Wrestling – Ieri, oggi e per sempre

Evoluzione di uno sport che è anche – se non soprattutto – uno dei più grandi spettacoli dal vivo, in grado d’intrattenere milioni di persone in tutto il mondo: mettetevi comodi, oggi si parla di WRESTLING!

copertina wrestling vintage per sempre

La reazione che lo sport spettacolo chiamato wrestling ha da sempre suscitato nel pubblico italiano è triplice. Si passa dai veri appassionati – fan fino all’inverosimile, che si esaltano alla sola pronuncia di quella strana parola inglese e che possono descrivere ed enumerare campioni, incontri, titoli e quant’altro dalle origini fino ai giorni nostri – ai semplici spettatori occasionali che si sintonizzano in tivù di tanto in tanto per vedere qualche incontro, si divertono, conoscono qualche nome o mossa ma sono impreparati sulla storia, la tecnica o i dettagli specifici legati a questa disciplina. Ed infine, come per ogni aspetto della vita, soprattutto nell’era dei social, ci sono i denigratori, gli hater, coloro che hanno un assoluto quanto spesso ingiustificato rigetto per qualsiasi immagine o notizia relativa a quello che considerano solo un circo idiota e privo di senso. Nell’immaginario di questi ultimi, i fan delle evoluzioni atletiche e scenografiche dei campioni del ring rappresentano un esercito di bambinoni che farebbero meglio a crescere piuttosto che esaltarsi per un salto “finto” da un paletto o uno schienamento per la vittoria “predeterminato”.

Il dibattito potrebbe andare avanti in eterno senza portare le parti in causa ad un punto di incontro, ad una visione che converga almeno minimamente sull’argomento.

La realtà dei fatti, però, non sembrerebbe dare ragione né agli uni né agli altri. Insomma non tutto quello che ci viene mostrato settimanalmente in televisione può essere preso sul serio. E il fatto di seguire il wrestling sin dalla tenera età o di conoscere a memoria la lista dei campioni del mondo non ci rende degli “esperti” del business, come lo chiamano gli addetti ai lavori. D’altro canto, non è neanche corretto affermare che ogni singola mossa, ogni storia, ogni lottatore siano espressione di una pratica “finta” ed “inutile” che nulla ha a che vedere con l’atto sportivo. Paradossalmente, quelli che vengono fuori meglio da questo dibattito sono gli spettatori occasionali: accendono la tivù, fanno zapping, si fermano sul canale dove ci sono due che se le danno di santa ragione. Non giudicano. Si lasciano semplicemente intrattenere.

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Abbiamo fatto riferimento alla televisione, e non a caso. Nell’era moderna, infatti, il tubo catodico, è sempre stato il fedele compagno e sostenitore di questa disciplina. La logica considerazione che ne deriva è che il wrestling è uno sport il cui principale obiettivo, peraltro neanche tanto nascosto, è quello di creare un prodotto ad uso e consumo dello spettatore che, riempiendo le arene per gli spettacoli dal vivo, acquistando gli eventi in pay per view, abbonandosi alle pay tv o ai servizi streaming o, ancora, acquistando il merchandise (magliette, riviste, pupazzetti e gadget di ogni genere) contribuisce ad un immenso giro di affari (il business, appunto) che ruota intorno ai giganti del ring.

Lo spettatore dal wrestling vuole intrattenimento. Di ogni contesa, il risultato gli interessa il giusto. La cosa più importante è come gli viene raccontata, quanto sia interessante la storia dietro a quella contesa. Altrimenti perché la più importante federazione del pianeta avrebbe scelto di chiamarsi World Wrestling Entertainment dopo aver perso la battaglia legale con il WWF che gli impedì di continuare ad usare la F di Federation?

Sì, poi è vero che, in quel modo, McMahon ha potuto sdoganare definitivamente e manifestamente la sua concezione del “prodotto wrestling”: l’azione sul ring è un accessorio dell’intrattenimento seriale – che, a partire dalla Attitude Era di fine anni Novanta, è spesso controverso se non addirittura volontariamente “scandaloso” – offerto dalla sua WWF/E. E le cose – lasciatemelo dire – sono peggiorate quando il chairman si è messo in testa di riportare i programmi della federazione alla classificazione americana di TV-PG, cioè fruibili anche dai bambini se accompagnati dai genitori. Per molti un passo indietro. Poi, però, se le magliette e i cappellini di John Cena andavano letteralmente a ruba, evidentemente l’idea non era poi così sbagliata. Quantomeno per il bene delle sue tasche.

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Questa tendenza ha portato alla ricerca di alternative da parte degli stessi wrestler scontenti della propria posizione in WWE. E quindi, più di recente, su impulso di alcuni di loro, è nata la All Elite Wrestling, finanziata dal miliardario Tony Khan che, con il padre, è proprietario anche dei Jacksonville Jaguars (football) nella NFL e del Fulham (calcio) in Premier League. Un prodotto più orientato agli adulti e meno politicamente corretto. Ma, in questo senso, va ricordato che anche in casa McMahon esiste da qualche anno un gioiellino chiamato NXT. Insomma, di alternative sul mercato oggi ce ne sono parecchie.

E pensare che noi appassionati italiani, nel 1999, dopo anni di esilio del nostro sport-spettacolo preferito dagli schermi del belpaese, accoglievamo l’approdo della ormai decadente World Championship Wrestling su Italia1 come un evento quasi epocale. Giusto il tempo di dare un’occhiata che, però, la federazione di Eric Bischoff era già sparita, cannibalizzata, ancora una volta, dal grande vecchio che così si liberava di un altro concorrente. Come in un loop infinito, sempre uguale, McMahon finisce sempre per vincere.

Perché, in definitiva, sin dalla notte dei tempi, sin da quando (noi quarantenni) avevamo i pantaloni corti e seguivamo le telecronache di Dan Peterson, il wrestling è – sì – un grande spettacolo che funziona grazie alla bravura dei lottatori, alla loro perizia tecnica, alla presenza scenica e al carisma, ai colpi di scena. Ma è anche e soprattutto un prodotto da vendere per fare soldi.

E alla WWE, da sempre, sanno bene come fare soldi. Questo è incontestabile. E probabilmente è il motivo per cui da quelle parti, quando si riferiscono a sé stessi, parlano di “ieri, oggi e per sempre”.

 

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Gianluca Caporlingua

Cresciuto (???) giocando a calcio e sbucciandomi le ginocchia sui campi in terra della provincia siciliana. Da bambino, però, il sogno (rimasto nel cassetto) era quello di fare il wrestler. Dato che mia madre non mi avrebbe mai permesso di picchiare gli altri, ho deciso di cominciare a scrivere le storie dei miei eroi. Oggi le racconto filtrandole coi ricordi d'infanzia.

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