La mia cosa preferita sono i mostri – Recensione

Il romanzo grafico di debutto di Emil Ferris è un giallo, un dramma familiare, un epico racconto storico, un thriller psicologico, su mostri reali e immaginari, ambientato nel tumultuoso scenario politico della Chicago nei tardi anni ’60 e raccontato mediante un diario fittizio che si rifà all’iconografia dei b-movie dell’orrore e ai pulp magazine di mostri

Scrivere de La mia cosa preferita sono i mostri di Emil Ferris non è per niente facile, perché spesso si abusa di parole come capolavoro, che dovrebbero essere usate con molta parsimonia. Ho la sensazione che questa nuova uscita della BAO Publishing sia qualcosa di enormemente importante, che scriverà una pagina significativa della storia del fumetto, ma per esserne sicuri bisognerà aspettare un po’ di tempo e soprattutto dovrò rileggermi più volte questo libro perché sono sicuro che ogni volta troverò nuove chiavi di lettura, metafore e suggestioni. Quello che mi sento di dire è che tutti dovrebbero stringere tra le mani questo volume di grande formato il prima possibile, per goderselo pagina dopo pagina sia da un punto di vista grafico che narrativo, in quanto è capace di regalare emozioni intense. Non a caso si sono già spesi per quest’opera autorità del fumetto del calibro di Art Spiegelman che ha dichiarato, a proposito di Emil Ferris che «è una dei più importanti artisti del nostro tempo».

Iniziamo a parlare dell’autrice perché già la sua vita è straordinaria: innanzitutto è la sua prima incursione nei fumetti a cinquantacinque anni suonati, e ci dimostra come non sia mai troppo tardi per trovare la propria strada quando si ha dentro qualcosa di potente da dire. Ha lavorato per tanti anni come illustratrice e progettatrice di giocattoli. A 40 anni, a causa della puntura di una zanzara, venne infettata dal virus del Nilo Occidentale. In un intervista al New York Times ha raccontato che si svegliò dopo tre settimane paralizzata dalla vita in giù senza poter parlare né utilizzare la mano destra, quella che usava per disegnare. Costretta su una sedia a rotelle e con una figlia da crescere, Emil non si arrese e imparò a disegnare con la mano sinistra, riuscendo anche a prendere un diploma al’Art Institute di Chicago in scrittura creativa. Anche ora, che ha superato la paralisi, soffre di dolori che non sempre le permettono di lavorare («Quando il dolore è troppo forte resto a letto e scrivo nella mia testa»). La mia cosa preferita sono i mostri ha avuto una gestazione di diversi anni e come se non bastasse il dramma personale di Emil Ferris, anche il volume ha vissuto qualche disavventura prima di essere distribuito: le prime diecimila copie sono rimaste bloccate a Panama in una nave per due anni dopo essere state stampate in Sud Corea, perché era fallita l’agenzia di spedizioni che doveva portarle in America.

Passando all’opera, La mia cosa preferita sono i mostri è un racconto di formazione, quella della undicenne Karen Kareys, che vive con la madre irlandese e superstiziosa e il fratello Diego “Deeze”, artista e dipendente dalle donne, nei bassifondi della Chicago degli anni ’60, poco dopo la morte di Kennedy. Il padre messicano, è assente dalle loro vite tanto che Karen lo chiama “l’uomo invisibile”. La ragazzina è appassionata di film dell’orrore e la incuriosisce tutto ciò che è misterioso. La vicina di casa Anka Silvberg viene trovata morta e la polizia deduce che si sia suicidata, considerando il comportamento bizzarro della donna. La giovane protagonista della storia non crede alla versione delle forze dell’ordine e decide di indagare per trovare il vero assassino e ricostruendo la vita di Anka, ebrea tedesca con un passato drammatico nella Germania nazista, alternando momenti d’investigazione al racconto delle sue vicende e quelle dei suoi famigliari e amici.

Uno degli aspetti più interessanti di questo volume, e che ha richiesto un lavoro straordinario della sua autrice, è il modo in cui ha scelto di narrare la storia, riproducendo il diario della piccola Karen. Emil Ferris riempie di ritratti, note, frecce, ogni singola pagina, la maggior parte delle quali disegnate con semplici penne blue e rosse, così come farebbe un’adolescente. È uno stile innovativo e rivoluzionario, e come ci spiega il già citato Spiegelman, Emil «usa l’idea dello sketchbook per modificare la grammatica e la sintassi della pagina a fumetti». Il lettore si troverà spesso a dover girare il volume per continuare a leggere parole scritte in verticale o che creano il bordo delle immagini. Anche i disegni variano molto, a volte ricordano la tradizione underground di Robert Crumb o dello stesso Spiegelman; altre, specie nei ritratti, nelle riproduzioni di opere d’arte o nelle copertine di fumetti dell’orrore sono molto dettagliati.

Una delle tante trovate dell’autrice è quella d’inventare riviste dell’orrore con titoli come Ghastly, Gory Stories o Ghoulish e che spesso anticipano parte della storia che stanno per raccontare. La Ferris attinge a piene mani ai vecchi fumetti horror della EC Comics e le copertine ridisegnate sono talmente verosimili che probabilmente qualcuno crederà che quelle pubblicazioni siano esistite davvero. Quello delle finte copertine che Karen ricopia sul suo diario è solo un esempio di quanto la Ferris giochi con elementi metatestuali. Ad un certo punto della storia, la ragazzina ascolterà una cassetta in cui una persona racconta alcuni avvenimenti e verranno rappresentati tramite i disegni di Karen che immagina ciò che succede mentre parla la voce registrata. Questo esempio serve per spiegare come la narrazione si svolga sempre a più livelli e molte delle cose che vediamo sulle grandi pagine del libro hanno un valore simbolico.

Uno dei concetti più importanti che gira attorno a questo libro è quello di “Mostro”, da una parte sinonimo di diversità e dall’altra di persona capace di cose orribili: la stessa Karen si raffigura sempre come un mannaro non del tutto trasformato: non si sente uguale agli altri e spera che qualche mostro esca dai fumetti o dai film horror per morderla e renderla definitivamente diversa dalla gente (o meglio g.e.n.t.e. come la chiama lei: Grigi, Egoisti, Noiosi Tristi ed Ebeti). Karen non ha paura di vestirsi in modo strano, come quando prende l’impermeabile e il cappello di suo fratello per sentirsi ancora più investigatrice. Sa che in ogni caso sarà emarginata da quella parte di mondo che si ritiene “normale”. Bullizzata a scuola ed emarginata, trova amici simili a lei e li raffigura con le sembianze dei mostri a cui è tanto affezionata, come Frankenstein o i vampiri. Purtroppo il libro è pieno di mostri veri e reali, di cui si deve avere paura sul serio e non mancheranno situazioni drammatiche e veri e propri pugni allo stomaco. Ma anche loro, alcune volte, riveleranno anche la loro parte meno feroce: non ci sono personaggi banali o stereotipati in questo libro meraviglioso, non esiste il bene e il male.

 

Il modo in cui Karen usa i mostri immaginari è solo uno dei modi che ha trovato la ragazzina per sfuggire da una realtà difficile. Il fratello Diego le ha trasmesso l’amore per l’arte e lei riesce ad avere un rapporto privilegiato con i quadri del museo di Chicago, entrando nei dipinti e interagendo con i personaggi ritratti che spesso la aiutano a risolvere alcuni dubbi. Anche i sensi, forse perché la ragazzina si sente un mannaro a metà giocano un ruolo fondamentale: Karen è in grado di vedere un immagine e associarla a un colore o a un odore che lei collega a un dipinto. Insomma, Emil Ferris è riuscita a caratterizzare benissimo la protagonista della sua storia, regalandoci un personaggio originale che difficilmente lascerà indifferenti i lettori.

L’autrice, a dire il vero, riesce a tratteggiare tutti i comprimari della storia, dal signor Chugg, ventriloquo con un occhio di vetro al signor Gronan, proprietario dell’appartamento e gangster violento ma che lascia intravedere una certa umanità. Tutti i personaggi, Karen inclusa, hanno segreti terribili che vogliono nascondere, parti di loro che vorrebbero gli altri non vedessero. Anche il contesto è delineato perfettamente: nei disegni scarabocchiati di Karen/Emil, sembra di camminare per gli spietati quartieri poveri di Chicago, pieni di volti dai tratti esasperati, perché così li disegna la protagonista.

 

Il libro riesce a far suscitare tante emozioni, e già per questo vale la pena leggerlo: si proverà tenerezza per la ragazzina che vuole essere un mostro, rabbia a causa delle tante ingiustizie e commozione, nei momenti più intensi di questa meravigliosa storia che tratta di tanti temi difficili come l’identità sessuale e la parte “mostruosa” che c’è in un ognuno di noi, racconto oltretutto autobiografico: non sappiamo fino a che punto, ma Emil Ferris confida al New York Time: «In pratica, Karen è Emil».

Quello che indubitabilmente è un capolavoro e lo si può dire tranquillamente è l’edizione italiana targata BAO, che è curata in maniera impeccabile e davvero molto ben realizzata. Ogni pagina è stata lavorata per apparire identica all’originale e c’è da dire che il risultato è strepitoso, grazie alle officine Bolzoni per i font e la calligrafia e soprattutto per il lavoro immenso di Vanessa Nascimbene,che che si è occupata del lettering e dell’impaginazione. Anche il prezzo è più che accettabile, 420 pagine (di qualità eccezionale) a 29 euro. So che mi succede spesso, ma anche questa volta non posso esimermi dal complimentarmi con la casa editrice per questa sua proposta editoriale.

Aspetterò un po’ prima di dedicarmici di nuovo, ma sono sicuro che La mia cosa preferita sono i mostri mi nasconde ancora molte sorprese da trovare nelle letture successive. Quello che posso consigliare è di procurarsi il volume il prima possibile, perché è uno di quei libri che continua a lavorare dentro di noi anche una volta arrivati all’ultima pagina e credo sia quello che debba fare un’opera d’arte riuscita: arricchire e far riflettere.

P.S.: ci sono rimasto un po’ male, ma il racconto si svolge in due volumi, quindi bisogna aspettare che venga pubblicato il finale, per vedere come si evolve la storia. Nonostante questa incompletezza, il volume merita davvero tantissimo.

 

Abbiamo parlato di:

Kinn

Fumetti, letteratura, cinema, animazione, musica: sono capace di esprimere un'opinione (possibilmente ipercritica) su tutto senza essere esperto di niente. Visto che non mi basta parlare (male) delle cose degli altri, scrivo racconti sul blog Spazinclusi

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