[Gli Appunti] La rivoluzione non compresa di Pokémon Go

Social e carta stampata hanno dato grande risalto ad una foto che arriva da Venezia: un gruppo di turisti, forse asiatici, non è chiaro, in gondola, ma intenti a guardare il loro smartphone, piuttosto che ad ammirare il Ponte dei Sospiri o piazza San Marco. La stessa scena la potremmo ritrovare davanti al Pantheon o al Colosseo e nei tanti altri luoghi di cultura del nostro Paese. Si direbbe, c’è poco da scandalizzarsi, così va il mondo e la realtà aumentata aiuta a leggere meglio ciò che ci circonda. Eppure, non può essere questa la risposta. Ed infatti, a pensarci bene, non si è compreso fino in fondo quanto sia rivoluzionario Pokémon Go, troppo presto ridotto a semplice isteria collettiva e, in quanto tale, abbandonato nel dimenticatoio delle migliaia di app, destinate a brillare il tempo di una stagione. Pokémon Go ha due pregi. Il primo è che per trovare i vari personaggi bisogna camminare e la cosa fa bene ad ogni età. È vero fatta la regola, trovato l’inganno, per cui trucchi e trucchetti si trovano facilmente per ingannare il contatore dei metri camminati. La seconda è che il Pokémon spesso si nasconde dietro una statua, vicino ad un affresco, sopra ad un monumento, in mezzo ad un bosco, in riva ad un fiume o al mare, insomma in un posto qualsiasi creato dall’uomo o generato dalla natura, ma sempre degno di essere osservato con un sguardo diverso, almeno per qualche prezioso secondo del nostro tempo. È stato emozionante sentir parlare della Seconda guerra mondiale una vecchietta intenta a pulire i fagiolini (a Roma, si dice a capare i fagiolini) su una panchina davanti alla targa dedicata ai Ragazzi di via Panisperna, anche per un bambino delle elementari, felice di aver trovato proprio in quel posto un Pokémon che gli mancava.

 

Greystoke

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