Hill House: non la solita storia di fantasmi – Recensione

I membri di una famiglia divisa affrontano i ricordi tormentosi legati alla loro vecchia casa e gli eventi terrificanti che li hanno spinti ad abbandonarla: benvenuti a Hill House, la prima serie dichiaratamente horror targata Netflix

Quella muffa sembrava non volersene proprio andare. Bisognava trovare la causa dell’infiltrazione e soprattutto, rintracciarne l’origine. Vuoi vedere che era quella stanza con la porta rossa che non siamo riusciti ad aprire per quasi dieci episodi?

-“Ma quella che non siamo riusciti ad aprire nemmeno col passe-partout?”

-“Esatto.”

-“Ma pensa un po’.”

Questo – più o meno – dev’essere stato il dialogo interiore di Crain alle prese con evidenti difficoltà di manutenzione nella sua nuova tenuta, che dovrà ristrutturare e successivamente rivendere al miglior offerente. Tenuta che, contrariamente a quanto ci lascia trapelare il titolo della serie, NON è situata su una collina. Beh, ne è circondata, ma fa lo stesso. Piuttosto, apprendiamo nel corso degli eventi, che Hill era il cognome dei precedenti proprietari. Il signor Crain (Hugh) è sposato con l’avvenentissima Olivia (Carla Gugino). I due hanno ben cinque (dico cinque!) figlioli. Il maggiore, Steven e poi Shirley (Elizabeth Reaser), Theodora e infine i due gemelli, Luke ed Eleanor (Nell). Tutti quanti ovviamente si spostano di casa in casa una volta che le ristrutturazioni sono finite e gli immobili venduti. I Crain, a quanto ne sappiamo, campano così. Fino a quando si ritrovano nella casa in questione. Queste quattro gotiche mura (forse un po’ più di quattro)trasudano malvagità e malizia, senza preoccuparsi di nasconderlo troppo.

Tratto dal romanzo del 1959 di Shirley Jackson, L’Incubo di Hill House, la serie fa il suo esordio su Netflix il 12 Ottobre 2018, grazie (grazie davvero!) alla direzione di Mike Flanagan.

Naturalmente, parliamo di un Horror (coi fiocchi, a dirla tutta) che spaventa, inganna e disturba a livello emotivo, ma racchiuderlo in un’etichetta di genere, sarebbe troppo semplice e riduttivo, perché ben presto la serie regala momenti che sanno andare anche oltre il mero “jump’n’scare”.

L’amante dell’ horror in genere è molto diffidente per natura e tende ad abbassare le aspettative, soprattutto quando ha di fronte qualcosa di nuovo e moderno. E con questo spirito ho iniziato a vedere Hill House e in verità, non sono mai stato più soddisfatto di ricredermi, episodio dopo episodio. Gli interpreti sono eccezionalmente coinvolti e coinvolgenti (menzione particolare per Carla Gugino, davvero in splendida forma) e la loro espressività emotiva raggiunge davvero picchi molto alti. La regia è sapiente e si adatta perfettamente ad ogni circostanza della storia. Ho adorato il sesto episodio in particolare, la cui trama viene raccontata attraverso pochissimi (e lunghissimi) piani sequenza, giocando con le inquadrature che ruotano in continuazione, nascondendo e mostrando di volta in volta, angosce, orrori e inquietudini, passate e presenti.

Sì, perché la vera particolarità di questa serie è che le vicende narrate viaggiano parallelamente su due piani temporali. E se all’inizio la cosa può leggermente infastidire, in quanto il regista sembra quasi abusare di questo modo di raccontare la storia, ben presto ci si accorge che non è altro che un escamotage narrativo estremamente necessario alla finalizzazione di ciò che stiamo vedendo e apprendendo. L’intera serie è infatti costruita su continui salti temporali, e non siamo mai realmente sicuri che le cose stiano accadendo in quel determinato momento, se nella testa del personaggio o realmente. Se siamo nel passato e abbiamo visioni dal futuro, o se siamo nel presente, tormentati dai fantasmi del passato.

“Siamo nel libro di Steven? Nel cervello in confusione di Olivia? Siamo l’amico immaginario di Luke? Siamo nella casa o ne siamo finalmente fuori? Che c’è dietro quella porta rossa? Ma soprattutto, quella vecchia in decomposizione distesa sul letto che ci salutava mentre passeggiavamo nel corridoio, c’era anche prima?”

Abbiamo quindi da un lato, l’allegra famigliola, con due coniugi molto uniti e la loro prole vivace che scorrazza per i tetri corridoi della casa e dall’altro, un padre invecchiato che farebbe di tutto per proteggere i suoi figli dagli orrori passati e ripararne le gravi conseguenze, e la versione adulta dei pargoli, segnati dalle orribili vicende vissute sotto quel dannato tetto, ma anche (e soprattutto) dalla vita di tutti i giorni. È straordinariamente efficace infatti il mix di angosce, sensi di colpa, lutti e insicurezze con l’orrore e la morte cui i protagonisti sono posti davanti. Orrore che, come apprenderemo nel corso della storia, non sempre ha origine soprannaturale.

Alla fine, Hill House si presenta come il più banale dei film horror. Sembra l’ennesimo, scialbo film sulla casa stregata, sui fantasmi e che non punta ad altro che far saltare di paura lo spettatore con rumori improvvisi e fortissimi. “Un’altra Amityville in salsa Netflix” (citazione dal mio cervello sul punto di iniziare la serie). E invece è tanto altro, regala emozioni forti che discernono dalla paura e soprattutto dona nuova linfa vitale al genere horror, ultimamente maltrattato da registi e sceneggiature indegne.

Felice di essermi sbagliato.

Abbiamo parlato di:

Leggi tutte le nostre recensioni sulle serie TV

Luke

Il Signore degli Anelli è la mia bibbia, Star Wars il mio credo. Guardo tutto, ma non mi piace tutto. Seguace di Tarantino e del senza senso, so che un giorno finirò il libro fantasy che sto scrivendo con il Dottor Prugna. Ma non è questo il giorno.

Articoli Correlati

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *