Nel mondo di Jurassic Park, il concetto di “rinascita” è sempre stato legato a due elementi: la scienza che resuscita creature preistoriche e l’industria dell’intrattenimento che periodicamente cerca di far rivivere una saga che ha fatto la storia del cinema. Jurassic World Rebirth, sesto capitolo della serie, tenta un colpo di coda: rilanciare il brand con un’operazione che promette di reinventarlo. Ma sotto la superficie, ci troviamo di fronte all’ennesimo tentativo di spremere fino all’ultima goccia un’idea brillante che risale al 1993.
Il risultato è un film che, pur con qualche novità estetica e un cast solido, resta impantanato in dinamiche ormai logore e in una struttura narrativa già vista troppe volte.
Il paradosso è palese fin da subito. La trama ruota attorno a una multinazionale pronta a investire tutto per ottenere ritorni da un esperimento genetico ormai sfuggito di mano. Una storia che, ironicamente, rispecchia proprio la mossa di Universal Pictures: spremere ancora una volta l’universo giurassico con un film che parla di aziende che… spremono l’universo giurassico. E se da un lato è affascinante vedere come l’arte possa riflettere la realtà, dall’altro viene spontaneo chiedersi se non si stia solo rivivendo l’ennesimo déjà-vu, mascherato da reboot.
Non tutto, però, è da buttare. A trainare l’interesse nelle prime sequenze ci sono due attori che raramente deludono: Scarlett Johansson e Mahershala Ali, qui nei ruoli rispettivamente di Zora Bennet, una specialista in missioni clandestine, e Duncan Kincaid, suo compagno d’azione e figura solida in un mondo in rovina. I due funzionano, hanno chimica, e riescono a trasmettere credibilità anche nei passaggi più prevedibili. Se esiste una ragione per restare seduti fino alla fine, sono loro.
La prima parte del film, inoltre, mostra un certo slancio creativo, merito soprattutto del regista Gareth Edwards, già noto per aver saputo gestire visivamente mostri e battaglie in Godzilla e Rogue One.
C’è una tensione horror ben costruita, un’atmosfera cupa che rimanda ai film di mostri della vecchia scuola, e una colonna sonora volutamente inquietante che prende le distanze dal classico tema epico di John Williams (almeno inizialmente). Scelte audaci, che danno speranza.
Jurassic World: La Rinascita – Troppe idee, poca sostanza
Anche la messa in scena iniziale è promettente: in una delle prime sequenze, un ambiguo dirigente aziendale – interpretato da Rupert Friend – recluta Zora per una missione che puzza di complotto genetico. Il modo in cui il film introduce il mondo post-Dominion, dove dinosauri e umani convivono in un equilibrio precario, è efficace e immediato, ma questa energia fresca e pulsante non dura a lungo. Dopo un inizio dinamico, La Rinascita scivola nella ripetizione: una nuova isola segreta, nuove creature fuori controllo, un gruppo eterogeneo di protagonisti in lotta per la sopravvivenza. Sembra di rivivere Il Mondo Perduto, Jurassic Park III, Jurassic World e il già citato Dominion, tutto condensato in due ore.
Ma il grande problema non è solo la mancanza di originalità del film, quanto l’incapacità di dare coerenza e significato a ciò che viene mostrato.
Jurassic World: Rebirth si presenta come una “rinascita” della saga, ma in realtà è un remix del passato, più simile a Il Risveglio della Forza di Star Wars che a un vero reboot. Proprio come quel settimo episodio, anche il primo kolossal dell’estate (ricordiamo che gli altri due saranno Superman, in uscita il 9 luglio e I Fantastici Quattro: Gli Inizi, nelle sale dal 23 di questo mese) riprende con precisione la struttura del primo Jurassic Park: nuovi personaggi, vecchie dinamiche, lo stesso schema.
Il punto però, è che l’originale funzionava perché era semplice. Aveva idee forti e personaggi immediatamente empatici. Qui, invece, si cerca di inserire troppi temi: la bioetica, l’avidità delle aziende, la proprietà della scienza, la convivenza con altre specie, e ogni personaggio si porta dietro un mini-dramma da risolvere. Il risultato è un sovraccarico narrativo che rende tutto più confuso e meno coinvolgente.
Un esempio evidente di questa mancanza di connessione emotiva si trova in una scena pensata per rievocare uno dei momenti più iconici del franchise: l’incontro ravvicinato con un branco di Titanosauri. In Jurassic Park, era il punto in cui il pubblico condivideva lo stupore di Alan Grant e Ellie Sattler davanti al primo Brachiosauro. In Rebirth, la scena è simile per impostazione ma del tutto priva di empatia: una ripresa aerea mostra i dinosauri, ma lo sguardo dei personaggi non viene mai messo al centro.
Non vediamo ciò che vedono loro, non viviamo la loro meraviglia. È solo una cartolina spettacolare, ma fredda. E non può bastare l’iconico tema musicale – che in questo caso viene ripreso – a dare l’effetto “pelle d’oca”.
La famiglia Delgado: bravi attori, ma perché sono qui?
E poi c’è la famiglia Delgado, con Manuel Garcia-Rulfo nel ruolo del padre e Luna Blaise in quello della figlia adolescente. Anche qui, performance solide, dinamiche familiari credibili, e una buona dose di carisma. Ma… cosa ci fanno in questo film? Il loro percorso narrativo si svolge quasi del tutto separatamente dal resto dell’azione, e la loro presenza non sembra avere alcun impatto reale sulla trama principale. Sono lì perché – forse – in un film del genere ci dev’essere una famiglia coinvolta.
Ma la loro storyline appare superflua. Non cambia nulla nella narrazione generale. Eppure, paradossalmente, un film che si fosse concentrato solo su di loro – bloccati su un’isola ostile, senza mezzi, costretti a sopravvivere – avrebbe potuto offrire un punto di vista più originale e intimo.
Arriviamo così alla vera star mancata del film: il dinosauro ibrido protagonista della minaccia principale. Creato in laboratorio e introdotto nella scena iniziale, dovrebbe essere la personificazione della paura moderna, il frutto dell’arroganza scientifica. Ma anche qui qualcosa non torna. Le sue dimensioni cambiano da scena a scena, le sue apparizioni sono intermittenti, e il suo impatto è discontinuo. In alcuni momenti è davvero inquietante, in altri sembra solo un espediente per movimentare la storia.
Una creatura così mostruosa avrebbe potuto sostenere da sola un film più compatto e coerente, magari con un tono da vero B-movie. Invece, viene usata come comparsa occasionale, senza diventare mai un vero catalizzatore narrativo.
Una “rinascita” solo nel titolo
Credetemi, non voglio assolutamente criticare il film per partito preso, chi scrive ha sempre apprezzato la saga (soprattutto nei primi capitoli). Il grande problema di questo film – a mio avviso – è che promette un rinnovamento, ma non lo mette mai in pratica. Invece di innovare, gioca sul sicuro, rimaneggia idee già viste e manca di quel coraggio necessario per segnare davvero un nuovo inizio. In un universo narrativo in cui si possono clonare dinosauri, ci si aspetterebbe almeno di evitare di clonare anche le idee.
A conti fatti, Jurassic World Rebirth è un film medio, innocuo, che non è brutto, ma che non ti lascia niente se non una manciata di retorica. Non fa arrabbiare, ma non entusiasma. Non osa abbastanza per lasciare il segno, né rispetta fino in fondo lo spirito del capostipite. La sensazione è che Universal, come avrebbe detto il dottor Ian Malcolm, fosse talmente concentrata sul capire se potesse farlo, da dimenticare di chiedersi se dovesse farlo davvero.

Jurassic Wolrd: La Rinascita
Scarlett Johansson: Zora Bennett
Mahershala Ali: Duncan Kincaid
Jonathan Bailey: Dott. Henry Loomis
Rupert Friend: Martin Krebs
Manuel Garcia-Rulfo: Reuben Delgado
Luna Blaise: Teresa Delgado
David Iacono: Xavier Dobbs
Audrina Miranda: Isabella Delgado
Philippine Velge: Nina
Bechir Sylvain: LeClerc
Ed Skrein: Bobby Atwater