MIRAI: un gioco tra illusioni e realtà -recensione

Non bisogna mai dimenticare di guardare il mondo con gli occhi di un bambino. Anche stavolta il regista Mamoru Hosoda ci arriva dritto al cuore giocando con la fantasia dei più piccoli.

Dopo successi come La ragazza che saltava nel tempo e Wolf Children, il regista giapponese Mamoru Hosoda ha conquistato la critica di Cannes lo scorso maggio con il suo ultimo capolavoro. Mirai è il titolo della sua nuova pellicola, prodotta dallo Studio Chizu, letteralmente vuol dire “futuro” e non a caso è anche il nome della sorellina del piccolo Kun, protagonista della storia.

Kun è un bambino ancora molto piccolo, avrà più o meno 3 o 4 anni, vive nella periferia di Tokyo con la sua famiglia; suo padre è un architetto e per questo hanno una casa originale e moderna. Passa le sue giornate a mettere sottosopra ogni stanza e a giocare con i treni, sua grande passione e ossessione, insieme al il proprio cane Yukko.

Come tutti i bambini, a quell’età ha bisogno di molte attenzioni: si trova in quella fase in cui si comincia a pretendere che faccia da solo quello che fino a quel momento era stato fatto da qualcun altro. Non è facile accettare per lui l’arrivo della nuova sorellina e da quando vede Mirai entrare in casa, sentirà crollare tutte le sue certezze, il mondo che si era costruito non gli sembrerà più così solido e sicuro. Tutto ciò che vede con i suoi occhi si ingigantisce, sorprende il piccolo a tal punto da fargli vivere un’esperienza indimenticabile e grazie alla sua fantasia il suo mondo prende forme nuove. Inizia così a vivere una realtà quotidiana fatta di gioco e fuga, capricci e gioie, tutto un meccanismo di difesa contro ciò che non capisce e non accetta.

I cambiamenti che sono piombati nella sua vita non sembrano essere compatibili con il suo mondo e proprio il suo giardino si trasforma nel punto di fuga durante ogni suo momento di disperazione. Proprio quel piccolo spazio di gioco sarà il luogo di convergenza di presente, passato e futuro.  Ogni volta che si troverà sul punto di dover accettare una imposizione o un cambiamento che non capisce, si troverà a fare una sorta di viaggio in una specie di mondo lontano che – ovviamente – coesiste con il suo. Incontrerà così il suo cane Yukko con sembianze umane, sua sorella Mirai dal futuro (da qui il titolo originale del lungometraggio (“Mirai dal futuro”), sua madre alla sua stessa età, suo nonno nel passato e lui stesso da adolescente.

Kun-chan comincia un percorso che gli farà accettare la nuova realtà che lo circonda, affronterà le sue paure e attraverso delle avventure surreali imparerà ad accettare i cambiamenti e la sua stessa identità. Finora il concetto d’imparare dal passato è stato ripreso più volte, elaborato e approfondito in più occasioni, dunque stavolta Hosoda introduce anche l’importanza del pensare e “prepararsi” al futuro. Il piccolo protagonista infatti vivrà alcune esperienze dei propri familiari, capirà che sono diventati quello che sono grazie a ciò che hanno vissuto negli anni precedenti alla sua nascita, loro hanno già sperimentato ciò che lui sta vivendo. Supererà inoltre le sue paure, capendo che le sue azioni avranno ripercussioni anche su ciò che deve avvenire, quindi non solo sul suo futuro, ma anche su quello delle persone che gli sono accanto.

La qualità delle creazioni del regista è in costante crescita, già le prime immagini sembrano uno spaccato di foto di vita quotidiana raccontata nel dettaglio. Ogni singola inquadratura ristretta ci mostra i sentimenti dei protagonisti, ogni panorama introdotto sembra così realistico che su ha quasi la sensazione di sentirne l’odore, ogni emozione del piccolo Kun è come se fosse un nostro ricordo sopito.

Nella storia di Mirai il regista ha introdotto qualche elemento personale e autobiografico: allo scorso festival di Cannes aveva ammesso di non essere il miglior padre del mondo e sua moglie era d’accordo. 

“Quando nacque il mio primo figlio stavo lavorando a The Boy and the Beast, e non ero quasi mai a casa. Lasciai tutto il peso sulle spalle di mia moglie. Lei ritiene, infatti, di aver cresciuto da sola il nostro bambino. Per questo mi chiese ‘pensi di comportarti allo sesso modo con il secondo?’ Ciò mi ha fatto riflettere molto. Volevo crescere mia figlia come un vero padre, così sono cambiato” 

Queste sono state le sue parole.

La figura della mamma nel film potrebbe essere l’immagine di sua moglie, le frasi che usa sono esattamente quelle di una madre stanca e stressata che sente poco supporto. Nella storia sono presenti molte riflessioni sull’essere padre, inizialmente sempre distratto dal troppo lavoro, capirà man mano che tutti quei momenti di ansia e angoscia quotidiana plasmeranno proprio ciò che diventerà la sua famiglia e quanto sia importante svolgere il ruolo del genitore.

La storia di Mirai quindi è anche un cross-over tra le problematiche di varie generazioni, è una storia senza tempo che inesorabilmente ci tocca nel profondo.

 

 

 

Abbiamo parlato di:

 

Saki

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Cuore giapponese in un corpo italiano, leggo manga dalla più tenera età e sogno ancora di cavalcare Falcor! Curiosa fino allo sfinimento, sono pronta a parlarvi delle mie scoperte!

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