C’era una volta a… Hollywood – Recensione

Abbiamo avuto il piacere di vedere in anteprima C’era una volta a… Hollywood, il nono film di Quentin Tarantino. Accanto a lui, un tris di stelle davvero incredibile: Leonardo DiCaprio, Brad Pitt e Margot Robbie

recensione c'era una volta a hollywood

Brad Pitt, Leonardo DiCaprio e Margot Robbie. Diretti da Quentin Tarantino.
Come si fa a non avere delle aspettative altissime, quando i nomi coinvolti sono questi?

Probabilmente è stato questo che mi ha fregato. O ha fregato Tarantino, non lo so.
Il punto è che mi aspettavo un capolavoro, un film di cui avrei imparato a memoria alcune citazioni o che avrei rivisto più volte insieme agli amici, parlando di questa o quella scena. Sicuramente ne parleremo, però magari non con i toni entusiastici che mi sarei aspettato di avere.

Ora, parliamoci chiaro: non ci troviamo di fronte a un brutto film, tutt’altro. La mano del regista c’è e si vede forte e chiara. I protagonisti recitano al meglio delle loro possibilità, regalandoci anche momenti davvero intensi… Però c’è qualcosa che non mi torna.

Forse perché C’era una volta a… Hollywood è senza dubbio l’opera meno Tarantiniana del regista, ma – paradossalmente – quella che ne racchiude di più feticci e passioni. Come quella per il cinema italiano di una volta, per la Hollywood degli anni 60. Per il West, vera passione (quasi viscerale) del regista. Potremmo sostanzialmente dire che questo film ha poco Tarantino e molto Quentin, se mi passate il paradosso.

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Siamo a Los Angeles, nel 1969, in pieno clima Flower Power: contro gli orrori del Vietnam, nasce un movimento composto da ragazze e ragazzi che progettano un mondo finalmente libero dall’odio, in cui ognuno può fare quello che vuole, rispettando il prossimo. Sono i figli dei fiori, che fanno proseliti in un’America dilaniata da una guerra che non ha mai capito fino in fondo. La protesta di questi ragazzi, al grido “facciamo l’amore, non la guerra”, arriva nelle strade e – inevitabilmente – anche nel mondo del cinema. C’è aria di rivoluzione nel magico mondo della TV e i vecchi miti iniziano a guardarsi le spalle: è in arrivo una nuova generazione di attori e un nuovo modo d’intendere la TV.

Rick Dalton (Leonardo DiCaprio) è esattamente questo: un vecchio mito.

Protagonista di una serie western di successo, si ritrova a fare i conti con il tempo che passa e con il fatto che non ha più ruoli da eroe  positivo che creino empatia con il pubblico: ormai viene utilizzato solo come vecchia gloria da far prendere a pugni dalle nuove leve. Vorrebbe tornare alla ribalta, dimostrare di avere ancora qualcosa da dire, ma è imprigionato in ruoli sempre più di secondo piano.

Accanto a lui troviamo la sua controfigura e ormai amico fraterno Cliff Booth (interpretato da uno straordinario Brad Pitt), che in tempi di magra gli fa anche da autista e da “tuttofare”. Purtroppo il lavoro scarseggia e bisogna in qualche modo tirare a campare.
Tra i due c’è grande rispetto, oltre che amicizia.

Attraverso il racconto della loro storia e delle loro disavventure, veniamo letteralmente trasportati in un’epoca probabilmente idealizzata, ma che viene resa in modo davvero perfetto da Tarantino: ogni dettaglio è studiato nei minimi particolari e ogni inquadratura vuole omaggiare un’epoca a cui evidentemente il regista è davvero molto legato. Dai costumi alle ambientazioni, dagli attori alla fotografia, tutto è perfetto.

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Tranne la storia.
Se negli altri film Tarantino ha dimostrato di saper costruire personaggi grandiosi, in grado di mettere in moto una trama solida e credibile, qui si perde nello stesso mondo che vorrebbe omaggiare. Sembra quasi aver messo più attenzione ai particolari che alla storia, che procede senza particolari sussulti, nonostante DiCaprio e Pitt regalino due straordinarie prove d’attore. Queste due colonne tengono in piedi il film per tutto il tempo ed è a loro che andrebbe fatto un tributo: con altri due attori, probabilmente, il film sarebbe risultato molto più noioso.

Per Brad Pitt il ruolo è quasi inedito: è un personaggio con un passato tormentato, un brav’uomo a cui basta poco per cacciarsi nei guai. Leonardo DiCaprio invece è l’attore vanesio, più focalizzato sulla forma che sulla sostanza. Vorrebbe disperatamente essere un attore di successo, ma si perde in un bicchiere d’acqua. E poi c’è lei.
Margot Robbie, un’eterea (e anche infantile) Sharon Tate. Per lei ci sono pochi minuti sullo schermo, ed è un vero peccato. Avrebbe meritato una parte sicuramente più ampia.

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Il film scorre tranquillo, forse anche troppo.
Si ha come la sensazione che stia lì lì per esplodere, come se stessimo vedendo un lunghissimo intro… senza arrivare mai al momento clou.
Che alla fine troviamo nel finale, ma che non ci dà quella sensazione di appagamento che avremmo meritato al termine della visione.

All’inizio di questa recensione, ho accennato alle aspettative altissime che avevo nei confronti di questo film e che purtroppo sono state tradite. Ci ho messo un po’ a scrivere questo pezzo, perché sono fermamente convinto che anche Tarantino sapesse che questo poteva davvero essere il suo capolavoro… ma non ce l’ha fatta, forse per la troppa emozione. Aveva tutti gli elementi per consegnare alla storia il film della sua vita, ma si è perso tra le strade di quella Hollywood che ha ricostruito così bene.

 

 

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Mr. Kent

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Appassionato di fumetti, curioso per natura, attratto irrimediabilmente da cose che il resto del mondo considera inutili o senza senso. Sono il direttore di MegaNerd e me ne vanto.

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