sono sempre stati i fumetti.
In Marvel hai lavorato su Fantastici Quattro, Iron Man, X-Men e hai disegnato, praticamente, tutti i supereroi della Casa delle Idee in Civil War II. Ma il tuo nome è legato indelebilmente a Miles Morales, il personaggio originale Marvel più importante degli ultimi 20 anni. Quando hai cominciato a lavorarci sopra avevi la sensazione che, nonostante il personaggio fosse nuovo, avesse un potenziale enorme?
Sì, assolutamente. Fin dall’inizio il personaggio mi sembrava molto potente e semplice da connettere con il lettore, ed era qualcosa di fresco. Sembrava un personaggio perfetto per i tempi.
Amo anche Peter Parker, ma era bello vedere qualcosa di nuovo nelle storie di Spider-Man. Quello che mi ha davvero fatto capire quanto Miles Morales fosse importante è stato andare alle convention, dove tanti giovani lettori, spesso afroamericani o ispanici/latinoamericani, mi dicevano quanto fosse significativo per loro vedersi rappresentati fisicamente in un personaggio. Non gli era mai successo prima. E questa cosa mi ha colpito profondamente. Ancora oggi mi emoziono pensando a tutto questo.

Nessuno di noi pensava che Miles Morales sarebbe diventato un nome conosciuto in tutto il mondo, ma grazie ai film [animati della Sony, n.d.r.] ora tutti sanno chi è Miles.
All’epoca, era evidente che i giovani lettori erano davvero attratti da lui in modo personale. Poi, con l’uscita del film, è stato chiaro che non si trattava solo di fan dei fumetti.
È incredibile, per me, aver preso parte alla crescita di un personaggio che in soli dieci anni ha avuto un impatto così grande su tutti i media, non solo sui fumetti.
Hai sentito qualche pressione a sostituire Sara Pichelli alle matite e a lavorare su un personaggio inizialmente criticato dagli Spider-fan perché ..sotto la maschera di Spider-Man non c’era Peter Parker?
Assolutamente. Mi sono sentito ‘intimidito’, inizialmente. Sai, Sara era ancora abbastanza nuova nel campo, ma stava già diventando una superstar quando io ero agli inizi. Quindi ero molto teso quando ho dovuto sostituirla.
Avevamo, in quel momento, stili abbastanza simili, e solo successivamente abbiamo preso direzioni diverse. Pensavo che i nostri stili fossero abbastanza vicini da non disturbare i lettori, che avrebbero trovato continuità nel fumetto.

Riguardo alle critiche: negli Stati Uniti le più dure erano di natura politica o razziale, e arrivavano dai media più che dai lettori. Dai fan, in realtà, ho ricevuto tanti feedback positivi.
Brian Bendis, che ha co-creato Miles con Sara ed è anche un mio caro amico, dice sempre che non gli dava fastidio, perché le persone arrabbiate con Miles non erano i lettori del fumetto.
Chi leggeva il fumetto lo adorava, quasi universalmente. E questa è stata anche la mia esperienza. Ci saranno sempre persone a cui non piace quello che fai. A volte non gli piace per motivi sbagliati. Il nostro compito era raccontare la storia migliore possibile e fedele al personaggio di Miles.
E chi avesse sentito sua quella storia, avrebbe trovato il fumetto. Molti l’hanno trovato e lo hanno amato.
Miles non è una tua creazione, ma credo che visivamente tu lo abbia reso iconico tra i fan con la tua interpretazione. Ecco.. se Steve Ditko ha co-creato Peter Parker/Spider-Man, ma è John Romita Sr. ad avere realizzato stilisticamente l’icona, per Miles mi piace pensare che tu abbia avuto un ruolo simile a quello di Romita Sr. per l’originale Arrampicamuri. Cosa ne pensi?
David Marquez: È un enorme complimento. Grazie mille.
Mi sento sempre un po’ a disagio quando mi si paragona a persone che mi hanno influenzato parecchio. John Romita Sr. è stata una grande influenza. Non mi considero al suo stesso livello, ma quel paragone è molto lusinghiero. Grazie.

Capisco anche quello che intendi con due artisti che danno interpretazioni diverse di un personaggio, e uno diventa magari più riconoscibile. Brian Bendis ha detto la stessa cosa, e anche questo mi metteva a disagio.
Ho passato molto tempo a disegnare Miles, e Sara sarà sempre la creatrice di Miles, mentre io sarò sempre uno degli altri artisti che hanno lavorato a lungo con lui.

Lei ha avuto un ruolo davvero importante nel definire l’identità del personaggio. Come succede con tutti questi personaggi condivisi, come Miles, Peter, ecc.. tutto ciò che vogliamo davvero fare è aggiungere qualcosa di significativo alla loro storia. E penso di esserci riuscito.
Ho passato tanto tempo con Miles. Ho raccontato molte storie importanti su di lui e… sai, sento sicuramente un senso di… “proprietà” non è la parola giusta, ma sono consapevole del contributo che ho dato e ne sono orgoglioso.
E sono onorato di far parte dell’eredità di un personaggio che ora è così popolare, ma è un’eredità che condivido con molti altri autori.

Hai accennato prima ai film animati di Spider-Man con protagonista Miles Morales. Ti sono piaciuti i due film realizzati da Sony? Ritrovi un po’ del tuo Miles in questi film?
David Marquez: Un po’, sì. Non ho partecipato alla produzione del film, ma Brian Bendis ha lavorato al primo e diceva che quando visitava gli studi, vedeva ovunque le illustrazioni di Sara e quelle mie. Quindi so che hanno preso molto dai fumetti che abbiamo creato.
E vedo dei dettagli nei suoi movimenti, nei suoi atteggiamenti, influenzati da ciò che abbiamo fatto. Allo stesso tempo, il Miles del film è un personaggio unico, un po’ diverso da quello dei fumetti, e penso che questo sia una cosa buona. È giusto che abbiano dato una loro interpretazione.
È ispirata ai fumetti, ma è anche originale e unica.
Ma, rispetto ai film, vedo molto di più il mio lavoro nel videogioco di Miles Morales [Spider-Man: Miles Morales della Sony del 2020 n.d.r.], dove ci sono dettagli nel costume che ho introdotto io, certe pose e il modo in cui sono disegnate le ragnatele. Più di una volta nel videogioco ho esclamato: “Ah, è così che disegno le ragnatele!” o “Quella posa è di quell’albo!”.

Quindi quello è letteralmente dove ritrovo più del mio lavoro sullo schermo. Vorrei poter dire di riconoscere la stessa quantità di influenza nel film, ma lì è più sottile. Nel videogioco è chiarissima. Sono comunque entrambi molto belli, ognuno a modo suo.
Ultima domanda su Miles Morales: negli ultimi tempi sembra che il personaggio debba ritrovare un po’ la sua identità; è passato da un Universo Ultimate a Terra-616 e ora con Ultimate Spider-Man: Incursion finirà nel nuovo Ultimate Universe. Sembra che Marvel debba capire che posto dargli. Secondo te c’è qualcosa di cui avrebbe bisogno Miles Morales oggi?
David Marquez: È una domanda difficile. Non voglio ‘pestare i piedi’ a chi lavora attualmente sulla serie.
Forse il modo migliore per rispondere è parlare del problema creativo che Miles si porta dietro, come ogni personaggio “legacy”.
È lo stesso discorso, ad esempio, di Sam Wilson che diventa Capitan America: il confronto con chi portava precedentemente lo stesso nome del personaggio, che sia Spider-Man, Capitan America, Batman, o chiunque altro.

Per la maggior parte delle persone, Steve Rogers sarà sempre Capitan America e Peter Parker sarà sempre Spider-Man.
Nel caso di Dick Grayson quando è stato Batman [nella run di Grant Morrison, Batman R.I.P. n.d.r.], è stato difficile scrollarsi di dosso l’ombra di Bruce Wayne.
Il problema con Miles è che, da un lato, finché porterà il nome di Spider-Man, ci sarà sempre il confronto con Peter, ed è qualcosa di inevitabile.
Cambiare il suo nome in qualcosa che non sia Spider-Man è anche complicato, perché… lui è Spider-Man!

Quando è diventato Spider-Man [nel primo Ultimate Universe dopo la morte di Peter Parker n.d.r.], era l’unico Spider-Man di quel mondo.
Quando c’è uno Spider-Man e ne aggiungono un altro e poi un altro ancora… diventa difficile affrontare questa sfida e può diventare un problema.
Forse Jonathan Hickman lo risolverà. È il tizio più intelligente dei fumetti, lo risolverà lui. Ma è complicato.
Nei cartoni animati, ora Miles si chiama Spin. Forse quella è la soluzione. I miei figli conoscono Miles Morales come Spin, quindi può darsi che per i bambini che stanno crescendo adesso guardando questi cartoni animati, e che conoscono il personaggio con questo nome, sia semplicemente così.

Per la mia generazione resterà sempre questa cosa un po’ strana: è Spider-Man? Non lo è? Come la gestisci?
Per i bambini sarà semplicemente: “Ah sì, Peter è Spider-Man e Miles è Spin.” E sarà così. Forse questa è la soluzione. Bisogna solo dargli tempo.
Marvel è famosa per i crossover e gli eventi corali. Come gestisci la complessità narrativa e visiva di storie in cui convivono decine di personaggi, ognuno con la propria estetica e presenza scenica?
David Marquez: È una sfida, e richiede giornate lunghe, tante ore e tanto disegno.
Una parte importante è avere tanti riferimenti su come altri artisti hanno affrontato quei personaggi.
Poi, parlando del grande evento che ho fatto in Marvel, Civil War II, ho lavorato di nuovo con Brian Bendis, che conosco molto bene.
Brian ama le scene con tanti personaggi insieme che parlano e agiscono, tutti contemporaneamente, in modi molto specifici per ognuno di loro. È molto difficile riuscire a far entrare così tante informazioni in una singola pagina.
Ho dei raccoglitori pieni di esempi di altri artisti che hanno lavorato con Brian, così li posso guardare e pensare: “Oh, Dio, come diamine ha fatto qualcuno a farci stare tutto questo in una singola pagina?” [risata n.d.r.]

Vado a rivedermi Stuart Immonen, Michael Avon Oeming, Alex Maleev, John Romita JR., e vedo come hanno affrontato loro la stessa sfida.
Questo fa parte del lavoro: guardare non solo come altri artisti o altri fumetti hanno gestito quei personaggi, ma anche come hanno gestito una sceneggiatura di Bendis, perché c’è un sacco di roba da far entrare. Si tratta di tanto e duro lavoro, anche un po’ ‘barando’ guardando come altri hanno risolto il problema, ma, ovviamente, ho i miei trucchetti.
In Marvel si lavora spesso sotto ritmi serrati. Come riesci a mantenere una qualità così alta pur rispettando le scadenze editoriali?
Anche questa è una sfida, che si basa su tante ore di lavoro. Poi, dipende molto anche dal progetto.
Su alcuni progetti sono coinvolto solo per cinque numeri, e, in quel caso, ho tempo di lavorarci da molto prima che il fumetto venga effettivamente pubblicato. In questa maniera me la posso prendere un po’ più comoda, per portarlo a termine.
Altri progetti, come Uncanny X-Men, su cui sto lavorando ora negli Stati Uniti, escono a ritmo di 18 numeri l’anno e io non sono così veloce. Anche se un tempo ero più veloce rispetto a ora, non sarei comunque stato in grado di essere così rapido da realizzare 18 numeri l’anno!

Una cosa importante che si impara facendo questo lavoro, è dire di no. Con questo voglio dire che potrei provare ad ‘ammazzarmi’ per disegnare un numero ogni tre settimane, ma devo dire di no perché… è semplicemente troppo.
Se devo disegnare 20 copertine in un mese, non riesco a finire gli interni. Quindi saper dire di no è una parte fondamentale.
E poi, semplicemente, cerco di comunicare chiaramente con Marvel, capendo cosa gli serve e cosa posso effettivamente fare. Poi si arriva insieme a una soluzione: se non riesco a fare 12 numeri quest’anno, quali sono gli 8/10 numeri che posso fare?
Inoltre per me è importante, per quanto possibile, raccontare una storia completa, in modo che anche l’artista che si dovrà occupare della storia successiva abbia una storia intera da disegnare, cosicché io possa poi occuparmi di quella dopo. È così che troviamo un equilibrio.
Tra Marvel e DC hai lavorato su molti personaggi e diverse serie. Qual è stato il progetto che si è rivelato un successo sorprendente per te, e quale, invece, pensavi sarebbe stato enorme e non si è rivelato tale? Sempre se, in quest’ultimo caso, ritieni ce ne siano!
David Marquez: Oh, questa è davvero difficile.
Torno un attimo su Miles Morales, che forse è l’esempio più facile a cui posso pensare. Ho avuto un’opportunità mentre stavo lavorando su Miles.
Ho lavorato su Miles per tre, forse quattro anni, disegnando circa 30 numeri e ho anche disegnato un paio di numeri di All-New X-Men più o meno nello stesso periodo, sempre con Brian Bendis.

Ecco… avevo la possibilità di lasciare Miles per lavorare su All-New X-Men o su un altro progetto ad alto profilo che, in quel momento, probabilmente avrebbe venduto più copie di quanto stesse vendendo Ultimate Spider-Man. La testata di Miles stava andando bene, ma All-New X-Men andava molto, molto bene.
Alla fine sono rimasto su Miles. A quel tempo ho pensato “Okay, magari guadagno un po’ meno lavorando a questo progetto, ma per me ha un significato importante”.
Andiamo avanti rapidamente di circa 10, 15 anni: Miles è letteralmente ‘esploso’ come popolarità, grazie ai film e tutto il resto. Non solo ho lavorato su un progetto che già allora per me era molto importante, ma oggi quei fumetti continuano a vendere davvero bene in un modo che allora non avrei mai potuto immaginare.
Questa è la risposta più sincera che posso darti.
Tutto il resto… beh, The Defenders non ha venduto nemmeno lontanamente quanto avremmo voluto. Quel fumetto sembra quasi maledetto.
Ma in generale, onestamente, sono stato molto fortunato a lavorare su tanti fumetti di successo, e spero di continuare così.

Capitolo DC: hai lavorato su progetti che coinvolgevano i pesi massimi: Batman/Superman, Batman: Killing Time, Justice League. Su quale progetto ti sei divertito di più e su quale personaggio ti piacerebbe ritornare per disegnarlo ancora?
Mi sono piaciuti tutti e tre i progetti. Batman/Superman l’ho davvero adorato. Quello che posso fare, è raccontarti cosa mi è piaciuto di ciascun progetto.
Con Batman/Superman mi sono davvero divertito a far parte della trama principale dell’Universo DC di quel momento, legata al Batman che Ride e tutto il resto.
Era una storia un po’ più cupa rispetto a quello che volevo raccontare in quel periodo. Mio figlio aveva meno di un anno quando ci lavoravo, e il mio stato mentale all’epoca era più “tutto è carino e coccoloso”. [risata n.d.r.]
Quindi non avevo la testa per le atmosfere del Batman che Ride, ma dovevo disegnare cose orribili per lavoro. Però è stato divertente poter giocare nel cuore dell’Universo DC. Quello è stato davvero bello.

Con Justice League è stato fantastico, perché ho disegnato tutti i personaggi più iconici. Però sento che, su quel titolo, non siamo mai riusciti a trovare veramente il nostro ritmo.
Abbiamo fatto una storia insieme, io e Brian [Bendis n.d.r.], e poi lui ha avuto altri progetti su cui lavorare e io mi sono stato spostato su Batman: Killing Time. Volevo fare una storia di Batman che fosse solo mia, quindi ho accettato quell’offerta.
Però Justice League mi piacerebbe avere l’opportunità di rifarla, in un momento in cui non fossi distratto dalla voglia di fare una storia di Batman.
Batman: Killing Time era una storia del Cavaliere Oscuro. Ho potuto fare una miniserie di sei numeri tutta mia con Tom King, uno scrittore con cui volevo lavorare da tempo, e Alejandra Sánchez, che è davvero una colorista incredibile.
È stata una storia molto interessante e, in un certo senso, anche atipica per Batman, perché è un fumetto sul Cavaliere Oscuro, ma è una storia anche su Catwoman e l’Enigmista, forse anche più di quanto lo sia sullo stesso Batman. È stato interessante.

Mi piacerebbe fare, un giorno, una storia di Batman più concentrata solamente su di lui.
Questi sono gli aspetti che ho amato di ciascun progetto e le frustrazioni che ho avuto su ognuno di essi, però mi sono divertito molto a lavorare con tutte le persone con cui ho collaborato, dagli scrittori ai coloristi coinvolti.
E ho potuto disegnare tantissimo Batman, in effetti. A pensarci, Batman è presente in tutti e tre i progetti, quindi posso dire di averlo spuntato dalla mia lista dei desideri.
Hai parlato di Brian Bendis e Tom King, due scrittori che adoro. Visto che hai lavorato con entrambi, hanno qualcosa in comune nel modo in cui si interfacciano con l’artista? Perché in King io rivedo uno sceneggiatore simile al giovane Bendis.
Sì, sì, capisco cosa intendi… La mia esperienza, lavorando con loro due, è stata molto diversa.
Brian sicuramente scrive pensando all’artista. Con lui, innanzitutto, avevo già lavorato per dieci anni quando abbiamo fatto Justice League insieme. Abbiamo istinti narrativi molto simili.
Vogliamo raccontare le storie nello stesso modo. Quindi non dobbiamo parlarci troppo per capirci su cosa vogliamo fare. Non c’è quasi mai incomprensione tra di noi. E lui mi coinvolge sempre nella conversazione chiedendomi “che tipo di storia vogliamo raccontare?”
Tom, invece… ha un’idea molto chiara di quello che vuole e lo mette su carta, ma non ti ostacola mai. È sempre curioso di vedere cosa farà l’artista con il copione, però ha una storia, la mette nero su bianco e poi te la affida. È un approccio diverso.
Anche lui è un ottimo sceneggiatore con cui lavorare; molto amichevole e aperto ai cambiamenti, se l’artista ha delle idee. Ma lui parte sempre dal concetto: “Questa è la storia che voglio raccontare, e sono curioso di vedere cosa ne farai tu.”

Brian Bendis è forse lo scrittore con cui hai lavorato di più nella tua carriera fino a questo momento. Ci puoi raccontare un aneddoto personale se c’è, su colui che ritengo uno dei più grandi storyteller moderni di comics?
David Marquez: Sì, sì, ce l’ho. Oltre ad aver lavorato insieme per tanto tempo io e Brian, siamo anche molto amici, così come le nostre famiglie. Abbiamo vissuto nella stessa città e spesso cenavamo e uscivamo insieme.
Brian è sempre uno che racconta storie, aneddoti e fa battute. Mia moglie scherza sul fatto che ripeta spesso le stesse storie e quindi a un certo punto lei si sposta a chiacchierare con sua moglie quando capisce che quell’aneddoto l’ha già sentito più e più volte.
Comunque, ti racconto questo episodio: quando stavamo lavorando su Iron Man, c’è stato il momento con Tony Stark e Doctor Strange e la famosa scena dei “fratelli di baffo perfetto”.

Non so se Brian se lo ricorda, ma un paio d’anni prima, forse un anno, a cena gli avevo fatto una battuta: “Dovremmo mettere dentro Doctor Strange, hanno entrambi i baffi, sarebbe divertente.” Non ne ha più parlato.
Poi però vedo quella scena finire nel fumetto. Entrambi hanno i baffi ed è una cosa evidente e divertente. Non sono l’unico ad averlo notato! [risata n.d.r.]
Non so se lui ricorda quella conversazione o meno, ma mi piace pensare che sia stata una mia idea e che gli sia rimasta in testa, anche se non ha mai detto: “Oh sì, è una grande idea.”

Attualmente in Marvel lavori su Uncanny X-Men con Gail Simone. Questo, però non è il tuo primo incontro con i mutanti di Xavier. Insieme a Bendis hai disegnato qualche numero di All New X-Men. Si parla di lavori con due autori differenti e soprattutto con una situazione mutante dell’epoca molto diversa rispetto a quella attuale. Visto il tuo passato su All New, ti sei approcciato in maniera diversa sulla serie Uncanny X-Men?
David Marquez: In modo molto, molto diverso. Da un lato, sia Gail che Brian condividono certi istinti narrativi; per entrambi, il personaggio è sempre la cosa più importante.
Anch’io vedo la narrazione nello stesso modo: il personaggio viene sempre prima di tutto.
In altre parole mi pongo queste domande: provo qualcosa per i personaggi? Credo nelle scelte che fanno? Le loro decisioni fanno andare avanti la storia? Entrambi approcciano la narrazione in questo modo e i loro stili narrativi funzionano entrambi molto bene sugli X-Men.

La differenza è che su All-New X-Men ero un artista ospite, su Uncanny X-Men sono l’artista che ha lanciato la serie, nonché quello principale. Quindi ho potuto definire dall’inizio come sarebbe stato visivamente il fumetto.
Quando su Uncanny ci sono altri artisti o, in futuro, quelli che arriveranno dopo di me, lavoreranno in un mondo che ho cominciato a costruire io, con i miei costumi e i miei ambienti. Poi loro aggiungeranno cose, e io ruberò a mia volta da loro quando avranno buone idee. [risata n.d.r.]
Questa è stata la grande differenza tra i due lavori: poter stabilire io le regole fin dall’inizio [su Uncanny X-Men n.d.r.].
Anche la formazione del team è diversa. In All-New X-Men c’erano i cinque X-Men originali che arrivavano nel presente. Erano personaggi giovani, ma con delle caratteristiche ben precise.
Qui invece stiamo creando tanti personaggi nuovi. Anche questo è diverso: sto contribuendo a creare un nuovo gruppo di X-Men, mentre su All-New non era così.
Ho letto una divertente intervista che ti ha fatto Gail Simone a proposito del tuo ultimo lavoro, The Unchosen, di cui parleremo dopo. Mi sembra ci sia molto entusiasmo e feeling tra voi due. Se è vero, quanto è importante questo per entrambi e per il lavoro che state facendo?
David Marquez: In generale sono stato fortunato a non aver avuto mai brutte esperienze con gli autori con cui ho collaborato.
La maggior parte degli scrittori e coloristi con cui ho lavorato nei comics sono persone per bene, e abbiamo sempre cercato di fare bei fumetti insieme. In alcuni casi siamo diventati anche grandissimi amici, in altri siamo rimasti semplicemente in buoni rapporti.
Con Gail sento un legame forte, a livello umano. Abbiamo una collaborazione molto stretta su questo progetto. Lei è calorosa, generosa, divertente, tiene ai personaggi, ai fan e ai lettori. Sono tutte cose che la descrivono molto bene e che rendono facile lavorare con lei.
La penso anch’io allo stesso modo su quanto sia importante essere questo tipo di persona e penso che tutto questo si rifletta nel prodotto finale.

Quando sono entrato su Uncanny X-Men, ho mosso alcune critiche costruttive su quello che, secondo me, rende un fumetto degli X-Men, un buon fumetto degli X-Men.
Abbiamo avuto un confronto molto aperto e lei mi ha coinvolto per aiutarla a scegliere la direzione che volevamo entrambi per la serie. E’ stata un’esperienza fantastica e continua a esserlo.
In America abbiamo appena finito un arco narrativo di quattro numeri chiamato Dark Artery [mini-saga che inizia su Uncanny X-Men #13 in uscita su Gli Incredibili X-Men # 10 di agosto n.d.r.] ed è una storia degli X-Men molto legata all’horror, genere di cui siamo entrambi fan.
Quell’intera trama è nata da una conversazione che io e Gail abbiamo avuto su cose che non avevamo mai visto fare agli X-Men.
Abbiamo parlato e deciso: “Sì, ci divertiremmo sicuramente a raccontare insieme una storia così”. Lei ha scritto quella storia, io ho contribuito con le mie idee, e mi ha dato anche alcuni suggerimenti su cosa disegnare. È stato uno scambio creativo davvero costruttivo e quando succede, è fantastico.
Tra i protagonisti di Uncanny X-Men ci sono questi giovani mutanti, gli Outliers che sono stati caratterizzati graficamente interamente da te.. ci puoi dire quale è il personaggio che preferisci disegnare tra loro e … anche il personaggio che preferisci disegnare tra i ‘vecchi’ X-Men del gruppo?
Comincio dai ‘vecchi’: Wolverine, Rogue, Gambit.
Quando sono tornato in Marvel, e mi stavano proponendo diversi progetti a cui forse avrei potuto prendere parte, quando ho visto chi sarebbe stato il team per Uncanny, ho voluto disegnare quel fumetto. Questi sono i personaggi di cui mi sono innamorato da ragazzino: Gambit, Rogue e Wolverine. Questo è il mio trio preferito.
Confermi la mia idea, perché tra questi personaggi, soprattutto tra Rogue e Gambit, la chimica è fantastica e palpabile.
Oh, grazie, grazie mille. Mi piace disegnare gente bella, sai, e loro lo sono. Sono da sempre ‘gli X-Men sexy‘ e quindi sono divertenti da disegnare.
Per The Outliers mi piace disegnare tutti loro; adoro Deathdream perché è davvero facile e divertente da disegnare. Basta semplicemente coprirlo di nero. [risata n.d.r.]
Con Calico e Ember… tutti scherzano sempre dicendo che gli artisti odiano disegnare i cavalli… a me non dispiace disegnare i cavalli! Puoi trovare riferimenti molto facilmente.
In termini di disegno, sono sfere, cilindri e cubi. Tutto è una combinazione di quello. Anche i cavalli sono così. Quindi non mi dà fastidio disegnare cavalli.

Jitter, invece, è una rottura di scatole da disegnare per il suo potere. Inoltre sai, ha l’ADHD [Disturbo da deficit di attenzione e iperattività n.d.r.] ed è molto disorganizzata, agitata, vibrante e tutto quanto. Volevo che anche il suo costume fosse rumoroso, appariscente, caotico e immaginavo che sarebbe stata una rottura di scatole da disegnare, ma non sapevo quanto lo sarebbe stato davvero. Ho fatto quella scelta e adesso devo tenermela. [risata n.d.r.]
Okay. Parliamo di The Unchosen. E’ il tuo primo progetto a fumetti come creator-owned il cui primo numero è uscito a luglio per Image Comics [negli U.S.A. n.d.r.]. E’ un progetto a cui tieni molto, mi pare di capire, perché per la prima volta non disegni solo un fumetto, ma lo scrivi anche. Com’è stato passare dal disegnare le storie di altri a disegnare le proprie, esprimere le proprie idee e avere, tra l’altro, piena libertà su personaggi originali non legati ad alcun passato editoriale?
David Marquez: A livello creativo è stato il progetto più stimolante a cui abbia mai lavorato. Mi piace l’aspetto collaborativo di lavorare con uno scrittore, un colorista e tutti i grandi team creativi di Marvel o DC Comics.
È più facile quando qualcuno ti consegna una sceneggiatura e tutto quello che devi fare è capire come disegnarla, mentre è più difficile dover inventare tutto da zero.
Ma questa è una storia che ho dentro di me da dieci anni. Il motivo per cui dico che è la sfida più appagante o la più stimolante a livello creativo, è perché quando lavoro su una sceneggiatura per Marvel o DC, non so necessariamente cosa succederà nel numero successivo.

La maggior parte delle volte, ho la sceneggiatura completa di un numero, a volte i tempi sono stretti, altre ricevo la prima metà della sceneggiatura, inizio a lavorare su quella e poi ricevo la seconda metà.
Da autore unico, posso dare largo spazio alle mie idee. Mentre disegno, può capitare che abbia una certa idea su un gesto o un qualcosa che dice un determinato personaggio e penso “Oh non sarebbe figo se quel gesto significasse qualcosa? Cosa potrebbe significare quel gesto? Magari ci dice qualcosa in più su questo personaggio. E come potrei farlo funzionare?” e poi all’improvviso, capisco come finirà la storia grazie a quel singolo gesto che ho fatto fare al personaggio nel numero uno.
Quel tipo di matrimonio tra l’arte e la storia, più in generale, non esiste quando disegno un fumetto un numero alla volta con uno scrittore.
Succede un po’ nelle conversazioni che ho con Gail o con Brian, come dicevo prima, ma è molto diverso quando è così spontaneo: sto scrivendo — oh, ecco un’idea. Sto disegnando — oh, ecco un’altra idea.
E quindi sto disseminando piccoli Easter Eggs dappertutto per cose che forse nessuno noterà mai. Alcune di queste piccole cose che sto inserendo nelle pagine hanno un grande significato narrativo, ma forse è solo per me. E va bene così, perché mi sto divertendo di più a raccontare la storia.
Da questo punto di vista, è stato fantastico, ma è anche davvero difficile quando devi fare tutto da solo perché non c’è nessun altro che ti aiuta, per la maggior parte, tranne, nel caso di The Unchosen, la colorista, Marissa Louise e il letterista, DC Hopkins. Ho anche coinvolto un editor per aiutarmi a far uscire il fumetto in tempo: Lauren Sankovitch.
Quindi ho comunque bisogno di un po’ di aiuto, sai, ma per quanto riguarda la scrittura e il disegno, sono entusiasta della sfida. C’è tanto lavoro da fare.
E’ stato importante lavorare con scrittori come ad esempio Bendis, King, Simone che sono dei professionisti dello storytelling, per migliorare e affinare le tue doti di scrittore?
David Marquez: Penso di sì. Cerco di ‘rubare’ da loro il più possibile. E’ come se avessi avuto un posto in prima fila davanti ai maestri della scrittura moderna dei fumetti e ho cercato di capire il più possibile mentre ero lì a lavorare al progetto.
I disegnatori di fumetti sono narratori. Molto di quello a cui le persone reagiscono in un fumetto, riguarda una decisione che ha preso il disegnatore.
Ma le decisioni che prendiamo sono più piccole rispetto a quelle con cui si confrontano la maggior parte degli scrittori. O almeno, questa è la grande differenza. Con i disegnatori, ti occupi delle decisioni di narrazione all’interno di una vignetta, tra le vignette, tra le pagine. È su scala ridotta.

Con la scrittura, stai pensando a cosa succede, sì, tra le vignette e le pagine, ma anche tra i numeri e lungo tutto l’arco narrativo. Da dove inizi anche solo a raccontare la storia? Dove finirà? Come diamine colleghi quelle cose?
Quella sfida è diversa da quello che fanno i disegnatori. È difficile, ma è anche davvero stimolante perché è come fare un puzzle. Quando finalmente capisci come collegare i pezzi, è un po’… come sballarsi. Voglio dire: sono sobrio, non bevo e non mi drogo, ma mi fa sentire eccitato, mi fa vibrare il corpo. È fantastico.
Quindi sono grato di aver avuto modo di lavorare con così tanti scrittori incredibili. So che fanno cose che io non so ancora fare, ma ho cercato di rubare alcuni dei loro segreti e usarli per raccontare la storia nel miglior modo possibile.
In alcuni casi ho letteralmente ‘pensato’ di chiederlo a loro: “Ehi, Brian, come faresti questa cosa?”. E lui potrebbe dire: “Oh, ecco come la farei io” oppure potrebbe dire: “Devi capirlo da solo”. E entrambe le risposte sono utili.
È molto bello quando parli di questo progetto, si percepisce il tuo entusiasmo. Penso che tu sia molto orgoglioso, e non vedi l’ora di poter mostrare ai lettori The Unchosen.
David Marquez: Sì, sono molto entusiasta e significa molto per me. Spero che alle persone piaccia anche solo un po’ di quanto piace a me.
Al momento non sappiamo ancora, purtroppo, quando uscirà in Italia The Unchosen. Di solito negli ultimi anni si tende a raccogliere subito in volume e credo che si attenderà la conclusione negli Stati Uniti prima dell’uscita italiana ..ci puoi raccontare quindi qualcosa tu (senza troppi spoiler) della storia e i suoi protagonisti?
David Marquez: Assolutamente. La storia parla di una giovane ragazza, tredicenne, che si chiama Aida.
Le prime pagine del fumetto iniziano con una citazione: “In principio era la Parola”, e poi vedi gli occhi di questa ragazza che si aprono lentamente, la camera si allontana e di colpo si trova nel mezzo di un gigantesco cratere.
E lei dice: “Come sono finita qui? Che cosa sta succedendo?”.

Quella scena è nella mia testa da dieci anni. Ha preso forme diverse, in vari modi, ma era un modo divertente per far subito iniziare il lettore a porsi domande su cosa stia accadendo nella storia.
Aida viene salvata e si ritrova tra due gruppi di persone che hanno incredibili poteri magici. E scopre che, apparentemente, almeno uno dei due gruppi, crede che lei abbia dei poteri e sia davvero importante per salvare il mondo. Lei, però, pensa di essere solo una normalissima ragazza. Non ha poteri, quindi non sa come tutto questo possa essere vero. Di chi può fidarsi?
Man mano che scopriamo di più su cosa sta succedendo nel mondo, su chi siano queste persone e su come siano collegate tra loro, diventa anche più chiaro il fine di ognuno. E non è facile capire chi sia veramente dalla sua parte. Da lì si sviluppa la storia.
In termini di temi o idee con cui sto giocando all’interno della storia, gran parte ha a che fare con la magia, il linguaggio e le dimensioni alternative.
Anche la geometria a 4D ha un ruolo. Ci sono cose un po’ strane, un po’ astratte, ma anche un pizzico di horror cosmico.
Se qualcuno del vostro pubblico ha mai visto l’anime Neon Genesis Evangelion, dove si gioca molto con immagini e simbolismi biblici, ecco anch’io gioco un po’ con quelli così come anche con il linguaggio Enochiano, il linguaggio degli angeli, John Dee [alchimista, astrologo e astronomo inglese del 1500 n.d.r.], l’occultismo e cose simili come quelle che piacciono a Hellboy.
Quindi c’è del soprannaturale, c’è fantascienza, c’è fantasy e anche un po’ anche del genere supereroistico.

A livello visivo, invece, sto giocando molto sia con la calligrafia occidentale che orientale. Insomma, sto prendendo tante idee diverse e le sto mescolando in un modo che credo sia davvero figo, entusiasmante, visivamente interessante e, spero, anche concettualmente stimolante. C’è molta roba dentro.
Ma alla fine vuole essere una storia avvincente che pone tante domande e spero che le risposte che darò saranno interessanti e soddisfacenti per chi legge.
Nella tua testa è solo una miniserie, può diventare una serie regolare o hai altri progetti futuri che si possano svolgere nello stesso mondo di The Unchosen?
Allora, questo è il volume uno, che sarà composto da quattro numeri. Il volume due saranno altri quattro, forse cinque o sei numeri.
La sfida è che, facendo tutto da solo e lavorando su progetti creator-owned, ho anche una famiglia, devo pagare l’affitto, ecc…
Quindi può essere complicato dedicare un anno a un progetto e dover aspettare così tanto perché dia dei frutti.
Avevo avuto tempo un paio di anni fa, tra l’addio alla DC e il ritorno in Marvel, da dedicare a fare solo le mie cose per un po’.
In realtà ho disegnato tutto questo progetto nel 2023 e ho aspettato il momento giusto per pubblicarlo e finalmente esce quest’anno. E spero che avrà abbastanza successo da permettermi di iniziare a lavorare anche al volume due.
Ho almeno tre o quattro volumi di storia da raccontare, se alla gente piacerà e avrà voglia di leggerli.
Mi pare di aver visto un cambio nel tuo stile da Uncanny X-Men alle poche immagini che ho potuto apprezzare di The Unchosen. E non è la prima volta: in Batman Killing Time ad esempio, il tuo stile di inquadratura e di tratto si adatta alla storia action e crime di Tom King mentre in Uncanny X-Men si adatta alla trama action, ma inizialmente anche horror. Avviene naturalmente e ti lasci trasportare dalla trama o c’è un tuo studio dietro su come adattare lo stile in base alla storia e, immagino, all’autore?
Direi che hai ragione nel dire che c’è molta variazione nel mio stile. Mi annoio molto facilmente del mio lavoro, quindi cerco sempre qualcosa di nuovo; questo è parte del motivo.
Ci sono artisti che capiscono come vogliono disegnare, hanno quasi una formula e la ripetono sempre uguale ogni volta. Io faccio fatica a restare fermo su un solo modo di disegnare.
Però prendo decisioni consapevoli su come voglio che un fumetto sia e su come voglio che appaia un personaggio.
Allo stesso tempo, però, è una specie di lotta continua con me stesso, perché a volte, anche solo da ieri a oggi, mi trovo a disegnare qualcosa e penso di fare lo stesso di ieri, ma non mi sembra giusto, e allora devo cambiare fino a quando non mi sembra il modo corretto.
Quindi c’è anche un aspetto inconscio in tutto questo che credo non risolverò mai. L’unica cosa che posso fare è ogni giorno provare qualcosa di un po’ diverso e col tempo le cose cambiano.
Però sì, nel caso della differenza tra The Unchosen, Uncanny X-Men, Batman: Killing Time, certe scelte sono deliberate e molto specifiche.
C’è da considerare, però, anche il colorista, che conta tantissimo per l’aspetto finale delle tavole.
Le scelte che, ad esempio, hanno fatto Alejandro Sanchez su Batman: Killing Time, Marissa Louise su The Unchosen e Matt Wilson su Uncanny X-Men sono importanti quanto le mie per il risultato finale.
Ultima domanda di rito che facciamo a tutti gli autori: quali sono i prossimi progetti di David Marquez oltre quelli di cui abbiamo parlato? C’è qualcosa di nuovo all’orizzonte? Personalmente mi piacerebbe vederti su Amazing Spider-Man… ma che ne pensi di autore unico su Miles Morales?
David Marquez: Mi piacerebbe molto fare Amazing Spider-Man. È una di quelle cose da lista dei desideri che ogni autore vorrebbe fare prima di morire. Spero capiti l’occasione, a un certo punto della mia carriera.
Ma la Marvel ha appena lanciato un nuovo ciclo di Amazing con Pepe Larraz e JRJR [scritta da Joe Kelly n.d.r.], quindi resteranno sulla serie per un po’ e non sono sicuro di volere ‘essere il prossimo’ subito dopo loro. Sono venuto dopo Pepe su X-Men, non voglio venire dopo di lui anche su Amazing! [risata n.d.r.]. Però, a un certo punto, voglio assolutamente fare quel fumetto.

Non sono sicuro su Miles. Sento un po’ di aver già detto quello che volevo dire con Miles, e mi piacerebbe disegnarlo qua e là in futuro, ma non so se ho voglia di fare un altro progetto lungo con lui.
Sto comunque lavorando su Uncanny da quasi due anni e continuerò ancora per un po’.
Per il pubblico è passato poco più di un anno da quando è uscito il numero uno, ma io ho iniziato prima e dopo quasi due anni, inizio ad avere voglia di fare qualcosa di diverso. Sto parlando con gli editors di qualche progetto che potrebbe venire dopo, ma si tratta di qualcosa di lontano per il momento.
Sto scrivendo anche alcune cose che saranno annunciate abbastanza presto, quindi sono entusiasta che la gente possa iniziare a vedere anche quel mio lato del lavoro. [David ha scritto la miniserie The Sinister’s Six, parte del maxi evento mutante Age of Revelation, ancora inedito n.d.r.]

Ho anche un altro progetto molto a lungo termine che sto facendo con uno scrittore da otto o nove anni. Ho disegnato più di cento pagine e sarà annunciato tra sei mesi o un anno. Insomma ho molte cose in cantiere.
L’unica cosa certa è che sto ancora lavorando su Uncanny X-Men e continuerò a farlo per il futuro prossimo. Negli USA abbiamo appena finito un arco di quattro numeri su Uncanny. Starò lontano dalla serie per un po’ mentre vengono raccontate altre storie. Poi, appunto, sta uscendo The Unchosen che riempirà per bene il vuoto di questi mesi di Uncanny e, quando sarà terminato, tornerò sugli X-Men.
Quindi, per chi è negli USA almeno, o se comprate fumetti online, non ci sarà alcuna pausa nei fumetti da parte di David Marquez nei prossimi mesi.
Grazie mille, David, per questa intervista. Mi sono davvero divertito e spero anche tu.
Sì, mi sono divertito molto anche io. Le domande erano davvero intelligenti e stimolanti. Apprezzo moltissimo il tempo che hai dedicato e il materiale che mi hai dato su cui parlare.
Grazie, David. È stato davvero un onore. Ciao e alla prossima!
David Marquez: Grazie a te, ciao!



