The Umbrella Academy: quando lo straordinario spazza via la normalità

A partire dal fumetto di Gerard Way e Gabriel Ba, Netflix crea l’omonima serie tv The Umbrella Academy, storia di una famiglia disfunzionale oltre la maschera da supereroi

Il primo ottobre 1989 43 bambini vengono alla luce in tutto il mondo. Circostanza non troppo sospetta, se non fosse per un particolare: le madri non erano neanche incinte fino a poche ore prima.

È soprattutto Sir Reginald Hargreeves, ambizioso miliardario e mente geniale, a vedere in questo evento un’occasione, e nei nascituri qualcosa di davvero speciale. Con un progetto già stampato a chiare lettere nella sua mente, decide di provare a tutti i costi ad adottare i neonati, riuscendo però ad ottenere solo 7 di loro.

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L’intuito di Hargreeves infatti non aveva fallito, le straordinarie circostanze della loro nascita erano state il segnale lampante della particolarità dei ragazzi, che si rivelano ben presto in possesso di quelle formidabili capacità che costituiranno le basi della Umbrella Academy. Ha così inizio uno speciale addestramento per i giovani, mirato all’apprendimento e alla gestione dei loro punti di forza, al fine di utilizzarli nel miglior modo possibile per il bene comune.

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Basandosi sul fumetto ideato da Gerard Way e disegnato da Gabriel Ba (di cui potete leggere qui la recensione), Netflix ha recentemente creato una serie tv, distribuita sulla piattaforma a partire dal 15 febbraio. E cominciamo col dire che anche stavolta non ha deluso le nostre aspettative.

Reduce dal successo di Titans, per il colosso dello streaming non era facile parlare ancora di personaggi dai poteri paranormali. Eppure, per quanto il rischio di ripetizione potesse sembrare dietro l’angolo, fin dalle prime puntate capiamo di trovarci di fronte a qualcosa di diverso: non supereroi ma persone normali, traumatizzate da una famiglia a dir poco disfunzionale.

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Dalla riunione dei componenti della famiglia, che avviene in seguito alla morte del padre, emergono le dinamiche hanno influenzato i 7 durante la crescita. Hargreeves, a dispetto della sua mente geniale, era una persona estremamente distaccata e un padre freddo e rigido, che ha reso l’infanzia e l’adolescenza dei suoi figli adottivi una sorta di percorso di addestramento. Senza nomi ma numeri, senza amici e senza scelta, si ritroveranno a distanza di 10 anni, problematici e asociali.

“Noi non siamo una vera famiglia, siamo la creazione di nostro padre. Una famiglia di nome, ma non di fatto. Alla fine, dopo la morte di nostro fratello Ben, non c’era più niente che ci legasse. Vivevamo come degli estranei sotto lo stesso tetto, destinati a rimanere soli, bramosi di attenzioni, rovinati dall’educazione e tormentati da un futuro diverso. Noi tutti volevamo essere amati da quell’uomo incapace di dare amore.”

Le parole di Numero 7, Vanya, descrivono un po’ il cuore delle vicende. Sullo sfondo di una tragedia imminente, la serie riesce a creare un piacevole equilibrio tra la meraviglia per le straordinarie capacità dei protagonisti e l’empatia per la loro sofferenza nella vita quotidiana.

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Forse il tema del supereroe oltre la maschera non è poi così nuovo, ma in questa serie Steve Blackman lo rende più che apprezzabile. Un grande cast (all’interno del quale spiccano nomi ben noti come Ellen Page, Mary Jane Blidge e Kate Walsh e rivelazioni come il giovanissimo Aidan Gallager)  e una bella colonna sonora ci accompagnano dall’inizio alla fine, con un gruppo di personaggi alla ricerca di equilibrio in una vita in cui lo straordinario ha prepotentemente spazzato via ogni traccia di normalità.

 

 

 

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Claudia Amici

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Il mio nome rispecchia la mia solare personalità. Sono appassionata di letteratura, drogata di serie tv e spacciatrice d'immagini per MegaNerd su Instagram.

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