Star Wars: il mito dai mille volti – Intervista ad Andrea Guglielmino

Abbiamo avuto il piacere di scambiare quattro chiacchiere con Andrea Guglielmino, autore dell’interessante saggio Star Wars: il mito dai mille volti. Con lui abbiamo parlato del nuovo corso della saga e dell’evoluzione di un mito senza fine

Abbiamo il piacere di avere ospite sulle nostre pagine Andrea Guglielmino, autore di un saggio davvero molto interessante dedicato alla saga creata da George Lucas. Star Wars: il mito dai mille volti è un’opera complessa, fatta con la passione e la cura che solo un grande fan può avere, che cerca di andare oltre i luoghi comuni e vuole andare alle radici di un mito che sembra davvero non avere tempo.

Andrea ha scelto di riprendere il metodo comparativo che aveva già usato nel suo libro precedente (Antropocinema, del 2015) per offrirci una rilettura della saga di Guerre Stellari sotto un’ottica decisamente diversa, sicuramente più moderna. Guglielmino tratta dei vari sequel, prequel, remake, spin-off, ecc. nello stesso modo in cui un antropologo o uno storico delle religioni tratterebbe le varianti di un mito folklorico di qualche popolazione antica. Come quello, infatti, anche Star Wars, sulla scorta dell’enorme fortuna commerciale, ha assunto per i pro-pri fan un’importanza tale da diventare punto di riferimento ludico ma perfino valoriale, addirittura religioso in certi casi (si pensi alla Chiesa Jedi), e può quindi essere approcciato (certo con molta più libertà e leggerezza) con chiavi interpretative simili a quelle che si usano in ambito accademico per analizzare lo sviluppo e il ruolo delle religioni storiche.

Ciao Andrea, benvenuto su MegaNerd. Partiamo dall’inizio: com’è nata l’idea di realizzare un saggio del genere?

Ciao e bentrovati. Che la Forza sia con voi! Il saggio, come hai giustamente sottolineato, è uno spin-off – come mi piace modernamente definirlo – di un mio libro antecedente, che era una raccolta di indagini sulle grandi saghe cinematografiche di oggi (da Conan il barbaro a Il Pianeta delle scimmie) analizzate con il metodo comparativo proprio delle discipline storico-religiose di matrice antropologica, che sono una specie di mia specifica perché mi sono laureato, nel lontano 2004, proprio con una tesi in ‘religioni dei popoli primitivi’. Sono profondamente convinto che il cinema, così come i fumetti e i videogiochi, si porti dietro molte delle caratteristiche dei miti classici e delle popolazioni tradizionali, quindi questo metodo di analisi, che consiste nel paragonare le varie versioni dei miti per poi trarre delle conclusioni sulle società che li producono, trova sempre sviluppi interessanti e ci dice qualcosa di rilevante su di noi come pubblico e come uomini appartenenti alla cultura occidentale. ‘Antropocinema’ è stato un piccolo successo, ha venduto molto bene e ha vinto il premio Domenico Meccoli Scriveredicinema 2015, per cui con l’editore Golem Libri abbiamo pensato di estenderne il concetto e realizzare quello che, se tutto va secondo i nostri piani, dovrebbe essere il primo di una serie di saggi monografici.

Nel tuo libro non affronti solo la trilogia classica, ma ti concentri su tutta la galassia (è proprio il caso di dirlo) che ruota attorno al mito di Star Wars. Cosa ne pensi dell’operato della Disney finora?

Quando faccio lo studioso sospendo il giudizio, perché il mito non conosce limitazioni di tipo qualitativo, ogni versione del mito può essere significativa. Ad esempio trovo interessante come Gli ultimi Jedi riecheggi le moderne comunicazioni intercontinentali tramite Skype anche attraverso le vie della Forza, con Rey e Kylo che si scambiano pensieri e immagini anche stando su pianeti molto distanti tra loro. Prescindendo da questo, ho trovato Il risveglio della Forza gradevole solo come ‘operazione nostalgia’, interessante come ‘sovrascrittura’ di Episodio IV, quello che per me è, e resta, il primissimo Guerre Stellari. Gli ultimi Jedi è dissacrante e spiazzante, abbraccia toni inaspettati – soprattutto quelli parodistici, mai visti prima d’ora nella saga, al contrario dell’ironia che è una cosa molto diversa – e devo dire che se non altro mi ha lasciato sorpreso. Rischiavano di restare intrappolati in questo apparato malinconico e dovevano venirne fuori, lo hanno fatto in maniera molto drastica, come quel tipo che si dovette amputare un braccio per liberarsi dalla frana dove era rimasto imprigionato durante un’escursione in montagna, ma certamente anche molto efficace. Ora dalla saga principale non so veramente cosa aspettarmi e questo mi piace. I miei preferiti però restano gli spin-off, sia Rogue One che il recente Solo. Credo siano pensati proprio per chi è cresciuto con gli Star Wars classici e mi fanno sentire ‘a casa’, proprio come direbbe Han.

Cos’ha reso – secondo te – Star Wars un mito così grande, in grado di valicare generazioni intere ed essere ancora un franchise di moda dopo ben 41 anni dalla sua prima uscita nelle sale?

Una delle sue caratteristiche esclusive, propria forse solo anche del franchise del Doctor Who, è quella di aver subito coinvolto anche gli spettatori nella creazione della sua mitologia. Dalle action-figures ai giochi di ruolo, ai videogame, al rilascio da parte di Lucasfilm dei suoni originali della saga per poter rendere i propri fan-film più realistici – tutto materiale interattivo che chiamano lo spettatore all’azione –  è come se Lucas e i suoi sodali avessero detto al pubblico: ‘create con noi, queste storie sono anche vostre’. Gli spettatori si sono subito sentiti parte di quell’universo ed è proprio quello che succede quando vengono raccontati i miti attorno al focolare nelle tribù africane (a puro titolo di esempio), ma anche in certe situazioni tipiche del folklore come il racconto delle fiabe. C’è sempre un’interazione tra chi racconta e chi riceve. Per farvi un esempio, pensate a Peter Pan e a quando il libro chiede ai lettori di battere le mani per salvare Campanellino. Il racconto del mito è già culto e rito. Questo però si è rivelato poi controproducente quando Lucas ha deciso di riprendere in mano il suo materiale, ai tempi della trilogia prequel, e dargli un assetto che per certi versi era l’esatto opposto di quello che il suo pubblico si aspettava e aveva sempre dichiarato di aspettarsi, sotto tanti punti di vista, da quello visivo fino a quello contenutistico. Basti pensare all’introduzione del personaggi di Qui-Gon Jinn, tanto importante e mai nominato nella trilogia originale. Questo ha sconvolto un po’ le carte in tavola, shockato i ricettori e creato una forte frattura con i fan della prima ora.

 

Non temi che in un momento storico come questo, in cui improvvisamente troviamo Star Wars in tutte le salse (non solo al cinema, ma davvero in ogni prodotto commerciabile), ci possa essere il rischio che l’uscita di un nuovo film non sia più l’evento che è stato finora? Gli scarsi risultati di Solo: A Star Wars Story in effetti sembrano proprio ammettere che forse bisognerebbe mettere più distanza tra un film e l’altro…

Credo che su Solo ci sia qualche riflessione da operare. Innanzitutto, sì, è andato meno bene del previsto, ma parlare di flop lo ritengo esagerato. Ha recuperato le spese di produzione e otterrà comunque dei guadagni con i passaggi in tv e l’home video, quindi niente di così disastroso. Insomma, non ai livelli di John Carter. Secondo me i motivi per cui è andato male sono da ricercarsi intanto in un’uscita non proprio azzeccatissima, in pieno periodo estivo – che è ok in America, ma molto meno ok in tante altre parti del mondo, tra cui l’Italia – molto vicina a concorrenti potenti come Jurassic World e paradossalmente lo stesso Avengers: Infinity War, che è sempre di casa Disney. Certo, bloccare a metà la produzione e farla ripartire con un nuovo regista non ha aiutato. Vedo la Disney ancora molto incerta sul tono da dare a Star Wars – con la Marvel dissacrare i fumetti funziona, perché gli spettatori del cinema non li hanno mai considerati sacri, in linea di massima, ma Guerre Stellari è tutta un’altra storia – e queste indecisioni si pagano. In dollari, intendo dire. Inoltre c’è il problema della faccia dell’attore. Il pubblico è molto legato a Ford e, in generale, molto legato agli attori. Lo star system funziona così. Basti pensare proprio ai personaggi Marvel che ormai indossano rarissimamente la maschera perché a contare non è tanto l’eroe, ma chi lo impersona. Quante volte abbiamo sentito dire ‘Solo Robert Downey Junior è il vero Iron Man?’. Per chi legge i fumetti, solo Iron Man è il vero Iron Man. Ma Star Wars nasce al cinema, quindi le cose si fanno complicate. Si accetta Hayden Christensen come giovane Vader perché Vader è una maschera, ma con Solo le cose vanno diversamente. Solo una grande star poteva sostituire, forse, Harrison Ford. Una star al suo livello, ma più giovane. E Alden Ehrenreich non lo è, non ancora, per quanto sia un bravo attore. Tutti questi fattori hanno creato al film qualche problema ma in definitiva no, non penso che sia una questione di quantità, ma più che altro di strategia.

 

I fan di Star Wars (tra cui mi ci metto fieramente anch’io) hanno dimostrato di non gradire più di tanto i cambiamenti. Ci sono state numerose critiche addirittura a George Lucas stesso in occasione della trilogia prequel e ovviamente ce ne sono tantissime per la Disney, rea di non aver rispettato a sufficienza lo spirito di Guerre Stellari. Insomma, sia che si tratti del “padre della saga”, che dei suoi successori, le critiche sembrano davvero non finire mai. Quale pensi potrebbe essere una chiave interessante per far proseguire la saga?

Beh, l’idea di approfondire l’universo microbiotico avanzata da Lucas in una delle sue tante boutade era piuttosto interessante, in verità. Così come mi sono sempre piaciuti i fumetti Dark Horse su Luke che passa momentaneamente al Lato Oscuro per comprendere le scelte del padre. Il mio canone (eretico, perché ora è canone quello che decide la Disney) è quello lì. È questo il bello: ognuno è libero di scegliere la versione che preferisce o addirittura inventarne di proprie. Per quanto mi riguarda, penso che il grosso guadagno di Star Wars sia quello di aver travalicato il genere ed essere diventato un vero e proprio universo. Non solo sci-fi o fantasy. Solo è un mezzo western, Rogue One un film di guerra – tutti lo sono, del resto c’è ‘Wars’ nel titolo, ma in quel caso scevro dai tratti cavallereschi che hanno caratterizzato i precedenti – io vedrei benissimo un horror cronemberghiano su Darth Maul, o una commedia su Jar Jar Binks. Sarebbe interessante richiamare in ballo gli autori, del resto Lucas, che piaccia o meno il suo stile, lo era. E la sua mano era inconfondibile. Oggi questo è vero solo in parte. Certo, tutti i film di Star Wars sono commerciali, ma non sarebbe male che ciascuno avesse anche un’impronta che lo rende originale e personale. Cosa che in parte è stata fatta con Solo, e precisamente nella parte realizzata da Ron Howard. Adesso fatelo di nuovo, con più decisione. I cambiamenti sono quello che permette ai miti di restare al passo coi tempi, se è vero che i miti hanno carattere fondante e conferiscono valore ad aspetti ritenuti rilevanti per la società che produce il mito. E le società cambiano perché sono soggette ai cambiamenti della storia. Per questo anche il mito deve necessariamente poter variare, per rinascere ogni volta con nuova linfa e nuovo vigore.

Prima di lasciarci, ci fai la tua personale classifica dei film di Star Wars?

Non farò la classifica ‘da fan’, ma quella da antropologo. Che corrisponde grossomodo all’uscita in sala dei vari film. Per un motivo molto semplice, più un mito è stagionato, più c’è materiale da studiare. Per Una nuova speranza, L’Impero colpisce ancora e Il ritorno dello Jedi ho potuto contare su tutte le versioni non definitive delle sceneggiature, alcune anche molto diverse da come poi i film sono arrivati in sala. Ad esempio, in uno dei tanti passaggi Luke era una ragazza, orfana, abbandonata a sé stessa su un pianeta desertico. Vi ricorda qualcosa? Rey nasce da lì. Il mito non lascia mai niente indietro, ma lo recupera e lo cambia per adattarlo ai tempi. Poi le versioni a fumetti, le novelization, i sequel alternativi: in ‘La gemma di Kaiburr’ Vader non è il padre di Luke e muore inciampando sul suo stesso braccio meccanico. E Luke e Leia sono chiaramente attratti sessualmente l’uno dall’altra. Questo mi ha aiutato a capire meglio quanto il mito sia variato mille volte nella testa stessa di Lucas prima di prendere la forma che conosciamo. Per la trilogia prequel esiste una sceneggiatura in bozza solo per l’Episodio I. Per il resto ci sono fondamentalmente bozzetti e immagini, mentre per analizzare gli ultimi film mi sono basato solo su alcune suggestioni e l’inevitabile paragone con quello che succedeva nell’universo espanso (libri, fumetti e videogiochi) ora escluso dal canone.

 

Ringraziamo Andrea per la disponibilità e vi ricordiamo che Star Wars: Il mito dai mille volti è disponibile in tutte le librerie. Pubblicato da Golem Libri, costa solo € 13,00 per 156 pagine di pura passione.

 

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Mr. Kent

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Appassionato di fumetti, curioso per natura, attratto irrimediabilmente da cose che il resto del mondo considera inutili o senza senso. Sono il direttore di MegaNerd e me ne vanto.

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