American Gods – Recensione

Qualità tecnica e trama magnetica: abbiamo recensito per voi American Gods, una delle serie migliori degli ultimi anni

Che cos’è venuto prima, gli dei o la gente che crede in loro?

La serie American Gods, creata dagli showrunner Bryan Fuller e Michael Green per il canale Starz, è l’adattamento dell’omonimo romanzo di Neil Gaiman (autore del meraviglioso Sandman), pubblicato per la prima volta nel 2001 e vincitore di tantissimi premi, tra i quali Hugo, Nebula e Bram Stoker.

Trama e contenuti

Il protagonista è Shadow, un uomo che sta per terminare i suoi giorni in carcere dopo aver passato 3 anni della sua vita recluso. Dopo la morte della moglie, viene rilasciato con qualche giorno d’anticipo. Nell’aereo che lo riporterà a casa, incontra uno strano e misterioso individuo che si fa chiamare Wednesday, il quale gli propone di lavorare per lui come guardia personale. Dopo vari rifiuti, Shadow, ormai rimasto senza impiego, accetta. Nel suo viaggio con Wednesday, il protagonista, perplesso, affronta situazioni surreali e personaggi bizzarri, grotteschi, che con le loro magie sono in grado di mettere in difficoltà il suo contatto con la realtà. Non si tratta di personaggi qualsiasi, ma di Divinità antropomorfe: la lussuriosa Shiva, il burbero Leprecauno, l’irascibile Chernobog. Ma Wednesday chi è in realtà? E chi è quella donna che assomiglia cosi tanto alla deceduta moglie di Shadow? Perché l’ex galeotto viene rapito da un ragazzino impertinente che parla sempre di tecnologia?

A poco a poco si capirà che Wednesday sta reclutando membri in vista della guerra che i vecchi dei (Gesù, Anubi) dovranno affrontare contro i nuovi dei (Televisione, Tecnologia, Globalizzazione), e per farlo decide di farsi aiutare da Shadow.

Si assiste quindi al delinearsi di due fazioni sempre più nette. Le vecchie divinità, in seguito alle rivoluzioni moderne (Copernico, Darwin, Freud), grazie all’urbanesimo, alla iper-razionalizzazione umana, hanno visto la loro posizione declassata in favore di una società più incredula, più atea. Gli antichi dei, dopo essere stati messi in discussione, vivono nel ricordo di ciò che erano, affogano i loro problemi nell’alcol, cercano rivalsa, sebbene ancora ci sia qualcuno che ancora adempie ai propri compiti, come Anubi e Thot. Shiva ha smesso di sentirsi regina, e alla tv vede l’ISIS distruggere il suo altare.

Per il Dio della tecnologia però il nuovo altare è lo smartphone. La scienza è divenuta in grado di fornire sempre più soluzioni e spiegazioni, e lo scaltro Wednesday sostiene che «si crede agli dei quando non si riesce a spiegare qualcosa». Egli evidenzia che la globalizzazione è dispotica, ma per il nuovo Dio Mr. World, i nuovi Valhalla sono mercato globale, sistemi interconnessi e capitalismo.

«I vecchi dei arricchiscono e danno significato, mentre voi riempite semplicemente il tempo.» (Wednesday)

Nell’età del disincanto “che non ha tempo per la magia e non ha spazio per le fate” i nuovi dei vogliono rinnovare le divinità, seguendo il principio del “darwinismo religioso” ovvero «adattati e sopravvivi». World parla del libro della vita, col quale si sa tutto sull’individuo, che è registrato. E qui si collega facilmente la tematica della privacy e della deindividuazione, che facilita le persone a sentirsi sempre più anonime.

Il fulcro della serie è quindi un affascinante confronto tra Passato e Futuro, Fede e Scienza, Amore e Morte.

Sì, amore e morte, perché in tutto questo mix creativo di misticismo e simbolismo, non può mancare l’amore e tutte le sue varianti. Ciò in cui Shadow crede più di tutto, quell’amore che lo guida ma che sembra mancare nell’animo della sua enigmatica e subdola moglie non-morta, il cui ruolo rimane un punto di domanda.

Il lato tecnico

Oltre al plot magnetico e ai misteri (Che ruolo ha Shodow in tutto ciò? E il Bisonte?), il reparto tecnico dello show di Starz è impeccabile, a partire da una sigla accattivante e originale.

Supportata da un montaggio ben calibrato, la regia propone inquadrature deliziose, virtuose, in cui campi e piani si equivalgono in un insieme dove sono i dettagli a rendere la magnificenza dell’impatto visivo, grazie anche ad una fotografia asciutta, lucida, sterile, cupa, ricca di luci al neon, che permette di creare un realismo che fa risaltare le scene astrali – collocate nella dimensione onirico-eterea – le quali divengono letteralmente vere e proprie visioni celestiali, forti degli effetti speciali ad alto livello. La limpidezza delle scene è sorretta da interpreti ed interpretazioni all’altezza del ruolo, più di tutti e senza nulla togliere agli altri, Ian McShane. Perfetti per il proprio personaggio sono Shadow e il Leprecauno.

Nemmeno le musiche si azzardano ad esser fuori posto: se la sequenza si concentra su Sweeney, saranno le cornamusa a suonare, mentre l’organo fa entrare in scena Gesù. Ma ancora più notevole è la scelta del sound per i nuovi dei, che permette alle nostre orecchie di deliziarsi con note electronic/underground/disco che farebbero felici i Daft Punk. Con l’inserimento di artisti del calibro di Bob Dylan e David Bowie (e non solo) si può parlare senza nessun indugio di Goduria Uditiva.

Messaggio trasmesso

Nel 2001, anno dell’uscita del libro, non c’erano iPhone e non c’erano “followers”. C’era una tecnologia in fase di veloce e spaventoso progresso, c’era un puberale world wide web. Il romanzo di American Gods ha trattato proprio questi temi che, con l’avvento del nuovi mezzi di comunicazione che hanno rivoluzionato il mondo, non hanno smesso di esser validi ma, anzi, hanno trovato ancora più fondamento. Questo gli showrunner e i produttori lo hanno capito: un elogio quindi a chi ha deciso di non lasciare una storia di confronti radicata a decenni fa, riportandola ai nostri giorni.

Se il romanzo ha genialmente inserito le divinità più classiche nell’età della disillusione contemporanea (il Dio Vulcano adora le armi da fuoco!), la serie, approfittando dell’evoluzione inarrestabile degli ultimi vent’anni, ha fatto leva sulla diffusione digitale per proporre una gestione ulteriormente diversificata delle vecchie divinità in un contesto ancora più ostico, senza intaccare le tematiche e le interpretazioni ma, anzi, arricchendole. Probabilmente a mantenere la continuità tra i due prodotti è stata la presenza dello stesso Gaiman in veste di produttore esecutivo. Quindi, il serial si adatta ai progressi tecnologici contemporanei del 2017, riuscendo a rendere ancora più efficaci i messaggi veicolati da Gaiman nel romanzo, quasi come se il pensiero dell’autore fosse potenziato e addirittura più immediato da comprendere se collocato nei nostri anni, dove la high technology tende sempre più verso il monopolio e i network sono reti imprescindibili delle nostre vite. Reti, forse, dalle quali non ci si può liberare.

Chi nasceva nell’800 nel Sacro Romano Impero era destinato a predicare Dio, Gesù. Chi vede la luce nel 2018 in Occidente, è portato ad esser succube di dispositivi informatici e sistemi capitalistici. In entrambi i periodi si è succubi di qualcosa di superiore, solo che adesso si ha la supponenza di credersi totalmente liberi.

Liberi da cosa? L’uomo ha smesso di credere?

Neil Gaiman ci vuole suggerire non solo che gli dei possono esser considerati come il sunto del periodo storico in cui sono venerati (quindi fallaci, effimeri e vincolati alle diverse culture) ma anche che vecchi e nuovi dei sono accomunati dal fatto che entrambi i gruppi finiscono per rappresentare l’oppio dei popoli.

Cambia solo il modo in cui si crede. E Wednesday sa bene quanto sia importante la parola “credere”.

L’ultima puntata è la giusta conclusione, è il punto più elevato raggiunto nella prima stagione, in cui emerge la summa di tutti questi pregi appena elencati, non solo per dialoghi, contenuti, ma per musiche, ironia, e tanti altri contenuti che propongono spunti di riflessione sull’essenza e il senso delle divinità nella storia dell’Uomo

American Gods è il fantasy moderno, è cura dei dettagli, è serie tv d’alta fattura.

 

 

Andrea Fracci

 

 

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