Abbiamo visto in anteprima Il Baracchino, la prima serie italiana di animazione di Prime Video, disponibile sulla piattaforma a partire dal 3 giugno. Ecco le nostre impressioni, in esclusiva per voi.
Il Baracchino, un ex tempio della comicità e mecca di ogni aspirante comico, ora è in rovina. Maurizio (Lillo Petrolo), il proprietario stanco e disilluso, è pronto a chiudere, ma Claudia (Pilar Fogliati) un’aspirante art-director idealista, non si arrende.
Con una visione audace, organizza una serata Open Mic per rilanciare il locale, reclutando un gruppo di comici stravaganti e improbabili: Luca (Luca Ravenna), un piccione tabagista dall’umorismo caustico, Leonardo Da Vinci (Edoardo Ferrario), il genio boomer, John Lumano (Daniele Tinti), un umano assolutamente normale, Marco (Stefano Rapone) il tristo mietitore in persona, Noemi Ciambell (Michela Giraud), un dolcetto dalla glassa amara, e Tricerita (Yoko Yamada), una triceratopo punk con eco-ansia.
Insieme a loro, e con l’aiuto di Gerri il tuttofare (Salvo Di Paola), dell’ex comico sornione Larry Tucano (Pietro Sermonti) e di Donato (Frank Matano), una ciambella con un vuoto dentro, Claudia si lancia nell’impresa impossibile di riportare il Baracchino ai giorni di gloria.
Il Baracchino – La serie che non fa ridere, e va bene così
Queste le premesse della nuova serie targata Prime Video, la prima di animazione realizzata dalla piattaforma insieme allo studio Megadrago, utilizzando un mix interessantissimo di tecniche: dal 3D alla stop-motion, dall’animazione tradizionale 2D all’uso di pupazzi e marionette. Tutto per dare vita a Il Baracchino, un locale che, ormai, è sull’orlo della morte.
Sei episodi che durano tra i quindici e i venti minuti ciascuno, per una serie che si beve leggera anche nelle pause caffè, ma decisamente non si può definire superficiale. Bizzarra sicuramente, surreale a tratti, pronta a raccontare la comicità senza far ridere.
L’obiettivo di Cuccì e Di Paola non sembra infatti la risata in sé e per sé, ma il racconto di tutto ciò che si cela dietro ogni battuta; il mondo che il pubblico non vede, ma che “riempie” quelle battute rendendole divertenti. Perché, come dice anche Maurizio, bisogna raccontare qualcosa che sia nostro, per riuscire a far ridere.
Se quindi era questo che i due autori avevano in mente, possiamo dire senza esitazione che sono riusciti nel loro intento, regalandoci una serie gradevolissima e profonda, popolata da personaggi improbabili, sbagliati, a volte fin troppo reali e altre fin troppo poco; tabagisti, ubriaconi, politicamente scorretti, intrisi di turpiloquio; soprattutto, personaggi che non fanno ridere manco per niente, almeno non con le loro battute.
Ed è proprio qui che Il Baracchino vince: quando si sorride o si ride, lo si fa perché ci si immedesima con i personaggi e con le loro disgrazie, quelle che secondo Maurizio spingono le persone ad andare a vedere i comici per trovare qualcuno che sta peggio di loro e sentirsi meglio.
Funziona, ci sentiamo meglio, ma non perché loro stiano peggio: semplicemente perché “loro” sono dei nostri. Il Baracchino è il posto di quelli che nessuno ascolta, nessuno vuole, nessuno considera, degli invisibili bullizzati dalla vita o dalle proprie paturnie che non sanno dove altro andare. Perfino Larry Tucano, quello famoso, in fondo è un poveraccio che non ha nessuno, fuori da quelle pareti.
E la storia di quel bugigattolo nascosto sotto a un cabaret più grande – una bellissima e dolce celebrazione di tutti i teatrini off e i buchi dimenticati dove si fa stand-up comedy per davvero – inizia già in perdita, con le porte de Il Baracchino chiuse in partenza. La prima puntata ti assorbe, ti stropiccia un po’ e prima che tu abbia avuto il tempo di capire cosa stia succedendo, chiude tutto e ti lascia a chiederti “E ora? Come la continuano?”
Lo faranno con un mucchio di citazioni azzeccatissime, a partire dalla modalità documentario di The Office che, per quanto abbondantemente utilizzata negli ultimi anni, non infastidisce e non suona ridondante. Si continua con la reference alla Signora Maisiello, bravissima comica di Posillipo, che in realtà nasconde The Marvelous Mrs. Maisel (altra serie di Prime, dedicata proprio al mondo della stand-up comedy delle origini).
E ancora, la “cit.” più celebre dallo Spider-Man di Raimi, che viene modificata per ovvie ragioni di copyright, come Larry stesso ammette; o la domanda “Chi è Tatiana?”, riferimento a un pezzo comico di Gabriele Cirilli, così vecchio da poter votare anche per il Senato (mi è scesa una lacrima, quando me ne sono resa conto).
Tatiana, in questo caso, non è “quella mia amica grassa, ma così grassa che…”, bensì il personaggio assente che motiva Claudia e Maurizio nelle loro azioni e nelle loro scelte. La sua presenza pervade Il Baracchino attraverso le sue foto, i ricordi delle sue battute e una canzone, che per prima sentiamo intonare da Claudia, e finisce per accompagnarci un po’ come un filo conduttore.
Il “Tatiana’s theme”, come lo chiamo io, diventa anche sigla finale delle prime due puntate, per tornare nella quarta a spiegare molte più cose. È orecchiabilissima in tutte le sue versioni, e molto catchy: vi ritroverete a canticchiarla inaspettatamente.
E, vuoi perché è un pilastro della comicità, vuoi perché sta bene ovunque, in questa serie c’è del Boris, ben dosato e sempre giusto.
Trasuda dal personaggio di Larry Tucano (che ha la voce di Pietro Sermonti, tra le altre cose), che da comico ricorda Martellone e il suo “bucio de culo”, e da amico di Gerri ogni tanto ricrea la dinamica Stannis-Seppia; appare all’improvviso in un “dai, dai, dai” detto da Pilar “Claudia” Fogliati a Lillo “Maurizio” Petrolo; raggiunge l’apice con Itala, la macchina che ride alle battute e che mi ha ricordato con grande tenerezza l’omonimo personaggio interpretato dalla compianta Roberta Fiorentini, indimenticabile segretaria di produzione, al fianco di quel genio di René Ferretti.
E come Boris ha insegnato, preparatevi: il finale della quarta puntata colpisce duro e dritto in faccia, ma la quinta è anche peggio e va dritta al cuore. Come dice Donato in un disclaimer, se siete in un momento difficile forse vorrete saltare quella puntata, l’unica che tra le altre cose abbia delle parti a colori in una serie esclusivamente in bianco e nero. Io contesto Donato e vi dico: resistete e guardatela. Forse farà male, ma fatevi questo favore.
Vi aiuterà a capire perché Il Baracchino ormai fa “cocktail annacquati, non intrattenimento. Non più” . Vi aiuterà ad affrontare le perdite. E forse, se la magia che Cuccì e Di Paola hanno compiuto avrà funzionato su di voi come su di me, vi farà ritrovare nelle parole di una canzone che diventa promessa.
Ho deciso che
riderò
Entro in un caffé:
Splash!
riderò
