Baby: recensione della nuova serie italiana

La nuova serie italiana targata Netflix sbarca sulla piattaforma il 30 novembre ottenendo un boom di visualizzazioni. La prima stagione è composta da soli sei episodi ma ha già fatto parlare molto di sé, tra polemiche, accuse e rivelazioni

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Baby, la nuova serie tv tutta italiana, è sbarcata il 30 novembre su Netflix. Dopo una plateale pubblicità iniziata con larghissimo anticipo, la piattaforma ha lanciato le prime sei puntate, sollevando da subito un gran polverone.

Baby è liberamente ispirata fenomeno romano delle baby squillo, scandalo riguardante la prostituzione minorile che ha travolto la Capitale nel 2013. Ed è bene sottolineare il “liberamente”, perché in questa prima stagione vediamo una moltitudine di vicende, romanzate e pesate per una specifica fascia di età.

Dai fatti di cronaca vera la serie prende più che altro l’ambientazione, le vicende coinvolgono un gruppo di studenti del prestigioso istituto privato Carlo Collodi, situato nel quartiere romano dei Parioli. Protagoniste su tutti sono Chiara (Benedetta Porcaroli) e Ludovica (Alice Pagani), la prima una ragazzina perfetta in tutto, la figlia che ogni genitore vorrebbe, l’altra l’esatto opposto, eccentrica e un po’ fuori dagli schemi. Le due costruiranno presto un legame profondo che le porterà ad entrare insieme nel vivo della serie.

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Affianco a loro ruotano altri personaggi le cui storie sono comunque approfondite, come quella di Damiano (Riccardo Mandolini), il ragazzo proveniente da una realtà un po’ diversa e meno prestigiosa, di Fabio, figlio super obbediente del preside dell’istituto con un costante bisogno di ribellione, di Camilla, migliore amica di Chiara, e persino di genitori e insegnanti.

Le dinamiche ci ricordano fin da subito quelle di molte altre serie destinate ad un pubblico adolescente: il ragazzo nuovo che rifiuta la realtà benestante e spaccia, ma che in fondo è l’unico ad avere un animo nobile, gli intrecci amorosi e i segreti, la scoperta della sessualità, le incomprensioni familiari e il desiderio di ribellione. Problematiche vissute con un determinato peso più che altro a quell’età, comuni a molti prodotti televisivi che le hanno da sempre affrontate in modo più o meno sensato. Baby tuttavia, si proponeva di toccare un argomento ben più difficile, quello della prostituzione minorile, che un peso ce l’ha e anche enorme, per chiunque.

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L’obiettivo della serie, a detta dello stesso regista, più che descrivere nel dettaglio il giro di sfruttamento, era quello di approfondire il precedente stato emotivo delle ragazze coinvolte, quella particolare condizione mentale che le spingerà poi ad entrare negli ambienti sbagliati e a rimanerci incastrate. Così facendo nel corso dei sei episodi ci viene mostrato il senso di solitudine di entrambe, l’isolamento, il bullismo e il conseguente desiderio di evasione e riscatto. Il problema però è che tutto questo sembra essere sullo stesso piano delle altre vicende. Non ponendo l’accento sul giro di prostituzione, ai problemi che i ragazzi vivono viene dato lo stesso spazio e lo stesso peso, e per quanto un tradimento, un’educazione troppo severa, una presa in giro o il gesto ribelle di uscire col bullo di turno possano essere elementi cruciali in un preciso periodo della vita, lo sfruttamento psicologico e fisico del fenomeno a cui si fa riferimento è cosa ben diversa.

Non può essere comprensibile, né fattibile. Non è uno sfogo, un percorso rischioso come altri, da intraprendere o meno. È qualcosa di anomalo, che dovrebbe essere un pugno allo stomaco, sempre. E questo ci aspettavamo, un messaggio forte, che ci lasciasse con un nodo in gola per delle vicende tristemente reali ma profondamente sbagliate.

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In ogni caso, nonostante le accuse scagliate dal National Center on Sexual Exploitation (NCOSE) (favorire e banalizzare la prostituzione minorile) contro Netflix e contro la serie fin dal giorno della sua uscita, Baby non mostra l’ambiente della prostituzione come un qualcosa di affascinante o giusto. Cerca di dipingerlo come un insieme di dinamiche sbagliate, che però, rimanendo ai margini, non fanno abbastanza paura.

Nel contesto del suo genere, Baby non è niente di particolarmente nuovo, strizza l’occhio alle decine di teen drama che abbiamo già visto e amato in passato, anche se facendolo rischia di apparire un po’ meno credibile per un pubblico italiano. Non riesce ad essere all’altezza di tutte in quanto a profondità e impatto, basti pensare a Skins, The End of the Fucking World eThirteen Reasons Why, ma si avvicina molto ad alcune delle più recenti, come ad esempio Elite. Il grande punto di forza nel corso di tutta la serie è Benedetta Porcaroli, che riesce a rendere naturali anche i dialoghi più forzati e un po’ scontati, all’interno del cast il personaggio di Chiara risulta infatti il migliore e quello che suscita più immedesimazione. Per il resto i personaggi sono ben costruiti, forse un po’ troppo stereotipati ma comunque riusciti, soprattutto quelli di Ludovica e Damiano.

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Insomma, Baby non è proprio come speravamo, ma non è neanche una serie da bocciare totalmente. Pecca di superficialità, per alcuni versi sicuramente voluta, ma ha probabilmente le potenzialità per riuscire a stupirci e a fare un salto di qualità con una seconda stagione.

 

 

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Claudia Amici

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Il mio nome rispecchia la mia solare personalità. Sono appassionata di letteratura, drogata di serie tv e spacciatrice d'immagini per MegaNerd su Instagram.

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