The Handmaid’s Tale: il distopico racconto dell’ancella, tra violenza e paura

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La distopia è tema assai ricorrente tanto nell’arte letteraria, quanto in quella cinematografica e identifica l’immaginaria rappresentazione di una società indesiderabile. Questa realtà affonda le sue radici nella storia che tutti conosciamo e ne esaspera il risultato, costringendoci a guardare o leggere un mondo che non vorremmo mai vivere, ma che in un modo o nell’altro sentiamo non essere così distante.

Opere come 1984 di Orwell, Il Mondo Nuovo di Huxley, La Strada di McCarthy e Fahrenheit 451 di Bradbury hanno fornito all’umanità l’anello mancante tra ciò che è accaduto e ciò che può ancora accadere. La mente è un terreno fertile in cui è facile instillare il seme della paura, controllandola è possibile limitarne ogni reazione, arrivando così a instaurare un sistema nuovo, assolutista e il più delle volte totalitarista, in cui la parola “diritto” perde qualsiasi significato.
Questo è proprio il caso di The Handmaid’s Tale.

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La serie, prodotta da Hulu, emergente piattaforma di streaming online, e ideata da Bruce Miller (E.R., A Town Called Eureka e The 100) è la trasposizione televisiva del romanzo omonimo della scrittrice canadese Margaret Atwood, pubblicato nell’autunno del 1985.
Il successo del libro, iniziato a scrivere dall’autrice nella Berlino ovest nel 1984, è stato pressoché immediato. I temi trattati riecheggiano e arrivano sino a noi intatti e con la stessa forza espressiva vengono riproposti sul piccolo schermo, senza filtri, senza alcuna attualizzazione.

Non ce n’è bisogno alcuno, perché perfettamente si integrano oggi con un 2017 americano tutt’altro che solido sul piano sociale e culturale.

Il libro si fece all’epoca baluardo di diversi movimenti di protesta a sostegno dei diritti sulle donne; oggi The Handmaid’s Tale riaccende quella fiamma mai estinta e si tinge nuovamente del rosso scarlatto di cui sono impregnate le pagine del libro della Atwood, lo stesso delle vesti delle Ancelle.

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In un futuro relativamente prossimo, dalle ceneri di una logorante guerra che coinvolge diverse superpotenze mondiali, sorge negli Stati Uniti la Repubblica di Gilead, un regime totalitarista con una forte impronta religiosa. Tra le conseguenze della catastrofica deriva mondiale, vi è il crollo delle nascite e la quasi totale infertilità di ogni donna sul pianeta. Le uniche donne fertili rimaste acquisiscono un’importanza vitale per la sopravvivenza della comunità, ma allo stesso tempo subiscono la privazione di ogni diritto di libertà e indipendenza. Diventano schiave del sistema, tasselli fondamentali di una complessa struttura gerarchica, il cui vertice di questa nuova società è rappresentato dai Comandanti della Fede.

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La storia narra le vicende di Offred (Elisabeth Moss), un’ancella che viene affidata al Comandante Fred Waterford (Joseph Fiennes) perché lui possa sfruttarla a fini riproduttivi, in quanto sposato con una donna non fertile. Offred (il cui nome scomposto Of Fred  “di Fred” sta proprio a indicare la proprietà materiale del corpo da parte del Comandante) prima di diventare ancella era sposata con Luke, con il quale ha avuto una bambina, Hannah. Durante un tentativo di fuga dalle autorità locali, i tre si separano e per Offred inizia un nuova vita fatta di schiavitù e sacrifici. Viene catturata e trasportata in un istituto che accoglie tutte le donne fertili del paese. Lì vengono istruite alle pratiche e alle usanze approvate dal regime e, una volta ritenute idonee, affidate ai Comandanti.

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Il linguaggio visivo è crudo, non risparmia nulla, la sciagura si abbatte senza alcuna clemenza su chiunque venga ritenuto un pericolo per il bene comune. Ogni ruolo all’interno del sistema ha un’importanza proporzionale alla fedeltà e all’utilità dimostrate, non ci sono mai seconde opportunità per chi sbaglia.

Un’ancella vive un’esistenza protetta durante il solo periodo di gravidanza.
Un’ancella è tale finché la sua fertilità non viene messa in discussione.
Un’ancella è solo un utero per il concepimento.
Si distingue dagli altri ruoli della società per il colore delle vesti che porta: il rosso scarlatto.

Questo colore è la colonna portante della narrazione visiva, è sempre presente all’interno del racconto e riempie e trabocca come sangue dalla scena quando le ancelle sono riunite.
Il rosso si lega al terrore di una condizione irrecuperabile, al sesso non richiesto che violento lacera corpo e spirito, all’assenza del puro piacere, al suo vago ricordo.

In The Handmaid’s Tale, ogni colore si lega in maniera indissolubile a una classe sociale e ognuna di queste ha compiti da assolvere e confini da non valicare. Il marrone è riservato alle Zie, le educatrici delle Ancelle, un rosso spento come spenta è la forza di procreare; il verde per le Marte, le schiave al servizio dei Comandanti gelose delle Ancelle; il blu per le Mogli in cui è evidente l’accostamento religioso alla Madonna e a qualità come devozione e fedeltà; il nero per i Comandanti, in assoluto i dominatori della scena politica.

La tavolozza è così completa.

La voce di Offred che ci guida nella sua storia è la mano che dipinge il quadro di una società putrefatta.

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Tutta questa inquietudine e senso di smarrimento sono amplificate da una regia d’insieme magistrale e da musiche tanto efficaci da sembrare la naturale proiezione dei pensieri di Offred sulla realtà circostante. L’interpretazione complessiva di tutto il cast è quanto di più alto si possa chiedere al panorama televisivo mondiale. In particolar modo, Elisabeth Moss e Alexis Bledel hanno la forza di azzerare nello spettatore ogni barriera emotiva e di trasmettere il messaggio di lotta al diritto di cui la serie vuole farsi carico.

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The Handmaid’s Tale è stata rinnovata per una seconda stagione e voglio credere che dietro il successo raggiunto e il gradimento ricevuto, ci sia anche la necessità di vedersi sbattere in faccia la paura, che ci aiuta a restare vigili e a temere il giusto per quelle libertà che nei tempi abbiamo ottenuto e che nessuno mai dovrà più toglierci.

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