ARF! 1.1 – Il rapporto tra creatori e pubblico del fumetto

Pier
17 Min di lettura
speciale fumetto arf

Durante la prima giornata di ARF! 1.1, Mauro Uzzeo e Chiara Guida hanno mediato il panel “Creatore e Fruitore: Una Lunga Storia d’Amore” incentrato sul rapporto tra i creatori ed il pubblico dei fumetti. Ospiti d’eccezione Sara Pichelli, Roberto Recchioni, Michele Foschini ed Andrea Guglielmino

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Qual è il rapporto tra chi “fa” fumetti e chi li “compra”? Come si è evoluto nel corso del tempo? E quanto influisce l’opinione del pubblico sul processo creativo e produttivo di un’opera a fumetti? Se ne è discusso durante la prima giornata dell’ultima edizione di ARF! – il Festival del Fumetto di Roma di cui siamo stati orgogliosamente media partner – durante il panel dedicato “Creatore e Fruitore: Una Lunga Storia d’Amore“.

Mediato da Mauro Uzzeo (John Doe, Dylan Dog, Zagor/Flash: La Scure e il Fulmine) e dalla giornalista Chiara Guida, nel Talk! sono intervenuti alcuni degli “addetti ai lavori” di casa nostra che regolarmente si confrontano con il pubblico: Sara Pichelli (disegnatrice Marvel e co-creatrice del personaggio di Miles Morales), Roberto Recchioni (sceneggiatore, disegnatore e curatore dal 2013 al 2023 di Dylan Dog), Michele Foschini (direttore editoriale e co-fondatore di Bao Publishing) ed Andrea Guglielmino (critico cinematografico e sceneggiatore de I Primi Cento).

arf 1.1 talk

ARF! 1.1 – Creatori e pubblico dei fumetti: il Talk!

Per decenni, lettori e lettrici non hanno saputo chi scrivesse o disegnasse i loro fumetti preferiti. Con l’evoluzione dei linguaggi, il riconoscimento delle professionalità e l’annullamento delle distanze dovute alla comunicazione online, il dialogo tra chi realizza fumetti e audiovisivi e chi li fruisce è diventato parte ntegrante dell’opera stessa.

Tra hype, boicottaggi, cambi di rotta ed esaltanti conferme, raccontiamo gioie e dolori del rapporto tra artista e fandom e le sue implicazioni reali nel contemporaneo mondo dell’intrattenimento.

Un argomento molto importante nel panorama fumettistico attuale: il rapporto tra il creatore ed il fruitore. Un aspetto che abbraccia, più in generale, la cultura pop e la comunicazione al giorno d’oggi (basti pensare – come ricordato da Uzzeo – al caso Sonic). Come influisce questo rapporto, sempre più diretto e trasparente tra la macchina creatrice di un’opera (casa editrice, editor, autore) e il pubblico che andrà a goderne? Quale responsabilità sente la prima nei confronti del secondo?

arf conferenza creatori fumetto pubblico michele foschini

Innanzitutto, una casa editrice non vuole «pubblicare una cosa in cui non possiamo riconoscerci», dichiara Michele Foschini, e prendendo cura «delle cause che sono importanti per i nostri autori: li consigliamo […] per trovare il modo di essere più incisivi sulla cosa che vogliono dire, non mancando di rispetto alle persone che rappresenti in quanto editore dei loro libri: è un lavoro di equilibrismo.»

Più nello specifico, il rapporto col fandom è stata una questione di dialogo: «fin dall’inizio volevamo essere una casa editrice che pensa come i lettori, non avere segreti, parlare anche al di là dei piani editoriali», continua Foschini, il quale mette subito in evidenza come sia cambiata la comunicazione editore-lettore/cliente con l’avvento dei social che stanno «accorciando la durata dell’attenzione delle persone, per dire loro di ripristinarla per leggere “le nostre storie”, che è l’unico modo per salvarsi la vita. Davvero: leggere salva la vita.»

arf michele foschini

Quando dalla componente produttivo-editoriale ci si sposta a quella puramente creativa, come ed in cosa cambia il rapporto col pubblico? Un’esperienza in tal senso l’ha vissuta Sara Pichelli quando ha creato Miles Morales (insieme a Brian Micheal Bendis), con «il pubblico che si è diviso letteralmente a metà» tra coloro che hanno apprezzato fin da subito l’idea e coloro che sono arrivati a strumentalizzare il personaggio come prodotto «della Presidenza Obama» con i fan di Peter Parker che «l’hanno presa davvero molto male».

In un periodo in cui i social si affermavano come strumento di comunicazione di massa, gli stessi autori hanno dovuto confrontarsi con i commenti online: alcuni positivi, i più – quelli «di una minoranza che ha fatto più rumore ma che non ha compromesso le vendite» – negativi, tanto da spingere la dirigenza Marvel ad assumere delle guardie del corpo per Bendis e Pichelli.

Dopo questa prima esperienza, ci si può chiedere, naturalmente, se non entri in gioco un “retropensiero” assecondando il quale il creatore possa iniziare a riflettere sulle possibili conseguenze del proprio lavoro.

«No – risponde Sara –, anche se su alcune cose di cui conosco la politica aziendale, come i centimetri di pelle esposta nei personaggi femminili, mi “autocensuro”. Ora, però, retroattivamente sento che mi dispiace che l’occasione di poter creare un’icona nera non sia stata data a chi ne ha più diritto. Però quando entro nella modalità creazione, io creo. Comunque nelle fiere e negli ambienti in cui si fa attenzione a certe tematiche ho sempre trovato feedback estremamente positivi per il mio lavoro e per il rispetto che hanno ricevuto dal mio lavoro, in cui ho ricevuto anche domande al riguardo, su come mi sentissi per il mio lavoro.»

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Quando si parla di personaggi iconici – in particolare legati alla nostra tradizione fumettistica – e del rapporto tra creator e lettori, non si può non pensare a Roberto Recchioni. Quando si arriva a dover gestire il personaggio più famoso dei fumetti d’Italia, è naturale che si accendano i riflettori. Già prima di prendere le redini della curatela di Dylan Dog, Recchioni aveva espresso sul proprio blog personale alcune idee per rivoluzionare la testata. Il rapporto diretto col pubblico è stato sempre caratterizzante nel lavoro dell’autore, dalla “riapertura” di John Doe all’ultimo Nosferatu, «realizzato giorno per giorno davanti al tuo pubblico, con la porta aperta.»

Questo perché, spiega Recchioni, «ho sempre creduto alla promessa che internet avrebbe cambiato tutto. Quindi ero entusiata dell’idea che si potesse disconnettere quell’idea dell’autore distaccato dal pubblico con le mille realtà in mezzo che interpolavano tra l’autore e il pubblico. Credevo che si potesse passare ad un rapporto diretto proprio tra autore e pubblico. E veramente è una cosa meravigliosa.»

 

arf conferenza creatori fumetto pubblico roberto recchioni

«Oggi, però, anche internet è cambiato e penso che la industry del fumetto sia lenta: le case editrici sono arrivate sui social forse 5/10 anni dopo che i social sono veramente esplosi. Il concetto principale di oggi è il “sentiment”: l’industria ha capito che il sentiment è più importante dei commenti, dell’engagment. Quando vado a vedere i picchi di vendite del mio Dylan Dog, questi sono coincisi con un sentimente particolarmente negativo: ciò significa che il pubblico vuole essere scosso. Ma spesso accade che quel sentiment che si riceve dal pubblico, è il pubblico di internet e non rispecchia totalmente la verità.

Un esempio, ad Hollywood, in questo senso è Star Wars. Siamo schiavi di un meccanismo che non abbiamo ancora digerito: dovremmo guardare i numeri e andremo in una direzione in cui daremo al pubblico quello che crediamo che il pubblico vuole finché non crea attrito. E poi i soldi li faranno chi crea attrito, un momento di rottura, un’emozione: oggi siamo in un periodo di grande restaurazione.»

Come si trasforma quello che è diventato un tormentone, un luogo comune dei fan in un’opera a fumetti? Andrea Guglielmino e Marco Scali si sono buttati nell’impresa di omaggiare e rispondere all’ormai diffusissimo adagio secondo il quale “i primi 100 numeri di Dylan Dog sono unici, i migliori” con “I Primi Cento”. Dopo l’iniziale rifiuto dello stesso Recchioni per un soggetto per una storia di Dylan, Guglielmino racconta «di aver imparato la lezione di Alan Moore e sostituito Dylan Dog con Damien Donovan – il primo nome che mi è venuto in mente è poi rimasto – perché tanto nella nostra storia Dylan Dog è un pupazzo.

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Dobbiamo parlare di noi: di cosa “i primi cento” hanno rappresentato per noi lettori e come li approcciamo. Così possiamo anche aggirare l’ostacolo: evitare il plagio e rendere omaggio. Inoltre, autore e personaggio sono lo stesso: abbiamo buttato Damien direttamente a contatto col lettore.

Un personaggio antipaticissimo, un po’ più stronzo, che ha tradito i fan: abbiamo così capito che “i primi cento” sono più un luogo dell’anima e i fan di Dylan/Damien sono arrabbiati per motivi legati alle loro storie personali. L’abbiamo ambientato negli anni ’80, pur dovendo rinunciare ad internet, però ci metteva in un terreno un po’ neutro che ci avrebbe permesso di fare un omaggio ed una critica con Damien che è a contatto diretto con i suoi fan.»

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Il contatto diretto con i fan è una componente imprescindibile del “fare fumetti”: questo, però, può influenzare rotte editoriali in precedenza già tracciate?

«No» risponde Foschini, «dobbiamo avere il terreno per sperimentare e se intercettiamo che qualcosa che abbiamo già dato sia piaciuto, perché non provare a dare anche qualcosa di nuovo? Noi, come industria, abbiamo un’enorme stima dell’intelligenza dei lettori altrimenti non proporremmo opere anche complesse. Se li pensiamo solo come potenziali clienti, allora abbassiamo questa stima.»

Portare titoli potenzialmente impattanti («come Ducks di Kate Beaton o Impenetrabile di Alix Garin») che, per esempio, parlano di affermazione di identità, di ruoli nella società fanno capire, con i “rigurgiti” che ci sono prima della pubblicazione, fa capire «che il libro andrà bene. Non tanto per spirito contrario ma perché chi lo leggerà lo amerà profondamente: trovo che il Fumetto sia metafora della vita vera.

Io, che faccio l’editore – conclude Foschini –, mi pongo il problema del perché la gente dica che “era meglio prima”: perché il fumetto è legato a quando eravamo piccoli, all’età in cui ci proteggevano dal mondo e quello che rivogliamo è un’epoca senza problemi. È un nostro percepito: in questo momento, il problema del fandom è che il percepito dell’esperienza personale vince sulla realtà fattuale delle cose.»

La comunicazione digitale e social ha radicalmente cambiato il rapporto tra le due “parti”: «mentre una volta le cazzate che dicevo in fumetteria rimanevano lì, oggi viviamo nella distopia in cui vai a criticare un autore e quello ti può rispondere subito. Addirittura lo si tagga» riprende Uzzeo. «Ci sono colleghi che quei commenti li vanno a leggere, li vogliono leggere o perché no, li devono leggere», aggiunge Sara Pichelli.

E allora come si possono distinguere, dietro lo schermo, le critiche costruttive da possibili “bot”? Come può un autore salvaguardare la propria visione artistica?

«Non vado più là [sui social, ndr] a leggere, a cercare dei feedback: ormai è un pozzo proprio nero: uso solo gli strumenti del mio lavoro», risponde alla domanda dal pubblico Sara Pichelli.

Le fa eco Roberto Recchioni: «Ho sviluppato due percorsi: nel primo, mi affido alle vendite, ai dati, ai fatti. La seconda è tornare ad un’idea di social che mi appartiene: il rapporto è paritario, come il canale Telegram che ho creato, che ho chiamato Il Giardino Perfetto, dove nessuno si esprime in maniera non educata. Per me è un canale molto utile: ogni volta che vedo che si crea un culto, dico loro che possono non essere d’accordo, basta dirlo civilmente. E Nosferatu è stato creato secondo questo principio. È stato utile per me perché ho un po’ sanato il mio rapporto con i lettori.»

«Per fare la tara delle cose che succedono online si deve andare nella realtà» prosegue Foschini, «così possiamo capire che un certo titolo ha intercettato un pubblico che magari non pensavamo potesse intercettare. Quindi misurare il sentiment con i dati empirici ci aiuta a tenerci ancorati, a capire quando ci dobbiamo preoccupare. Un misto tra contesto e l’andare sul campo ci permette di capire se sono “pochi molto rumorosi” ma anche se possiamo lavorare sulla critica: una doccia di realtà è sempre estremamente importante.»

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In conclusione, si sviscera la questione “generazionale“: e se la criticità più profonda nel rapporto tra creator e fandom è che forse il fandom non si rende conto che non è più il punto di riferimento di alcuni prodotti?

«C’è un fraintendimento, sì» afferma Guglielmino, «venendo dal cinema riconosco che i grandi blockbuster cercano di prendere tutti. Quali sono veramente i prodotti per bambini? La nostra generazione è la prima ad avere questo problema: non abbiamo buttato i nostri giocattoli. Quindi siamo quelli a cui piacciono le stesse cose dei nostri figli.»

«Non è colpa del pubblico: chi crea i prodotti ha in mente un target ma non lo conosce veramente. O non gli interessa di conoscerlo: così il prodotto è questo “ibrido”. È una questione di approccio: si potrebbe fare di meglio. È responsabilità dell’autore» ribatte Sara Pichelli.

Roberto Recchioni si pone a metà: «Alan Moore dice che la generazione del ’70 ha iniziato a prendere seriamente cose che ai nostri genitori non importavano. Quindi il pubblico si è infantilizzato: se lo decostruisco faccio emergere le criticità di tutto quello che c’è all’origine. E questo è figo. Ma quando tutte le cose che escono diventano serie, c’è un problema. Come quando si fa l’esegesi di un film Marvel: se ti è piaciuto bene, altrimenti non fa nulla.»

«Avete tutti ragione» chiosa Foschini «perché anche quando pubblichiamo dobbiamo specificare il target a cui è rivolto: qui in Italia c’è il bias secondo il quale “è a fumetti quindi non è serio”. Certo, un po’ è responsabilità dell’autore e poi c’è molto del pregiudizio. E allora vi lascio una domanda per il futuro: quand’è che una roba è davvero importante, come gliela trasmettiamo?

Continuiamo a cercare codici per arrivare al cuore delle persone: questo Talk! ha messo in evidenza le criticità che percorriamo affinché quello che portiamo abbia un minimo di valore… e nel mezzo c’è un sacco di gente che si lamenta: noi cerchiamo di avere la pazienza di incontrarli, di ingaggiarli, di riportarli alla loro umanità.»

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Appassionato di scienza e supereroi, divoratore di comics, serie TV e pizza. Ex power ranger wannabe, matematico nella vita, Batman nello spirito. Mentre cerco qualche significato nascosto nelle mie letture, sono già proiettato verso la prossima recensione... Ed oltre!
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